belluta

home / Archivio / Fascicolo / Giudizio d'appello e overturning in melius: per le Sezioni unite non scatta l'obbligo di rinnovare ..

indietro stampa articolo indice fascicolo


Giudizio d'appello e overturning in melius: per le Sezioni unite non scatta l'obbligo di rinnovare la prova dichiarativa

di Elga Turco (Ricercatrice di Diritto processuale penale - Università del Salento)

Le Sezioni unite, dopo neanche due anni dalla pronuncia che aveva sancito l’obbligatorietà della rinnovazione i­struttoria in grado d’appello a fronte dell’overturning da proscioglimento a condanna, affrontano il tema nel caso inverso e, ripercorso il solco tracciato in precedenza, giungono alla soluzione opposta: ex actis il giudice d’appello non può condannare ma può assolvere. Sullo sfondo della decisione, i precetti fondamentali del sistema processuale, i dicta della Corte europea, le scelte sistematiche del legislatore nazionale.

Judgment of appeal and "overturning in melius": for the sections united it is not obligatory to renew the declarative test

The United Sections, not even two years after the judgment that had sanctioned the obligatoriness of the “renewal of the test” in the degree of appeal in the case of overturning from absolution to condemnation, tackle the issue in the reverse case and go over again the path previously traced and arrive to the opposite solution: ex actis the appellate judge can not condemn but can absolve. On the background of the decision, the fundamental precepts of the procedural system, the “dicta” by the European Court, the systematic choices by the national legislator.

 

LA QUESTIONE SUL TAPPETO

Un’altra pronuncia a Sezioni unite in tema di overturning in grado di appello. E, questa volta, il Supremo consesso sembra chiudere il cerchio.

La quaestio dubia investe la latitudine dei poteri del giudice di seconde cure: investito dell’impugna­zione avverso la sentenza di condanna con cui l’imputato deduca la erronea valutazione della prova dichiarativa, può il predetto giudice riformare la decisione impugnata - nel senso dell’assoluzione - bypassando la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive ai fini della condanna di primo grado?

Circa due anni fa, le Sezioni unite, con la sentenza Dasgupta [1], hanno affrontato il quesito inverso: nell’ipotesi in cui la Corte d’appello intenda “capovolgere” una pronuncia assolutoria adottata in primo grado, la riassunzione della prova testimoniale ritenuta decisiva è «assolutamente necessaria», ai sensi dell’art. 603, comma 3, c.p.p. [2].

L’approdo interpretativo è stato il risultato di un lungo percorso di recepimento della giurisprudenza europea, che ravvisa la violazione del diritto dell’imputato ad un “processo equo” - e, in particolare, del diritto ad interrogare o far interrogare i testimoni a carico, confrontandosi con il proprio accusatore (art. 6, comma 3, lett. d), Cedu) - nell’ipotesi di condanna emessa per la prima volta in appello sulla base di una rivalutazione in malam partem meramente cartolare del medesimo compendio istruttorio che aveva fondato la prima decisione assolutoria [3].

Spinte dall’esigenza di ribadire il valore vincolante dei precetti di matrice convenzionale - ai quali il giudice nazionale è tenuto ad ispirarsi nell’applicazione delle norme interne, secondo le indicazioni provenienti da Strasburgo [4] -, le Sezioni unite, fornendo un’interpretazione convenzionalmente orientata dell’art. 603, comma 3, c.p.p., hanno chiarito che una reformatio in peius può dirsi legittima soltanto se anche il giudice d’appello - prima di condannare l’imputato, riformando la sentenza assolutoria di primo grado - sia venuto in contatto con le fonti di prove ritenute decisive ai fini dell’affermazione della responsabilità, perché soltanto così l’espressione e la formazione del libero convincimento del giudice - che pronuncia sentenza di condanna - risulta affidabile ed idonea a superare il “ragionevole dubbio”, sovvertendo la presunzione di innocenza dell’imputato (artt. 27, comma 2, Cost., e 6 Cedu) [5].

Con un obiter dictum non massimato - né ben motivato, ma ugualmente cogente - il Supremo collegio, in quella occasione, ha escluso che il metodo orale nell’apprezzamento della prova dichiarativa andasse, invece, esteso al caso inverso di “ribaltamento” di una pronuncia di condanna: per la reformatio in melius, non venendo in rilievo il principio del “ragionevole dubbio”, sarebbe sufficiente una motivazione “rafforzata” da parte del giudice di secondo grado, che illustri le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio.

La linea di confine dell’obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa, segnata dall’overturning in peius, rimarcata dopo poco meno di un anno dalle stesse Sezioni unite con la sentenza Patalano - che aveva esteso la portata del principio all’ipotesi di condanna in appello proposto a seguito di giudizio abbreviato non condizionato [6] - è stata cancellata, quasi immediatamente, e in maniera del tutto inattesa, da una sezione semplice di legittimità [7].

