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La particolare tenuità del fatto nel giudizio di Cassazione

di Natalia Rombi

Dopo una disamina delle regole processuali per l’applicazione della speciale causa di non punibilità disciplinata dall’art. 131-bis c.p., l’A. si sofferma sulla possibilità per il giudice di legittimità di riconoscere d’ufficio la particolare tenuità del fatto. La soluzione offerta dalla Cassazione per i processi in corso al momento dell’entrata in vigore del nuovo istituto è l’occasione per verificare quale sia la disciplina da applicare a regime.

The particular tenuity of the fact in the judgement of the Supreme Court of Cassation

After an examination of the procedural rules for the application of the special cause of non-punishment governed by art. 131-bis C.P., the author focuses on the ability of the judge of legitimacy to recognize automatically the particular tenuity of the fact. The solution offered by the Supreme Court of Cassation for the ongoing trials when the new institution is coming into force gives the opportunity to verify which legal rule shall apply when in force.

L’OGGETTO DELLA PRONUNCIA

Una recente sentenza della Corte di Cassazione offre l’occasione per verificare se e come la particolare causa di non punibilità disciplinata dall’art. 131-bis c.p. possa trovare applicazione nel giudizio di legittimità.

La pronuncia in esame, pur condividendo l’assunto delle Sezioni Unite secondo cui l’istituto, in ragione della sua natura sostanziale, è direttamente applicabile, in ossequio a quanto previsto dall’art. 2, comma 4, c.p., ai procedimenti in corso [1], ha negato l’immediato riconoscimento della speciale causa di non punibilità, precisando che la sua applicazione, pur possibile nella sede di legittimità, esige che la sussistenza degli elementi costitutivi dell’istituto non sia già stata esclusa dal giudice di merito, in termini espliciti o impliciti nella ricostruzione della fattispecie storico-fattuale e nelle valutazioni espresse in sentenza.

Nonostante la fattispecie rientrasse nei limiti di pena indicati dalla nuova disposizione, la Corte ha ritenuto di non poter trascurare i giudizi espressi nella motivazione della sentenza di secondo grado che escludevano la ricorrenza degli ulteriori requisiti per dichiarare la particolare tenuità del fatto.

Invero, la Corte territoriale, aveva espressamente escluso che la condotta potesse ritenersi non offensiva e negato la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria in ragione di una serie di circostanze (modalità organizzative della coltivazione, quantità di sostanza detenuta e particolare ardire nel coltivare in un appartamento abitato anche da altre persone) da sole sufficienti ad escludere una possibile qualificazione in termini di tenuità del fatto contestato.

Ed è proprio sulla base di questa inequivoca ricostruzione, chiaramente indicativa di un apprezzamento di gravità del fatto, che la Suprema Corte ha rigettato la richiesta di applicazione dell’art. 131-bis c.p. in sede di legittimità.

LE REGOLE PROCESSUALI PER L’APPLICAZIONE DELLA SPECIALE CAUSA DI NON PUNIBILITÀ

L’istituto della particolare tenuità del fatto [2] è stato inserito nel nostro ordinamento dal d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, in attuazione della delega conferita con l. 17 aprile 2014, n. 67 la quale, all’art. 1, comma 1, lett. m), prevedeva la possibilità di «escludere la punibilità di condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni, quando risulti la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento, senza pregiudizio per l’esercizio dell’azione civile per il risarcimento del danno e adeguando la relativa normativa processuale penale» [3].

Introdotto con la finalità di deflazionare il carico giudiziario [4], consente la fuoriuscita dal sistema giudiziario di condotte che, pur integrando gli estremi del fatto tipico antigiuridico e colpevole appaiono non meritevoli di pena [5] «in ragione dei principi generalissimi di proporzione e di economia processuale» [6].

A lungo si era discusso sulla natura giuridica da attribuire al nuovo istituto [7], potendo essere concepito come una nuova causa di non punibilità o come una mera causa di improcedibilità, destinata ad operare sul piano processuale.

Alla fine il legislatore ha optato per l’opzione ‘sostanzialistica’ e, quale causa di non punibilità, la speciale tenuità del fatto esclude l’applicazione della pena ma non impedisce l’esistenza del reato e non esclude l’antigiuridicità penale del fatto.

Le peculiari connotazioni dell’istituto, evidenziate anche dalla collocazione sistematica nel codice penale (art. 131-bis c.p.) [8], avrebbero richiesto maggiore ponderazione nell’adeguamento della disciplina processuale onde rendere chiaro e univoco il trattamento da riservare a tale causa di proscioglimento [9].

Ci si riferisce, per esempio, alla opportunità di inserire, all’interno delle diverse disposizioni codicistiche, che si occupano di epiloghi processuali, il riferimento alla possibilità di prosciogliere per particolare tenuità del fatto [10].

Una tale opzione avrebbe evitato di far sorgere dubbi sull’applicabilità dell’istituto in sede di udienza preliminare, sulla formula da applicare nel caso in cui la speciale causa di non punibilità debba essere dichiarata all’esito del dibattimento [11] e, soprattutto per quanto qui rileva, sulla possibilità per il giudice dell’impugnazione di dichiarare ex officio la particolare tenuità del fatto.

Il legislatore ha invece interpolato solo alcune disposizioni, lasciando all’interprete la soluzione di non poche questioni problematiche [12], molte delle quali dovute anche alla mancata previsione di una disciplina transitoria.

In primo luogo è stato introdotto un nuovo motivo di archiviazione collocato nell’art. 411, comma 1, c.p.p. quando risulti che la persona sottoposta alle indagini «non è punibile ai sensi dell’art. 131 bis» [13].

Si tratta di una ipotesi solo apparentemente incompatibile con la procedura di archiviazione, ben potendosi iscrivere nella medesima logica che è quella di evitare un processo superfluo, impedendo l’apertura di un giudizio a fronte di una notizia di reato suscettibile di condurre ad una decisione di proscioglimento.

Vi è da chiedersi se fosse necessario aggiornare il catalogo dei casi di archiviazione o se invece, la speciale causa di non punibilità potesse essere ricondotta al caso dell’infondatezza della notizia di reato. L’art. 125 norme att. c.p.p. stabilisce, infatti, che la notizia è infondata quando gli elementi raccolti nel corso delle indagini non consentono di sostenere l’accusa in giudizio ma, a ben vedere, tale parametro accomuna tutte le ipotesi di archiviazione [14], compresa quella per particolare tenuità.

Invero, se ricorrono i presupposti previsti dall’art. 131-bis c.p., si può ritenere che l’accusa sia insostenibile in quanto le indagini, dimostrando che l’offensività del fatto è trascurabile, fondano una prognosi di probabile declaratoria della tenuità nel giudizio.

Probabilmente alla scelta di tipizzare il caso di archiviazione corrisponde la volontà di delineare uno speciale procedimento.

Si prevede, infatti, che la richiesta di inazione fondata sulla particolare tenuità del fatto sia comunicata dal pubblico ministero tanto alla persona offesa (indipendentemente da una previa istanza di esserne informata) [15], quanto all’indagato, entrambi abilitati, entro il termine ordinario di dieci giorni dal­l’avvenuta comunicazione, a prendere visione degli atti e a presentare opposizione, indicando le ragioni del dissenso (art. 411, comma 1-bis, c.p.p.).

Rispetto al regime ordinario il potere di intervento della persona offesa risulta rafforzato e al contempo all’indagato è riconosciuto un’inedita facoltà di opposizione che trova la sua probabile ragione d’essere nelle conseguenze che dalla decisione di archiviazione potrebbero derivare nei suoi confronti.

