Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Sezioni unite (di Teresa Alesci)


IL GIUDICE DELL’ESECUZIONE PUÒ REVOCARE UNA SENTENZA DI CONDANNA SE L’ABOLITIO CRIMINIS NON È STATA RILEVATA DAL GIUDICE DELLA COGNIZIONE (Cass., sez. un., 23 giugno 2016, n. 26259) Le Sezioni Unite si sono pronunciate sulla possibilità per il giudice dell’esecuzione di revocare, ai sensi dell’art. 673 c.p.p., una sentenza di condanna pronunciata dopo l’entrata in vigore di una legge abrogatrice, allorquando la stessa non sia stata oggetto di esame da parte del giudice della cognizione. La Prima sezione, assegnataria del ricorso, ha riscontrato un contrasto giurisprudenziale in ordine agli effetti della abolitio criminis, in riferimento alle sentenze divenute irrevocabili dopo la legge abrogativa. Preliminarmente le Sezioni Unite individuano i limiti entro i quali al giudice dell’esecuzione è consentito, ex art. 673 c.p.p., revocare la sentenza per l’abolizione del reato. Come è noto, la norma, al comma 1, prevede la revoca della sentenza di condanna (o del decreto penale), nel caso di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice. Invero, in sede applicativa si è posto il problema, rilevante anche ai fini della questione rimessa alle Sezioni Unite, della revocabilità della sentenza da parte del giudice dell’esecuzione per effetto dell’abolitio criminis c.d.“tacita”, ovvero per effetto della soluzione di un contrasto giurisprudenziale. Tale circostanza coinvolge direttamente i rapporti tra l’esigenza di certezza e stabilità delle sentenze irrevocabili e i principi costituzionalmente tutelati, ex artt. 3 e 25 Cost., di pari trattamento e di legalità della pena. Una completa disamina delle problematiche sottese alla questione controversa impone una riflessione sulla natura e sui limiti dell’intervento giurisdizionale in fase esecutiva, così come elaborati dalla giurisprudenza. Il contrasto giurisprudenziale successivo all’entrata in vigore della legge n. 49 del 2009, che ha modificato l’art. 6, comma 3 T. U. immigrazione, è stato determinato dalle modifiche pressoché minime, oltre a quelle di immediata percezione, relative all’aggravamento della pena edittale, essendo stata la descrizione della condotta riprodotta in maniera solo parzialmente difforme. In particolare, è stata introdotta la congiunzione “e” al posto di “ovvero” tra le due categorie di documenti che l’agente ha, senza giustificato motivo, omesso di esibire a richiesta degli ufficiali e degli agenti di p.s. La capziosità del­l’intervento normativo ha alimentato forti dubbi, tali da richiedere l’intervento delle Sezioni Unite. Con la sentenza Alacev, la Suprema corte ha attribuito rilevanza, sul piano dell’interpretazione letterale, alla sostituzione [continua..]

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Fascicolo 5 - 2016