Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Corte costituzionale (di Wanda Nocerino)


ANCORA IN TEMA DI PRESUNZIONI. GLI “APPARENTI” PRINCIPI DI PROPORZIONE E ADEGUATEZZA   (C. cost., ord. 12 giugno 2017, n. 136)   Ancora una volta la Consulta è chiamata a pronunciarsi sul tema – assai dibattuto in dottrina e in giurisprudenza – delle presunzioni legislative delle esigenze cautelari. Nel caso di specie, la Corte costituzionale ritiene infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, c.p.p., sollevata dalla Corte d’appello di Torino in riferimento agli artt. 3, 13, comma 1 e 27, comma 2 Cost., nella parte in cui «nel prevedere che quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 416-bis c.p. è applicata la misura della custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulta che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure». Il giudice rimettente, in primis, deduce una violazione del principio di adeguatezza (che impone all’autorità giudiziaria, nella scelta tra le differenti tipologie di misure previste dal legislatore, di optare per quella che risulta maggiormente rispondente alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto) e di proporzionalità (per cui, come emerge dalla giurisprudenza di legittimità (ex multis, Cass., sez. VI, 15 maggio 1995, R., in CED Cass., n.201200), è necessaria una correlazione tra la singola misura da applicare e l’entità del fatto per cui si procede) alla luce della legge del 16 aprile 2015, n. 47, che ha fatto dell’individualizzazione e della personalizzazione delle misure cautelari i suoi punti di forza. In secondo luogo, la Corte d’appello di Torino evidenzia anche una violazione del principio del “minor sacrificio necessario”, così come “rinvigorito” dalla novella del 2015, in base al quale la custodia cautelare in carcere deve rappresentare l’extrema ratio, ovvero l’ultima chances a cui ricorrere solo ed esclusivamente quando tutte le altre misure sono inidonee ad evitare i potenziali pericula che, nelle more del processo, potrebbero concretizzarsi, minando il corretto accertamento del fatto di reato ovvero la corretta esecutività del provvedimento giudiziario, in conformità ai dicta europei (Corte e.d.u., Torreggiani c. Italia, 8 gennaio 2013). In effetti, al fine di “plasmare” le misure cautelari da applicare alle esigenze del caso concreto – evitando una “generalizzazione” e tipizzazione di situazioni che, de facto, potrebbero risultare assai diversificate tra loro – e di circoscrivere [continua..]

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Fascicolo 5 - 2017