Secondo la prevalente linea interpretativa [16], infatti, i decreti e le ordinanze di archiviazione [17], data la contestuale interpolazione dell’art. 3, comma 1, lett )d.p.r. 14 novembre 2002, n. 313, devono essere iscritti nel casellario giudiziale.

A ben vedere, però, la disposizione citata si riferisce a «provvedimenti definitivi» e il provvedimento di archiviazione «non [assume] mai connotati di autentica definitività» [18] come dimostra il fatto che ad esso non sono connessi gli effetti preclusivi propri di un provvedimento formalmente irrevocabile [19], ben potendo l’azione penale sul medesimo fatto essere esercitata in un secondo momento, eventualmente a seguito di nuove indagini autorizzate dal giudice ex art. 414 c.p.p. [20].

Anche a ritenere che il provvedimento di archiviazione per tenuità del fatto non debba essere iscritto nel casellario [21], la sua emissione potrebbe comunque essere d’ostacolo ad una successiva applicazione dell’istituto. Infatti, il pubblico ministero può sempre verificare tramite il registro delle notizie di reato la sussistenza di precedenti archiviazioni ex art. 131-bis c.p. e può acquisire ex artt. 117 o 371 c.p.p. gli atti di indagine compiuti nell’ambito del procedimento archiviato. È indubbio che le informazioni e gli atti così acquisiti possano incidere sulla valutazione di abitualità del comportamento.

In ogni caso, dunque, il riconoscimento all’indagato della possibilità di opporsi a questa ipotesi di archiviazione pare trovare fondamento nel potenziale pregiudizio che da tale declaratoria deriva all’interessato, il quale potrebbe avere interesse ad ambire ad un provvedimento più ampiamente liberatorio [22] o, eventualmente, a non avvalersi del beneficio per ‘non consumare’ la chance della particolare tenuità del fatto [23].

Non sembra, però, che il potere di interlocuzione [24] riconosciuto all’indagato sia idoneo a garantirgli un accertamento più completo dei fatti: da un lato il giudice non è in alcun modo vincolato dall’opposi­zione presentata dall’indagato e può accogliere la richiesta anche in presenza del dissenso dell’in­teressato; dall’altro il provvedimento di archiviazione, disposto senza lo svolgimento di indagini potenzialmente idonee a dimostrare l’innocenza dell’interessato o ad ottenere una formula di archiviazione più favorevole, non è in alcun modo impugnabile [25].

A fronte dell’opposizione dell’indagato o della persona offesa, il giudice fissa un’udienza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 409, comma 2, c.p.p. e, dopo avere sentito le parti, nel caso in cui compaiano, se accoglie la richiesta del pubblico ministero provvede con ordinanza.

In mancanza di opposizione o nei casi di inammissibilità della stessa, il giudice procede senza formalità e, se accoglie la richiesta di archiviazione, pronuncia decreto motivato.

Nei casi in cui respinge la richiesta, il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero, eventualmente provvedendo ai sensi dell’art. 409, commi 4 e 5, c.p.p.

Quest’ultimo rinvio sembrerebbe escludere, in caso di disaccordo del giudice sulla richiesta del p.m., la fissazione dell’udienza camerale, come invece previsto in via ordinaria nel procedimento di archiviazione. Considerato però che proprio nei casi di richiesta basata sull’art. 131-bis c.p. l’instaurazione di un contraddittorio tra tutti i soggetti interessati può agevolare la valutazione del giudice, pare preferibile interpretare il rinvio all’art. 409, comma 4 e 5, c.p.p. in modo onnicomprensivo, ossia come riferito alla procedura ivi prevista, la quale postula la celebrazione di una udienza che può sfociare nella indicazione al p.m. di ulteriori indagini da svolgere, o nella richiesta di formulazione coatta dell’imputazione [26].

Diversamente da quanto potrebbe suggerire poi la formulazione della disposizione, pare che il giudice in disaccordo con il p.m. sulla richiesta di archiviazione per particolare tenuità del fatto non sia vincolato a restituire gli atti all’accusa ma possa, sulla base delle indagini svolte, ritenere sussistenti i presupposti per archiviare anche per ragioni diverse da quelle segnalate dal pubblico ministero [27].

Se la causa di non punibilità non viene dichiarata all’esito delle indagini preliminari, mediante archiviazione, può essere pronunciata con formula ad hoc nel predibattimento e all’esito di un giudizio di merito ordinario o abbreviato.

Invero, l’art. 469 c.p.p., che in generale disciplina la possibilità di pervenire ad una pronuncia liberatoria in sede predibattimentale, sentiti il pubblico ministero e l’imputato e sempre che questi non si oppongano [28], si è arricchito di una nuova ipotesi, essendo previsto al comma 1-bis la possibilità di emettere una sentenza di non doversi procedere anche quando «l’imputato non è punibile ai sensi dell’art. 131-bis c.p. previa audizione in camera di consiglio anche della persona offesa, se compare». Tale previsione suscita qualche perplessità in quanto non pare che lo schema astratto della norma, modulato su cause di proscioglimento la cui declaratoria non richiede particolari accertamenti probatori (es. mancanza di una condizione di procedibilità, bis in idem, estinzione del reato rilevabile ictu oculi) [29] possa estendersi alle ipotesi di particolare tenuità del fatto le quali sottendono un’articolata serie di verifiche.

D’altro canto la possibilità che si addivenga ad un proscioglimento predibattimentale ex art. 469, comma 1-bis, c.p.p. pare remota, essendo piuttosto inverosimile che dopo il rinvio a giudizio possano emergere elementi dai quali risulti in modo pressoché inequivocabile che il fatto è particolarmente tenue e, soprattutto, considerato il limitato orizzonte cognitivo del giudice che, in tale fase, ha la disponibilità del solo fascicolo per il dibattimento.

A meno di non ritenere che lo spazio applicativo di tale disposizione, considerati i limiti edittali della causa di non punibilità, sia rappresentato essenzialmente dalle ipotesi di citazione diretta a giudizio e sia, dunque, volto a impedire l’inutile svolgimento di un dibattimento nei casi in cui l’azione penale sia stata esercitata nonostante la tenue connotazione del fatto.

Più frequentemente, ove non dichiarata con sentenza di non luogo a procedere all’esito dell’udienza preliminare o con sentenza di proscioglimento predibattimentale, la speciale causa di non punibilità è dichiarata con un provvedimento di assoluzione ex art. 530, commi 1 e 3, c.p.p., al quale è riconosciuta dal nuovo art. 651-bis c.p.p. la medesima efficacia extrapenale delle sentenze penali di condanna [30]. Ciò pare essere diretta conseguenza del fatto che, nonostante l’esclusione della punibilità, la sentenza di proscioglimento ex art. 131bis c.p. non è una pronuncia tipicamente assolutoria, ma al contrario, accerta, in via definitiva, che il reato è stato commesso dalla persona dichiarata non punibile [31].

In considerazione di ciò, si sarebbe potuto prevedere la possibilità di prosciogliere per questa speciale causa di non punibilità in una disposizione ad hoc - art. 529-bis c.p.p.- che ne evidenziasse la singolarità rispetto sia alle ipotesi previste nell’art. 529 c.p.p. sia a quelle previste dall’art. 530 c.p.p.

Peraltro, a voler tutelare meglio la parte civile, in ossequio alle pur scarne indicazioni della legge delega [32], anziché limitarsi a riconoscere efficacia di giudicato al peculiare proscioglimento per tenuità del fatto, si sarebbe dovuto intervenire sia sull’art. 538 c.p.p., spezzando il rigido legame condanna-risarcimento [33], sia sul meccanismo che regola i rapporti tra azione civile e azione penale (art. 75 c.p.p.), autorizzando il danneggiato ad agire in sede civile senza dover attendere l’irrevocabilità della decisione penale sulla tenuità del fatto [34].

