Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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In tema di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni: alcune riflessioni a margine di una recente inchiesta giudiziaria (di Silvio Sau)


Un’inchiesta giudiziaria promossa dalla Procura di Roma, i cui risultati sono confluiti in un maxiprocesso ancora in corso, ha anche fatto riemergere un nervo tradizionalmente scoperto della procedura penale italiana: quello relativo al rapporto tra accusa e difesa in materia di intercettazioni telefoniche. Nel presente lavoro si è cercato di mettere in evidenza alcuni rilevanti elementi di criticità, la cui correzione potrebbe passare non tanto, o non solo, attraverso una riforma delle norme sulle intercettazioni come pare nella sede propria si stia pur tentando di fare, quanto attraverso un uso più parsimonioso delle intercettazioni stesse, restituito alla specifica funzione propria di mezzo per la ricerca della prova, e precluso invece come mezzo diffusivo, pervasivo ed indiscriminato di ricerca della notizia di reato. Risulterebbe, forse, tra l’altro, meno “necessaria” l’intrusione nell’area dei colloqui tra difensore ed indagato-imputato: area ampiamente tutelata da norme del diritto positivo, costituzionale e sovranazionale, ma mai abbastanza tutelata dalla interpretazione di tali norme.

On the issue of interception of conversations and communications: some reflections about the new proceeding

The judicial investigation opened by prosecutors in Rome, whose results were included in a maxi-trial still in progress, has also resurfaced a traditionally opened nerve of the Italian criminal procedure: that one concerning the relationship between the prosecution and defense in the field of wiretapping. In this work we have tried to highlight some relevant critical items whose can be correct not only through a reform of the rules on wiretapping, as it seems in its place, they are trying to do, but also through a more economical use of these interceptions, returned to their own specific function of way for the search for evidence, and instead precluded as a medium of diffusion, pervasive and indiscriminate use of the news of crime research. It would be, likely, by the way, the intrusion in the talks between lawyer and suspect-defendant: widely protected area by rules constitutional and supranational of positive law, but never enough protected by the interpretation of these rules.

LA RISERVATEZZA DEI COLLOQUI TRA DIFENSORE ED ASSISTITO: LE SPECIALI TUTELE ACCORDATE DAL­L’ART. 103 C.P.P. Sotto una rubrica piuttosto solenne, “Garanzie di libertà del difensore”, l’art. 103 c.p.p. detta regole che dovrebbero mettere in sicurezza le fattispecie essenziali dell’attività del difensore nel processo penale, entro spazi limitati ma resi in teoria sicuri da eventuali, per dir così, sconfinamenti dell’attività dell’au­torità inquirente. Le attuali convulse vicende di cronaca giudiziaria sollecitano qualche riflessione anzitutto sull’art. 103 c.p.p.: la linea di sutura che in procedimento penale ordinario ed ordinato dovrebbe collegare, anche in aspro ma sempre leale confronto, accusa e difesa, sembra essersi sfilacciata e strappata in modo grave: tale da provocare pubbliche manifestazioni recriminatorie e polemiche da una parte e dall’altra, denunce di intrusioni mediante intercettazioni dell’attività inquirente negli spazi che la legge riserva protetti per l’attività difensiva. Fino al punto da far definire “rivoluzionaria” una recente ordinanza del Tribunale di Roma del 17 marzo 2016 la quale semplicemente riconosce che l’intercet­tazione tra avvocato e cliente è vietata e quindi non può essere eseguita, e se la stessa è avvenuta in modo “occasionale” non può in alcun modo essere utilizzata, i supporti devono essere immediatamente distrutti seguendo la procedura dell’art. 271 c.p.p., e non secondo quella dell’art. 268 c.p.p., in modo che non avvenga neppure il deposito e sia garantita la inviolabilità assoluta delle comunicazioni tra difensore e assistito; in caso di casualità e imprevedibilità della captazione, la funzione di tutela del divieto di cui al comma 5 dell’art. 103 c.p.p. si trasferisce dalla fase anteriore, rispetto all’intercettazione, a quella posteriore, giacché si impone alle autorità che hanno disposto la captazione l’obbligo di non aggravare il vulnus alla sfera di riservatezza delle comunicazioni: il rimedio previsto dal comma 7 dell’art. 103 c.p.p. interviene quindi ex post quando di fatto è stato violato il divieto di cui al comma 5 dello stesso articolo. Il riferimento all’art. 271 c.p.p. è particolarmente significativo: già nella Relazione al progetto preliminare del codice dell’88, dopo aver chiarito che si era inteso mantenere l’inutilizzabilità a qualsiasi fine delle intercettazioni illegittime, si specificava che il divieto era stato esteso anche alle persone indicate nell’art. 200, comma 1, quando abbiano per oggetto fatti conosciuti per ragione del loro ministero, ufficio o professione, salvo che le stesse persone abbiano deposto sugli stessi fatti o [continua..]

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Fascicolo 5 - 2016