Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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I poteri istruttori del giudice penale tra interpretazioni consolidate e nuovi limiti dettati dal principio della "parità delle armi" (di Paola Maggio)


Gli ampi poteri probatori riconosciuti al giudice dall’art. 507 c.p.p. costituiscono l’esito di un’opera interpretativa di bilanciamento, nel segno della ragionevolezza, tra il principio dispositivo, il fine dell’accertamento della verità e l’obbligo dell’imparzialità del giudice.

Oltre al “diritto alla prova contraria”, quale strumento utile a ricondurre a equità il processo, si segnala fra i correttivi più recenti l’utilizzo del principio della “parità delle armi”, destinato a fungere da valido antidoto sistematico verso eventuali “abusi” del potere istruttorio finalizzati a eludere il regime dell’utilizzabilità degli atti processuali.

The investigative powers of criminal judges between established interpretations and new limits dictated by the principle of the “equality of arms”

The wide evidential power available to judges established as a consequence of constant balanced interpretive work, in the name of reasonableness, between the principle system, with the purpose of ascertaining the truth and the obligation of a judge’s impartiality.

In addition to the right “evidence to the contrary”, which is a useful tool in bringing impartiality to the process, it indicates between the most recent corrective application of the principle of ‘equality of arms’, intended to act as an effective antidote against possible ‘abuses’ of investigative powers ex art. 507 c.p.p. which are designed to evade the system of the usability of documents in court proceedings.

LA PREVISIONE ORIGINARIA E LE PRIME SOVRASCRITTURE DELLE PRASSI Secondo le indicazioni fornite dai codificatori [1], i poteri probatori ex officio avrebbero dovuto rivestire un ruolo «residuale e suppletivo rispetto alla carenza d’iniziativa delle parti» all’interno della complessiva fisionomia accusatoria del dibattimento. Invero, muovendo dal punto n. 73, l. delega 16 febbraio 1987, n. 81, il legislatore delegato rimarcava soprattutto la “presunzione di completezza” insita nell’o­perato delle parti [2] e confermava anche la sussistenza del potere di intervento officioso modulato da indicazioni legislative tassative fortemente inibenti le duplicazioni o le letture analogiche delle disposizioni sulla titolarità della prova [3] in forza della riserva di legge contenuta nell’art. 190, comma 2, c.p.p. Su queste basi, l’enunciato dell’art. 507 c.p.p. scandisce processualmente il ruolo subalterno del giudice nelle iniziative probatorie e consente all’organo giudicante una «garbata intrusione» sul terreno della prova [4], per non paralizzare del tutto l’accertamento dei fatti, in sintonia con lo scopo proprio del processo. Tale innegabile prospettata residualità sistematica ha dovuto subito confrontarsi con l’antitetica tendenza manifestata dalla prassi “onnivora” ed “erosiva” del principio dispositivo. A causa di fattori complessi e differenziati il “massimalismo” accusatorio della prima impostazione codicistica aveva infatti provocato un vero e proprio “trauma culturale” negli operatori del diritto: la diffidenza dei giudici, avvezzi al dominio probatorio nel precedente sistema processuale faceva sì che, pur a fronte di categorie nuove e inconsuete, si continuassero a reclamare spazi istruttori sempre più ampi [5]. Sin dalle primissime fasi di applicazione del codice del 1988 si registrava una contrapposizione tra l’indirizzo ‘‘estensivo’’ che giustificava l’effettuazione di un intervento giudiziale, pure in assenza di iniziative di parte [6], e uno ‘‘restrittivo’’ che inibiva invece iniziative istruttorie autonome [7], tanto che un primo, celebre, intervento risolutore delle sezioni unite [8] aveva tentato di pacificare il conflitto in una prospettiva di contemperamento fra le garanzie delle parti e l’esigenza di un accertamento plausibile dei fatti [9]. Le Sezioni unite, in particolare, riferivano il potere di assunzione di un mezzo di prova ex officio anche alle prove per le quali le parti erano decadute, interpretando la locuzione «terminata l’acquisizione delle prove», contenuta nell’art. 507 c.p.p., nel senso che il potere suppletivo potesse essere esercitato in assenza di attività [continua..]

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Fascicolo 6 - 2015