Il danneggiato, nonostante la previsione dell’art. 651-bis c.p.p. è, infatti, tenuto a dimostrare, davanti al giudice civile, la sussistenza del nesso di causalità tra condotta e danno e a quantificare quest’ultimo, e va incontro al rischio che le sue aspettative risarcitorie siano deluse, ben potendo, la ritenuta tenuità del fatto desunta, tra l’altro, dall’esiguità del danno, influenzare, pur in assenza di un vincolo giuridico [35] -  che esiste solo per quanto attiene alla sussistenza del fatto e alla sua attribuibilità al soggetto - le determinazioni del giudice civile in tema di risarcimento.

Meno chiaro, nel silenzio della legge, è se si possa pervenire ad una pronuncia ex art. 131-bis c.p. al termine dell’udienza preliminare.

In senso positivo depone il fatto che l’art. 425 c.p.p. contiene una formula coerente con la causa di esclusione della punibilità, ben potendo rientrare la declaratoria ex art. 131-bis c.p. nell’ipotesi di «persona non punibile per qualsiasi causa» [36]. A ciò si aggiunga il fatto che l’udienza preliminare si presta ad essere una sede idonea alle verifiche necessarie a tale declaratoria, disponendo il giudice dell’intero fascicolo delle indagini preliminari ed essendo possibili acquisizioni probatorie ulteriori se decisive ai fini della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere.

D’altro canto, sebbene non sia prevista espressamente la possibilità per l’imputato e per la persona offesa di interloquire sul punto, la decisione emessa all’esito di tale udienza postula un contraddittorio argomentativo tra le parti e vede potenzialmente coinvolta anche la persona offesa in quanto destinataria dell’avviso dell’udienza.

Il non luogo a procedere e l’assoluzione dibattimentale sono, dunque, le pronunce attraverso le quali l’art. 131-bis c.p. può trovare il suo sbocco processuale.

Non pare, invece, possibile pervenire, in difetto di una specifica previsione, al riconoscimento di tale speciale causa di non punibilità in applicazione dell’art. 129 c.p.p. in considerazione del fatto che l’ambito operativo di tale previsione è ontologicamente limitato «alle sole pronunce che possono davvero essere adottate con immediatezza in ogni stato e grado del processo» [37]. Tra tali pronunce non rientra certo quella che dichiara la particolare tenuità del fatto in quanto l’adozione della relativa formula di proscioglimento può avvenire solo dopo l’accertamento della sussistenza, della penale rilevanza e dell’ascrivibilità all’imputato del fatto per cui si procede [38].

Diverse sono le ricadute, sul piano processuale, della scelta di non intervenire sull’art. 129 c.p.p.

L’efficacia di tale disposizione non è, infatti, limitata alla fase dibattimentale; al contrario essa interviene a definire l’ambito dei poteri officiosi del giudice, sia qualora investito di un rito speciale deflativo, sia in sede di impugnazione.

Non a caso si ritiene che non sia possibile pervenire al proscioglimento immediato per tenuità del fatto nel caso in cui sia stata formulata l’istanza di applicazione della pena su richiesta delle parti o la richiesta di decreto penale di condanna [39]. In tali ipotesi, il giudice che ritenga il fatto tenue, può solo restituire gli atti al p.m.: nel primo caso, facendo leva sul disposto dell’art. 444, comma 2, c.p.p., che consente al giudice di respingere l’istanza di patteggiamento qualora la pena proposta dalle parti non sia congrua [40], nell’altro, in applicazione dell’art. 459, comma 3, c.p.p., che attribuisce al giudice un sindacato completo sulla richiesta del pubblico ministero [41].

Analogamente nei giudizi di impugnazione la scelta di non inserire nell’art. 129 c.p.p. un esplicito riferimento alla speciale tenuità del fatto, produce degli effetti, facendo quanto meno dubitare della possibilità per il giudice di pronunciarsi ai sensi art. 131-bis c.p. extra petita e oltre i limiti del devolutum.

IL RICONOSCIMENTO DELLA PARTICOLARE TENUITÀ DEL FATTO NEI PROCESSI IN CORSO E NEL GIUDIZIO DI CASSAZIONE A REGIME

L’introduzione della particolare causa di non punibilità non è stata accompagnata dalla previsione di una disciplina transitoria.

Si è, dunque, posta subito all’attenzione degli interpreti la questione relativa alla possibilità di dichiarare il fatto tenue nei giudizi pendenti.

La natura sostanziale dell’istituto, nonché gli effetti favorevoli connessi alla sua applicazione ne hanno suggerito l’immediata operatività nella fase intertemporale a norma dell’art. 2, comma 4, c.p., in tutti i giudizi non ancora definiti con sentenza passata in giudicato [42].

In particolare, si è ritenuto che la tenuità del fatto potesse essere dichiarata, e nei procedimenti pendenti in primo grado, in applicazione delle diverse norme che disciplinano l’operatività dell’istituto ad ogni snodo processuale [43], e nei giudizi d’impugnazione, anche in difetto di una specifica richiesta di parte.

Nel giudizio d’appello, in forza del principio per cui l’applicazione della legge penale più favorevole rientra tra le questioni rilevabili dal giudice in ogni stato e grado del procedimento [44], nel giudizio di legittimità, ai sensi dell’art. 609, comma 2, c.p.p. che consente al giudice di decidere le questioni che non sarebbe stato possibile dedurre in appello [45] o dell’art. 619, comma 3, c.p.p. che, a fronte di norme di favore anche sopravvenute, riconosce all’organo giudicante, oltre che una cognizione extra petita, anche il potere di procedere al giudizio rescissorio [46].

Orbene, mentre l’accertamento della particolare tenuità del fatto non pone problemi nel giudizio di appello, data la cognizione e i poteri del giudice, vi è da chiedersi se sia così nel giudizio di Cassazione, essendo precluso a tale giudice un accertamento dei requisiti strutturali del fatto.

La risposta positiva poggia sulla considerazione che alla Cassazione non si chiede di accertare se sussistono gli elementi che consentono di ritenere il fatto ‘tenue’ ma di stabilire se questo, così come emerge dalle risultanze raccolte nella sede di merito, possa o meno essere ‘definito’ di particolare tenuità; il che equivale ad un’attività di sussunzione del fatto concreto nella norma astratta, attività propria di ogni giudice, anche di legittimità.

Si tratta, in altri termini, di ‘misurare’ l’offensività del fatto, così come ricostruito nella motivazione della sentenza impugnata, la quale, pur non potendo trattare direttamente la questione, in quanto frutto di uno ius superveniens, può fornire delle indicazioni che consentono di qualificare il reato nella sua componente materiale ‘tenue’ o ‘grave’.

Ecco che, a seconda di quanto emerge dal testo del provvedimento impugnato, gli epiloghi del giudizio di Cassazione possono essere diversi: la Corte può annullare la sentenza e, senza rinviare gli atti, riconoscere direttamente la causa di non punibilità ex art. 620 lett. l) c.p.p. [47]; può annullare la sentenza con rinvio degli atti al giudice di merito qualora emerga solo una ‘parziale compatibilità’ della fattispecie con gli elementi di cui all’art. 131-bis c.p. e, dunque, siano necessari ulteriori accertamenti (art. 623 c.p.p.) [48], infine, come nel caso della sentenza in esame, può rigettare il ricorso se la particolare tenuità del fatto, in termini espliciti o impliciti, è già stata esclusa dal giudice di merito [49].

Nella specie, una serie di circostanze ben evidenziate dal giudice di merito apparivano tutte distoniche con la causa di non punibilità invocata e, risultando indicative di un apprezzamento di gravità del fatto, hanno condotto la Corte a rigettare la richiesta di applicazione dell’art. 131-bis c.p.

