Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Novità legislative interne (di Ada Famiglietti)


INTRODUZIONE DEL DELITTO DI TORTURA NELL’ORDINAMENTO ITALIANO (L. 14 luglio 2017, n. 110) È stata approvata la legge che introduce il delitto di tortura nell’ordinamento italiano (G.U., Sr. gen., 18 luglio 2017, n. 166), dopo una lunga attesa e alcune condanne della Corte europea dei diritti del­l’uomo per l’assenza di un’adeguata normativa in materia. Il dibattito parlamentare di questi anni si era sostanzialmente incentrato sull’opportunità di una formulazione del reato di tortura affine a quella della Convenzione di New York del 1984, ratificata dall’Italia con l. 3 novembre 1988, n. 498. Tale impostazione sistematica è stata solo parzialmente seguita; la l. 14 luglio 2017, n. 110, infatti, configura la tortura come un delitto comune, anziché un reato proprio commesso dal pubblico ufficiale, caratterizzato dal dolo generico. Si è privilegiata, dunque, una maggiore operatività della fattispecie, potendo la tortura essere commessa da chiunque e indipendentemente dallo scopo dell’agente. Nello specifico, è introdotto nel codice penale il nuovo art. 613-bis che punisce con la reclusione da quattro a dieci anni «chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in situazione di minorata difesa, se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona». La norma richiede, quindi, la sussistenza di una pluralità di condotte o di un trattamento inumano o degradante, e un nesso di causalità fra l’azione dell’agente e le acute sofferenze fisiche o il verificabile trauma psichico della persona offesa, che sia privata della libertà personale, ovvero affidata alla custodia dell’agente, o in situazione di minorata difesa. Ai sensi dell’art. 613-bis, comma 2, c.p. costituiscono aggravanti del reato di tortura: la commissione del fatto da parte di un pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, con la previsione della reclusione da cinque a dodici anni. Tale aggravante non si applica, se le sofferenze per la tortura derivano unicamente dall’e­secuzione di legittime misure privative o limitative di diritti, con una previsione che si presta ad essere foriera di alcune ambiguità. Se dal fatto deriva una lesione personale, le pene sono aumentate sino a un terzo; se ne deriva una lesione personale grave, sono aumentate di un [continua..]

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Fascicolo 5 - 2017