La pronuncia fornisce l’occasione per interrogarsi, più in generale, sulla possibilità di riconoscere e dichiarare la particolare tenuità del fatto nei giudizi di impugnazione a regime.

La scelta di non intervenire sull’art. 129 c.p.p., introducendo una specifica formula per tale causa di non punibilità, seppure opportuna, considerato che l’accertamento della tenuità del fatto non si concilia con le forme dell’immediata declaratoria di non punibilità [50], ha posto il problema della possibilità per il giudice dell’impugnazione di potersi pronunciare ex officio ai sensi dell’art. 131-bis c.p. [51].

Nei giudizi impugnatori, infatti, il proscioglimento immediato non ha tanto una funzione anticipatoria quanto quella di ampliare lo spettro dei poteri decisori esercitabili alla conclusione della relativa fase [52].

Così, mentre non vi è dubbio che nel giudizio di appello la particolare causa di non punibilità possa essere dichiarata se oggetto di uno specifico motivo di impugnazione, meno scontato è che possa essere riconosciuta anche d’ufficio [53]. L’art. 597, comma 5, c.p.p., che attribuisce al giudice poteri extra petita quando vengono in rilievo norme di favore, pare riferirsi esclusivamente a disposizioni che riguardano il trattamento sanzionatorio e in quanto norma che fa eccezione al principio del tantum devolutum quantum appellatum dovrebbe essere di stretta interpretazione [54].

Analoga problematica si pone nel giudizio di Cassazione.

Chiarito che tale declaratoria non comporta accertamenti non consentiti in sede di legittimità, riducendosi ad una attività di mera sussunzione del fatto nella norma o di riqualificazione dello stesso alla luce delle risultanze in atti, essa può essere sicuramente dichiarata se oggetto di uno specifico motivo di ricorso.

In concreto il vizio di motivazione e l’errore di diritto sulla legge penale sono i due motivi attraverso cui la particolare causa di non punibilità può divenire oggetto di cognizione da parte della Cassazione, la quale, ove non rigetti il ricorso o lo dichiari inammissibile [55], annullerà la sentenza con o senza rinvio, a seconda delle risultanze in atti.

Nello specifico pare che, anche in questo caso, ad orientare la Cassazione verso l’uno o l’altro esito sia il criterio della ‘superfluità’ del giudizio di rinvio [56], come enunciato nella lett. l) dell’art. 620 c.p.p., il quale contempera due valori confliggenti: da una parte l’esigenza di economia processuale e dall’altra la necessità di salvaguardare il ruolo di legittimità della Corte.

In applicazione di tale principio, l’annullamento sarà con rinvio (art. 623 c.p.p.) ogni qualvolta l’ac­coglimento del motivo di ricorso implichi accertamenti di fatto o valutazioni proprie del giudice di merito [57].

Pare essere questa l’ipotesi più frequente, spettando al giudice del rinvio, una volta che la Cassazione, accolto il motivo di ricorso, abbia delineato la portata astratta dell’art. 131-bis c.p. o rilevato un errore nell’applicazione della norma, rimotivare sul punto, ovvero riqualificare i fatti alla luce delle indicazioni in diritto fornite dal giudice dell’annullamento.

Non è da escludere, però, che a fronte di una impugnazione che miri ad ottenere il riconoscimento e l’applicazione della speciale causa di non punibilità, facendo valere l’errore di diritto, ovvero la mancata sussunzione da parte del giudice di merito dei fatti nella norma corretta, possa aversi anche un annullamento senza rinvio ove la ricorrenza della tenuità del fatto risulti già accertata nella sentenza impugnata [58].

In difetto di uno specifico motivo di ricorso, deve ritenersi, invece, che la possibilità per la Cassazione di valutare la sussistenza della causa di non punibilità del fatto discenda dal generale principio per la cui la corretta applicazione del diritto [59] è monopolio dell’organo giudicante ex art. 101 Cost.

Sicché, nella misura in cui venga in rilievo un errore di diritto sulla tenuità del fatto, deve ritenersi che la Cassazione abbia cognizione extra petita naturalmente nei limiti in cui il vizio emerga dagli atti.

Resta da chiedersi se questa attività di ‘riqualificazione’ giuridica del fatto, ove effettuata d’ufficio, non esiga un contraddittorio specifico con l’interessato [60], che vada ad integrare gli spazi di dialettica pure previsti nel giudizio di Cassazione ove - come è noto - l’imputato, sia pure con la mediazione esclusiva del difensore, può comparire e presentare memorie su ogni questione processuale o di merito rilevante ai fini della decisione (art. 121 c.p.p.) [61].

A suscitare tale riflessione sono gli insegnamenti della Corte di Strasburgo in tema di modifica della qualificazione giuridica del fatto [62]. Il giudice europeo ha, infatti, chiarito che all’imputato deve sempre essere consentito interloquire sulla diversa definizione giuridica del fatto e, pertanto, egli deve essere notiziato di una tale eventualità prima della pronuncia della decisione.

Sebbene le due situazioni non siano esattamente speculari, è innegabile che la tutela del diritto di difesa postuli l’instaurazione di un contraddittorio sul themadell’esclusione della punibilità, tanto più in considerazione degli effetti pregiudizievoli che derivano dalla declaratoria ex art. 131-bis c.p., effetti che, non a caso, sono alla base della scelta del legislatore di disciplinare, ove non previsto, un coinvolgimento dell’interessato, oltre che della persona offesa, ad ogni snodo processuale in cui è possibile riconoscere la tenuità del fatto.

In considerazione di ciò, nei casi sicuramente rari in cui la possibilità di applicare la speciale causa di non punibilità dovesse emergere solo in sede di decisione, la Cassazione, pur potendo in astratto procedere al giudizio rescissorio, dovrebbe annullare la sentenza con rinvio degli atti al giudice di merito, onde assicurare all’imputato un pieno esercizio del diritto di difesa sull’applicazione dell’art. 131-bis c.p.

 

[1] Si veda Cass., sez. un., 25 febbraio 2016, n. 13681, in CED Cass., n. 266594; per analogo orientamento v. Cass., sez. III, 8 aprile 2015, n. 15449, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 22 aprile 2015, con commento, a prima lettura di G.L. Gatta, Note a margine di una prima sentenza della Cassazione in tema di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) e nota di L. Tavassi, I primi limiti giurisprudenziali alla “particolare tenuità del fatto”, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 8 aprile 2015.

[2] Tale istituto non rappresenta una novità nel nostro ordinamento processuale ma trova dei precedenti sia nel processo penale minorile (art. 27, d.p.r. 22 settembre 1988, n. 448), sia nel procedimento davanti al giudice di pace (art. 34 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274). Sulla disciplina dei due istituti v. C. Cesari, Le clausole di irrilevanza del fatto nel sistema processuale penale, Giappichelli, Torino, 2005; S. Quattrocolo, Esiguità del fatto e regole per l’esercizio dell’azione penale, Jovene, Napoli, 2004.

[3] Per approfondimenti sull’istituto in generale, si vedano, ex multis: AA.VV., I nuovi epiloghi del procedimento penale per particolare tenuità del fatto, a cura di S. Quattrocolo, Giappichelli, Torino, 2015; A. Marandola, I “ragionevoli dubbi” sulla disciplina processuale della particolare tenuità del fatto, in Dir. pen. proc., 2015, p. 792; E. Marzaduri, L’ennesimo compito arduo (...ma non impossibile) per l’interprete delle norme processualpenalistiche: alla ricerca di una soluzione ragionevole del rapporto tra accertamenti giudiziali e declaratoria di non punibilità ai sensi dell’art. 131-bis c.p., in Arch. pen., 2015, 1, p. 1; S. Quattrocolo, Deflazione e razionalizzazione del sistema: la ricetta della particolare tenuità dell’offesa, in Proc. pen. giust., 2015, 4, p. 159 s.

[4] L’istituto risponde anche ad una vera e propria «necessità di giustizia» giacché consente la fuoriuscita dal circuito penale di fatti che dati i limiti della tipicità penale comporterebbero l’applicazione di una sanzione. Invero, come scrive F. Palazzo, Nel dedalo delle riforme recenti e prossime venture, in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, p. 1706 «neppure la più sofisticata tecnica di tipizzazione dei reati (che, comunque, non è dei tempi nostri) riuscirà ad escludere dalla fattispecie ‘formale’ fatti del tutto bagatellari». La riforma mira anche a restituire effettività al principio di obbligatorietà dell’azione penale (C.F. Grosso, La non punibilità per particolare tenuità del fatto, in Dir. pen. proc., 2015, p. 517), anche se, in tale veste, la declaratoria di tenuità può anche operare contro le ragioni dell’economia processuale (così F. Caprioli, Prime considerazioni sul proscioglimento per particolare tenuità del fatto, in Dir. pen. cont., 2015, 2, p. 84 il quale scrive «tutti sanno che molte notitiae criminis concernenti fatti bagatellari vengono oggi deliberatamente abbandonate sul binario morto della prescrizione, o rese immuni alla regola dell’obbligatorietà mediante un disinvolto impiego del c.d. “modello 45”. Qui il nuovo istituto non permetterà di risparmiare tempo e risorse, perché lo smaltimento della notizia di reato avviene già a costo zero: al contrario dovrà essere spesa ulteriore moneta processuale necessaria per la celebrazione del rito archiviativo»; meno netta la posizione di R. Bartoli, L’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, in Dir. pen. proc., 2015, p. 661 secondo il quale «l’obiettivo di deflazione è perseguito in termini secondari, consequenziali e accessori, dipendendo … dalla disciplina processuale, vale a dire dal momento in cui si colloca la sua applicazione»). Secondo R. Aprati, Le regole processuali della dichiarazione di ‘particolare tenuità del fatto’, in Cass. pen., 2015, p. 1319 l’istituto svolge anche una specifica funzione di deflazione carceraria.

[5] Il fatto tipico, pur di modesta portata lesiva, risulta essere non totalmente inoffensivo, ragione per cui secondo parte della dottrina (T. Padovani, Un intento deflattivo dal possibile effetto boomerang, in Guida dir.,2015, 15, p. 19) sarebbe «privo di senso richiamare una qualche forma di ‘depenalizzazione’ perché il fatto dichiarato tenue è reato, e tale resta, pur se non punibile». In senso contrario R. Bartoli, L’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, cit., p. 661.

[6] Cfr. Relazione allo schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, trasmesso alla Presidenza del Senato il 23 dicembre 2014, in www.ministerodellagiustizia.it. Sul punto v. F. Palazzo, Nel dedalo delle riforme recenti e prossime venture, cit., p. 1706.

[7] Per approfondimenti sul punto, vedi la ricostruzione di F. Caprioli, Prime considerazioni sul proscioglimento per particolare tenuità del fatto, cit., p. 96 ss. il quale sostiene la correttezza della scelta finale operata dal legislatore, peraltro imposta dalla legge delega, sgombrando il campo dai dubbi in ordine alla possibilità, una volta configurato l’istituto come una causa di non punibilità, di poter dichiarare la particolare tenuità del fatto con archiviazione. Nello stesso senso C. Scaccianoce, La legge - delega sulla tenuità del fatto nel procedimento ordinario, in N. Triggiani (a cura di), La deflazione giudiziaria. Messa alla prova degli adulti e proscioglimento per tenuità del fatto, Giappichelli, Torino, 2014, p. 239 il quale scrive «l’esigenza di evitare il processo non necessariamente deve tradursi in un ostacolo di natura processuale, potendo il legislatore tradurla, sul piano sostanziale, in una condizione di non punibilità, la cui mancanza determina l’interruzione del processo».

[8] La nuova fattispecie di non punibilità è stata collocata nel Titolo V (ora intitolato “Della non punibilità per particolare tenuità del fatto”), del Capo I (ora intitolato “Della modificazione, applicazione ed esecuzione della pena”), del libro I del codice penale, anziché nel titolo III, nel quale sono collocate le cause di non punibilità e le cause di giustificazione.

[9] Sulle ricadute a livello processuale delle due differenti opzioni si sofferma F. Palazzo, Le deleghe sostanziali: qualcosa si è mosso tra timidezze e imperfezioni, in C. Conti-A. Marandola-G. Varraso (a cura di), Le nuove norme sulla giustizia penale, Wolters Kluwer-Cedam, Milano, 2014, p. 149 il quale non manca, al contempo, di sottolineare che «dal punto di vista dogmatico, la soluzione della non punibilità è probabilmente la più corretta, poiché le condizioni di procedibilità sono costituite solitamente da atti o fatti che operano come tali, nella loro realtà fattuale senza implicare valutazioni come, invece, impone l’accertamento della tenuità dell’offesa ovvero della non abitualità del comportamento».

[10] P. Spagnolo, Gli epiloghi processuali della “particolare tenuità del fatto”, in S. Quattrocolo (a cura di), I nuovi epiloghi del procedimento penale per particolare tenuità del fatto, Giappichelli, Torino, 2015, p. 71.

[11] In dottrina vi è chi ritiene che la speciale causa di non punibilità debba essere dichiarata ex art. 530 c.p.p. (R. Aprati, Le regole processuali della dichiarazione di ‘particolare tenuità del fatto’, cit., p. 1328; A. Mangiaracina, La tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p.: vuoti normativi e ricadute applicative, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 28 maggio 2015, p4), è chi, invece, fa riferimento all’applicazione dell’art. 529 c.p.p. (A. Corbo-G. Fidelbo, Problematiche processuali riguardanti l’immediata applicazione della “particolare tenuità del fatto”. Relazione Corte di Cassazione. Ufficio del Massimario, n. III/02/2015, 23 aprile 2015, in www.cortedicassazione.it; F. Menditto, Prime linee guida per l’applicazione del decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 3 aprile 2015, p. 22).

[12] Sul punto v. A. Marandola, I “ragionevoli dubbi” sulla disciplina processuale della particolare tenuità del fatto, cit.p. 795 la quale, muovendo dalla considerazione che la legge delega era alquanto parca di indicazioni riguardo alla disciplina processuale, definisce ‘laconiche’ le modifiche processuali apportate dal legislatore benché «il processo [sia] la sede nella quale l’istituto [è] applicato e nella quale devono convergere l’efficienza e le garanzie dei soggetti coinvolti»; S. Quattrocolo, Deflazione e razionalizzazione del sistema: la ricetta della particolare tenuità dell’offesa, cit., p. 165.

[13] In merito all’opportunità di introdurre un nuovo art. 408-bis c.p.p. al fine di sottolineare l’‘eccentricità’ della nuova fattispecie archiviativa, v. A. Mangiaracina, La tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p., cit., p. 4.

[14] Nel senso che l’art. 125 norme att. c.p.p. enuncia un principio valido per qualunque caso di archiviazione v. F. Cordero, Procedura penale, IX ed., Giuffrè, Milano, 2012, p. 430.

[15] Si tratta di soluzione già introdotta per i ‘delitti commessi con violenza alla persona’ (v. art. 2, comma 1, lett. g), d.l. 14 agosto 2013, n. 93, conv. in l. 15 ottobre 2013, n. 119 il quale ha stabilito un termine per l’opposizione di venti giorni) che, in ragione di quanto previsto dall’art. 6, § 1, lett a) della Direttiva 2012/29/UE, il quale prevede l’obbligo degli Stati di assicurare che la vittima sia informata del proprio diritto di essere edotta di un’eventuale decisione di non esercitare l’azione penale, di non proseguire le indagini o di non perseguire l’autore del reato, avrebbe dovuto essere generalizzata in sede di recepimento della disciplina di matrice europea (v. d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212).

[16] In questo senso C. F. Grosso, La non punibilità per particolare tenuità del fatto, cit., p. 521; A. Marandola, I “ragionevoli dubbi” sulla disciplina processuale della particolare tenuità del fatto, cit., p. 796; E. Marzaduri, L’ennesimo compito arduo (...ma non impossibile) per l’interprete, cit., p. 8.

[17] L’intenzione dei compilatori emerge chiaramente dalla Relazione della Commissione ministeriale presieduta dal Prof. Palazzo che ha redatto il testo dello schema di decreto delegato la quale individua uno stretto collegamento tra archiviazione ‘garantita’, iscrizione nel casellario, realizzazione della causa ostativa. In particolare, per spiegare le facoltà riservate all’indagato nella procedura di archiviazione in essa si afferma, al § 7 «in effetti, posta la necessità di iscrivere nel casellario giudiziale il provvedimento di applicazione del nuovo istituto, ancorché adottato mediante decreto di archiviazione, ne viene che l’indagato potrebbe avere interesse ad evitare tale effetto sfavorevole in quanto preclusivo di una futura fruizione dell’irrilevanza, mirando invece ad ottenere un risultato pienamente liberatorio» per poi ribadire, al § 9 «come già notato (...) il requisito della non punibilità del comportamento previsto dal primo comma dell’art. 131 bis del codice penale, impone un sistema di registrazione delle decisioni che accertano la particolare tenuità del fatto che comprenda ovviamente anche i provvedimenti di archiviazione adottati per tale causa» (cfr. in www.senato.it).

[18] Così F. Caprioli, Prime considerazioni sul proscioglimento per particolare tenuità del fatto, cit., p. 100 il quale, pur ritenendo che dall’intenzione dei compilatori emerge chiaramente che i decreti e le ordinanze di archiviazione e le sentenze di non luogo a procedere devono essere iscritti nel casellario giudiziale, sottolinea che a tali provvedimenti non può essere riconosciuta l’efficacia accertativa capace di ostacolare la concessione del beneficio una seconda volta, dovendo in ogni caso la tenuità del fatto essere riaccertata nel pieno rispetto delle garanzie difensive. Non è, infatti, pensabile, scrive l’A. (p. 100), che «un elemento determinante per la punibilità dei fatti seriali successivi - l’abitualità del comportamento - possa ritenersi accertato in virtù degli esiti di una procedura nella quale non è pienamente garantito il diritto alla prova»; in termini analoghi M. Daniele, L’archiviazione per tenuità del fatto fra velleità deflattive ed equilibrismi procedimentali, in S. Quattrocolo (a cura di), I nuovi epiloghi del procedimento penale per particolare tenuità del fatto, cit., p. 56, il quale, pur ritenendo che il provvedimento di archiviazione debba essere iscritto nel casellario giudiziale, essendo destinato a divenire ‘definitivo’ a seguito della mancata proposizione o del rigetto del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 409, comma 6, c.p.p., sottolinea comunque che «la prognosi di probabile condanna [contenuta nello stesso] (...) non integrerebbe il requisito della precedente “commissione” di un reato tale da comportare automaticamente l’abitualità del comportamento ai sensi dell’art. 131 bis comma 3 c.p.».

[19] Sul punto v. M. Daniele, L’archiviazione per tenuità del fatto fra velleità deflattive ed equilibrismi procedimentali, cit., p. 64.

[20] Dal provvedimento di archiviazione discendono limitati effetti preclusivi: il p.m. non può svolgere nuove indagini, se non previa autorizzazione giudiziale; il p.m. non può, prima di una formale riapertura delle indagini, chiedere l’applicazione di misure cautelari, le quali postulano la pendenza di un procedimento. Sul punto v. per tutti F. Cordero, Procedura penale, cit., p. 434.

[21] Così R. Dies, Questioni varie in tema di irrilevanza penale del fatto per particolare tenuità, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 13 settembre 2015, p. 25.

[22] F. Caprioli, Prime considerazioni sul proscioglimento per particolare tenuità del fatto, cit., p. 100 si chiede, in chiave problematica, se analogo interesse a dimostrare la propria innocenza, non dovrebbe essere riconosciuto anche a chi vede archiviare il suo procedimento perché il fatto non è previsto dalla legge come reato o per una causa di non punibilità diversa dalla tenuità del fatto (es. ex art. 649 c.p.).

[23] Così S. Quattrocolo, Deflazione e razionalizzazione, cit., p. 166.

[24] In sede di riforma ci si è interrogati a lungo sul come configurare la partecipazione dell’indagato a tale procedimento. Nello specifico, considerato che per poter qualificare un fatto tenue occorre verificare che sussista, sia stato commesso dall’indagato e costituisca reato, il punto era se, per l’adozione della particolare formula di archiviazione, fosse necessario, da un punto di vista costituzionale, il consenso dell’interessato o sufficiente riconoscere al medesimo la possibilità di contraddire sul punto. Il le­gislatore ha optato per la seconda soluzione, riconoscendo all’indagato il diritto potestativo alla celebrazione di un’udienza camerale nella quale esporre le sue ragioni, non già un diritto di veto sulla decisione. Tale scelta trova fondamento nella considerazione che l’archiviazione per esiguità del fatto non accerta pienamente la responsabilità ma piuttosto l’inutilità del processo data la non necessità, in ossequio al principio di proporzionalità, di punire il fatto. Sul punto v. R. Aprati, Le regole processuali della dichiarazione di “particolare tenuità del fatto”, cit., p. 1323 nonché F. Palazzo, Nel dedalo delle riforme, cit., p. 1708. Più in generale, la scelta normativa pare trovare fondamento nella considerazione che il contraddittorio probatorio è irrinunciabile (salve le deroghe previste dalla Costituzione) quando si tratta di stabilire se debba essere applicata una pena, non quando si tratti di decidere se rinviare a giudizio o archiviare. Si veda, per tutti, sul principio P. Ferrua, La prova nel processo penale, vol. I, Struttura e procedimento, Giappichelli, Torino, 2015, p. 112.

[25] Sul punto v. A. Marandola, I “ragionevoli dubbi” sulla disciplina processuale della particolare tenuità del fatto, cit., p. 798, la quale sottolinea che «colpisce l’esclusione di un potere di reclamo da parte dell’indagato che subisce l’archiviazione considerato il suo effetto pregiudizievole (…). L’annotazione, seppure funzionale alla verifica della ricorrenza dell’abitualità quale elemento ostativo alla concessione della causa di non punibilità comporta uno “stigma” a carico dell’indagato».

[26] Così E. Marzaduri, L’ennesimo compito arduo, cit., p. 9.

[27] In generale, sulla possibilità per il giudice di archiviare anche con una formula diversa, v. F. Caprioli, L’archiviazione, Jovene, Napoli, 1994, p. 382 nonché, in giurisprudenza: Cass., sez. VI, 19 ottobre 1990, in Cass. pen., 1991, p. 93; Cass., sez. V, 4 maggio 1995, in Cass. pen., 1995, p. 3436; Cass., sez. V, 31 novembre 1998, in CED Cass., n. 212509; in senso analogo, in merito all’ipotesi specifica v. E. Marzaduri, L’ennesimo compito arduo, cit., p. 9 nonché M. Daniele, L’archiviazione per tenuità del fatto fra velleità deflattive ed equilibrismi procedimentali, cit., p. 61; in chiave dubitativa, F. Caprioli, Prime considerazioni sul proscioglimento, cit., p. 102 nonché A. Marandola, I “ragionevoli dubbi” sulla disciplina processuale della particolare tenuità del fatto, cit., p. 797 la quale, pur riconoscendo che comunemente è consentito al giudice sostituire la formula di archiviazione nel caso in cui ritenga ‘insussistente’ il ‘caso’ postulato dal p.m. e sussistenti i presupposti per una archiviazione diversa, ritiene, in ragione della particolare natura della nuova ipotesi archiviativa, che «a rigore il giudice non [possa] disporre l’archiviazione per altra causa - salvo che essa non emerga dagli atti, si pensi all’intervenuta prescrizione o all’assenza di una condizione di procedibilità - posto che il p.m., avanzando la domanda di archiviazione per tenuità ha saggiato la sussistenza del fatto di reato, riscontrando il solo difetto di punibilità, sicché egli va rimesso nelle condizioni di rideterminarsi, a pena di abnormità dell’atto emesso dal giudice»; in tal senso, altresì, R. Aprati, Le regole processuali della dichiarazione di “particolare tenuità del fatto”, cit., p. 1327; P. Bronzo, L’archiviazio­ne per particolare tenuità del fatto, in G. Spangher-A. Marandola-G. Garuti-L. Kalb (a cura di), Procedura penale. Teoria e pratica del processo, vol. II, Torino, Utet, 2015, p. 965.

[28] Tale disciplina trova applicazione anche nel caso di pronuncia ex art. 469, comma 1-bis c.p.p. (così Cass., sez. II, 15 marzo 2016, n. 12305, in Dir. pen. proc., 2016, p. 887; Cass., sez. V, 4 febbraio 2016, n. 28660, in CED Cass., n. 267360).

[29] L’ipotesi introdotta al comma 1-bis appare eterogenea rispetto a quelle già previste nell’art. 469 c.p.p. le quali si fondano «su situazioni di oggettiva e incontrovertibile rilevabilità» (così S. Quattrocolo, ‘Tenuità del fatto: genesi e metamorfosi di una riforma a lungo attesa, in M. Daniele-P. P. Paulesu (a cura di), Strategie di deflazione penale e rimodulazione del giudizio in absentiaGiappichelli, Torino, 2015, p. 127).

[30] Dato il testuale riferimento alla sentenza pronunciata “a seguito di dibattimento”, deve escludersi l’efficacia extrapenale della pronuncia emessa ex art. 469, comma 1-bis c.p.p., il che pare coerente con il limitato orizzonte cognitivo del giudice nella fase predibattimentale.

[31] Cfr. Relazione allo schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, cit., p. 8.

[32] Si legge all’art. 1, lett. m) della legge delega: «escludere la punibilità (…) senza pregiudizio per l’esercizio dell’azione civile per il risarcimento del danno e adeguando la relativa normativa processuale penale».

[33] Così F. Caprioli, Prime considerazioni sul proscioglimento per particolare tenuità del fatto, cit., p. 104.

[34] Sul punto v. B. Lavarini, Gli effetti extra-penali del giudicato “di tenuità”, in S. Quattrocolo (a cura di), I nuovi epiloghi del procedimento penale per particolare tenuità del fatto, cit., p. 101 ss.

[35] Sul punto v. D. Vicoli, L’efficacia extrapenale del giudicato, in F. Caprioli-D. Vicoli, Procedura penale dell’esecuzione, Torino, Giappichelli, 2011, p. 127.

[36] In questo senso Cass., sez. V, 12 febbraio 2016, n. 21409, in Arch. n. proc. pen., 2016, 4, p. 372.

[37] In questi termini L. Scomparin, Il proscioglimento immediato nel sistema processuale penale, Torino, 2008, p. 85.

[38] Così E. Marzaduri, sub art. 129 c.p.p., in Chiavario (coordinato da), Commento al nuovo codice di procedura penale, II, Torino, Utet, 1990, p. 117.

[39] La scelta del legislatore è condivisibile, giacché l’applicazione dell’art. 129 c.p.p., che non prevede alcuna interlocuzione delle parti, finirebbe per ledere l’apparato negoziale concordato tra le parti e per consentire, contro la volontà dell’imputato, una pronuncia che va iscritta nel casellario e che presuppone l’accertamento della responsabilità (così A. Scalfati, Intervento al Convegno dell’Associazione tra gli studiosi del processo penale “G.D. Pisapia”, Processo penale e pena: nuovi equilibri, Roma, 2 luglio 2015, in www.studiosiprocessopenale.it/locandina-e-materiali.html).

[40] Sul punto R. Aprati, Le regole processuali della dichiarazione di “particolare tenuità del fatto”, cit., p. 1338; P. Spagnolo, Gli epiloghi processuali della “particolare tenuità del fatto”, cit., p. 93.

[41] Sul punto v. C. cost., sent., 12 ottobre 1990, n. 447 in cui si afferma che «né dal tenore letterale [della norma] né da altre disposizioni relative al procedimento per decreto, è dato trarre argomenti che possano giustificare la lettura restrittiva fornita dal giudice a quo, secondo cui solamente motivi attinenti all’ammissibilità del rito potrebbero legittimare il mancato accoglimento della richiesta e la conseguente restituzione degli atti al pubblico ministero. Al contrario […] l’art. 459 comma 3 attribuisce al giudice un sindacato completo sulla richiesta del pubblico ministero: egli può quindi rigettarla anche nel caso in cui ritenga non adeguata la misura della pena in essa richiesta».

[42] La nuova disciplina ha una efficacia retroattiva e può applicarsi sia ai fatti commessi dopo la sua entrata in vigore (art. 11 norme prel. c.c.), sia a quelli commessi sotto il vigore della disciplina previgente a condizione che non sia già intervenuta una sentenza passata in giudicato. Il giudicato, infatti, può essere modificato solo nei casi di abolitio criminis (art. 2, comma 2, c.p.) e di annullamento da parte della Corte costituzionale di una norma incriminatrice (art. 673 c.p.p. e art. 30, comma 3, l. 11 marzo 1953, n. 87). Sul punto v. A. Mangiaracina, La tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p.: cit., pp. 9-10 nonché R. Dies, Questioni varie in tema di irrilevanza penale del fatto per particolare tenuità, cit., p. 12. In giurisprudenza, escludono la possibilità per il giudice dell’esecuzione di revocare la sentenza al fine di applicare l’art. 131bis c.p.: Cass., sez. I, 15 settembre 2016, n. 46567, in CED Cass. n. 268069; Cass., sez. VII, 26 febbraio 2016, n. 11833, in CED Cass., n. 266169; Cass., sez. I, 10 novembre 2015, n. 51603, in Guida dir., 2016, 15, p. 82.

[43] R. Aprati, Le regole processuali della dichiarazione di “particolare tenuità del fatto”, cit., p. 1337.

[44] P. Gaeta-A. Macchia, L’appello, in G. Spangher (a cura di) Trattato di procedura penale, vol. V, Impugnazioni, Utet, Torino, 2009, p. 324.

[45] Cass., sez. III, 22 aprile 2015, n. 21474, Fantoni, in CED Cass., n. 263693; Cass., sez. III, 15 aprile 2015, n. 15449, Mazzarotto, cit.

[46] V. R. Aprati, Le regole processuali della dichiarazione di ‘particolare tenuità del fatto’, cit., p. 1339; F. Cordero, Codice di procedura penale, Utet, Torino, 1992, p. 739.

[47] Cass., sez. un., 25 febbraio 2016, n. 13681, in Guida dir., 2016, 30, p. 78; Cass., sez. IV, 12 novembre 2015, n. 46992, in Dir. e giustizia, 2015, 27 novembre 2015; Cass., sez. VI, 16 settembre 2015, n. 45073, in CED Cass., n. 265224; R. Aprati, Le regole processuali, cit., p. 1339 osserva che la Corte esercita, in tal caso, un potere analogo a quello di cui essa si avvale quando, per effetto di una norma sopravvenuta di favore, è necessario rideterminare il trattamento sanzionatorio (v. Cass., sez. VI, 20 marzo 2014, n. 15157, in CED Cass. n. 259253).

[48] Cass., sez. IV, 12 novembre 2015, n. 46992, cit.; Cass., sez. III, 8 ottobre 2015, n. 50215, in Riv. pen., 2016, 2, p. 130; Cass., sez. fer., 13 agosto 2015, n. 36500, in CED Cass., n. 264703.

[49] Cass., sez. II, 30 settembre 2015, n. 41742, in CED Cass. n. 264596; Cass., sez. VI, 23 giugno 2015, n. 39337, in CED Cass., n. 264553; Cass., sez. II, 22 maggio 2015, n. 35901, in Guida dir., 2016, 3, p. 78; Cass., sez. III, 14 maggio 2015, n. 24358, in Guida dir., 2015, 31, p. 95; Cass., sez. IV, 17 aprile 2015, n. 22381, in Cass. pen., 2015, p. 4555.

[50] L’ambito operativo di tale previsione è ontologicamente limitato «alle sole pronunce che possono davvero essere adottate con immediatezza in ogni stato e grado del processo» (in questi termini L. Scomparin, Il proscioglimento immediato nel sistema processuale penale, Torino, 2008, p. 85).

[51] Da segnalare che l’art. 129 c.p.p. è stato più volte applicato anche per prosciogliere in ragione della sussistenza di una causa di non punibilità (v. Cass., sez. VI, 8 gennaio 2003, n. 11874, in CED Cass. n. 224259; Cass., sez. VI, 18 febbraio 2014, in CED Cass. n. 259110) sicché si sostiene che esso enunci una regola generale di condotta per il giudice il quale ove ne riscontri la sussistenza è tenuto ad adottare la relativa decisione allo stato degli atti senza che possa trovare spazio altra attività (Cass., sez. un. 25 gennaio 2005, in CED Cass. n. 230529). Sul punto v. A. Corbo-G. Fidelbo, Problematiche processuali riguardanti l’immediata applicazione della “particolare tenuità del fatto”. Relazione Corte di Cassazione. Ufficio del Massimario, cit., p. 6.

[52] In questo senso L. Scomparin, Il proscioglimento immediato, cit., p. 275; R. Aprati, Le regole processuali della dichiarazione di “particolare tenuità del fatto”, cit., p. 1333; P. Spagnolo, Gli epiloghi processuali della “particolare tenuità del fatto”, cit., p. 91.

[53] In questo senso R. Aprati, Le regole processuali della dichiarazione di “particolare tenuità del fatto”, cit., p. 1329; contra P. Spagnolo, Gli epiloghi processuali della “particolare tenuità del fatto”, cit., p. 96.

[54] In questo senso: Cass., sez. IV, 10 gennaio 2002, in CED Cass., n. 222313; Cass., sez. I, 26 settembre 1997, Gargano, in Cass. pen., 1998, p. 2945; in dottrina v. G. Spangher, Il giudizio di comparazione tra le circostanze ed i poteri di ufficio del giudice di appello, in Cass. pen., 1992, p. 2387 secondo cui «al di fuori delle specifiche indicazioni, trova operatività il principio consacrato nel tantum devolutum quantum appellatum».

[55] Se il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza, non essendosi validamente instaurato il giudizio di impugnazione, la Cassazione non può dichiarare la particolare tenuità del fatto (così Cass., sez. V, 14 aprile 2016, n. 40293, in CED Cass., n. 268077; Cass., sez. IV, 10 dicembre 2015, n. 1035, in Guida dir., 2016, 15, p. 80; Cass., sez. V, 18 agosto 2015, n. 40152, in Riv. pen., 2016, 1, p. 55).

[56] Cass., sez. V, 7 ottobre 2015, n. 48020, in CED Cass., n. 265467.

[57] Cass., sez. III, 30 marzo 2016, n. 30383, in CED Cass., n. 267588 esclude che il giudice di rinvio possa dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione ove questa sia maturata successivamente alla sentenza di annullamento parziale. Sui rapporti tra prescrizione e declaratoria ex art. 131-bis c.p., v. Cass., sez. III, 8 ottobre 2015, n. 50125, in Riv. pen., 2016, 2, p. 130.

[58] Cass., sez. VI, 15 settembre 2015, n. 44683, in Arch. n. proc. pen., 2016, 1, p. 40.

[59] Sul punto v. Cass., sez. V, 2 luglio 2015, n. 5800, in Riv. pen., 2016, 4, p. 324 secondo cui «il giudizio di particolare tenuità del fatto (...) ascrive una qualificazione giuridica al fatto contestato e può pertanto essere compiuto d’ufficio anche dalla Corte di cassazione sulla base dell’accertamento in fatto compiuto dal giudice del merito (…) infatti l’attività richiesta al giudice di legittimità non può intendersi verifica di merito, ma piuttosto semplice valutazione della corrispondenza del fatto, nel suo minimum di tipicità, al modello legale di una fattispecie incriminatrice, come la disciplina del nuovo istituto impone nella fase del giudizio». Nel caso di specie la Corte ha annullato senza rinvio in applicazione dell’art. 620, comma 1, lett. a), c.p.p. perché «l’azione penale non doveva essere iniziata o proseguita».

[60] Sul punto v. A. Corbo-G. Fidelbo, Problematiche processuali riguardanti l’immediata applicazione della “particolare tenuità del fatto”, cit., p. 6 e 8 i quali si interrogano sulla necessità di garantire l’interlocuzione dei soggetti interessati.

[61] Secondo parte della giurisprudenza, fondandosi il giudizio di Cassazione sul principio del contraddittorio, sia pure attraverso la partecipazione esclusiva dei difensori, non sarebbe necessaria l’adozione di specifiche formalità per consentire alla persona offesa una partecipazione ulteriore rispetto a quella già garantita dalla generale facoltà di depositare memorie ex art. 90 c.p.p. (così Cass., sez. V, 2 luglio 2015, n. 5800, cit. nonché Cass., sez. VI, 15 settembre 2015, n. 44683, in Cass. pen., 2016, p. 2083 che esclude anche la sussistenza di un reale interesse della parte civile ad interloquire sul punto giacché l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. nella fase processuale non pregiudica gli interessi civili (art. 651-bis c.p.p.). Per il riconoscimento di uno specifico potere di interlocuzione pare propendere, invece, Cass., sez. III, 8 aprile 2015, n. 15449, cit.

[62] V. Corte e.d.u., 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia, nonché Cass., sez. VI, 12 novembre 2008, Drassich, in CED Cass., n. 241754 che nel fornire una interpretazione adeguatrice dell’art. 521 c.p.p. afferma che «l’imputato e il difensore devono e possono essere messi in grado di interloquire sulla eventualità di una diversa definizione giuridica del fatto là dove essa importi conseguenze in qualunque modo deteriori per l’imputato così da configurare un suo concreto interesse a contestarne la fondatezza»; Cass., sez. VI, 19 febbraio 2010, in CED Cass., n. 247371; le aperture verso un effettivo contraddittorio di tipo argomentativo paiono smentite da altre pronunce (v. Cass., sez. II, 26 febbraio 2010, CED Cass., n. 246922).