Messe sul tappeto le contraddizioni annidate nelle rationes decidendi delle pronunce del Supremo consesso a composizione allargata e di quelle della Corte europea - che, in alcuni passi, smentendo le premesse, sembrano fissare le basi per un’estensione del metodo orale ad ogni ipotesi di overturning decisorio in appello [8] - e attribuito un ruolo centrale al principio di oralità/immediatezza - tale da assorbire, unitamente a quello della motivazione “rafforzata”, il canone dell’“oltre ogni ragionevole dubbio” -, gli Ermellini della II sezione, alla luce di argomentazioni di ampio respiro, ricondotte al rispetto della legalità convenzionale ex art. 6 Cedu, su un fronte, e del giusto processo, nella specifica sfaccettatura del contraddittorio nella formazione della prova ex art. 111 Cost., sull’altro fronte, hanno proclamato la natura “simmetrica” del nostro processo penale: anche l’overturning della condanna di primo grado operato dal giudice d’appello impone la rinnovazione dell’assunzione della prova dichiarativa, perché qualunque decisione di riforma assunta in secondo grado senza che il giudice abbia avuto “diretta percezione” dei contributi cognitivi forniti dalle fonti orali - basata, cioè, «su compendi probatori “deprivati” rispetto a quelli utilizzati dal primo giudice» [9] -, si rivelerebbe “iniqua” [10]; soprattutto quando, poi, interessata dalla valutazione di attendibilità sia la testimonianza della persona offesa dal reato: soggetto che sta acquistando sempre maggiore considerazione nel sistema processuale penale [11].

In definitiva, secondo questo indirizzo, l’adozione di metodi cognitivi asimmetrici tra appello della condanna e appello del proscioglimento lascerebbe inspiegato perché, «se il ragionevole dubbio non è, come non può essere, uno stato psicologico del giudice, ma il risultato di una valutazione (come anche evidenziato dalla Corte costituzionale), che si fonda sul ragionamento critico e non su sensazioni o intuizioni o congetture del giudice, e che impone l’adozione del metodo dell’oralità/im­mediatezza, tale metodo non debba essere utilizzato in qualsiasi ipotesi di decisioni contrastanti nei due gradi di giudizio; per ritenere diversamente occorrerebbe dimostrare che l’assoluzione in primo grado rappresenti di per sé una decisione di forza superiore rispetto all’esito opposto e che solo essa, per questo esclusivo motivo, meriti un più affidabile standard probatorio in caso di integrale riforma in appello» [12].

IL DECISUM DELLE SEZIONI UNITE

Prospettato un potenziale dissidio interpretativo tra l’orientamento espresso dalla singola sezione e i principi acclarati dalle Sezioni unite per ben due volte - inasprito dalla dottrina, divisa tra chi [13] attribuisce un’ampiezza diversa all’esercizio dei poteri istruttori in appello, a seconda che occorra ribaltare un proscioglimento o una condanna [14] e chi [15], invece, valorizzando il richiamo all’attributo “ragionevole” contenuto nell’art. 533 c.p.p., ritiene che i dubbi sull’attendibilità dei testimoni a carico in grado di condurre al proscioglimento in appello debbano in genere avere un riscontro empirico, verificato in contraddittorio [16] -, il Primo presidente di Piazza Cavour ha assegnato alle Sezioni unite il ricorso proposto dal Procuratore generale avverso un proscioglimento pronunciato in secondo grado, a fronte di condanna in prime cure, fondato sulla lamentata violazione di legge - in riferimento all’art. 192 c.p.p. - per avere il secondo giudice offerto una mera valutazione “aprioristica” delle risultanze probatorie di primo grado, senza evidentemente procedere a rinnovazione istruttoria.

Con la pronuncia in epigrafe, le Sezioni unite, ripercorso il solco tracciato in precedenza, hanno - come era prevedibile - ripristinato gli argini abbattuti dalla II sezione: ex actis il giudice d’appello non può condannare ma può assolvere.

Dunque, nell’ipotesi di riforma in senso assolutorio di una sentenza di condanna, la rinnovazione del dibattimento è senz’altro possibile, ma non è «assolutamente necessaria» (art. 603, comma 3, c.p.p.); necessario è solo che il giudice d’appello fornisca «una motivazione puntuale e adeguata della sentenza assolutoria, dando una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata rispetto a quella del giudice di primo grado».

Una corretta lettura dei precetti fondamentali del nostro sistema processuale, la valorizzazione dei dicta della Corte europea, la presa di coscienza delle scelte fatte dal legislatore nazionale, i tre argomenti individuati dal Supremo collegio per rinvigorire il principio di diritto enunciato.

Primo argomento. Per le Sezioni unite l’architrave del nostro edificio processuale non è rappresentato - come asseriscono i giudici di legittimità dell’orientamento confutato -, dall’oralità/immediatezza, bensì dal “ragionevole dubbio”: il primo è un fondamentale ma non indispensabile connotato del contraddittorio, non dotato di valenza costituzionale autonoma e “modulabile” dal legislatore attraverso l’introduzione di presidi normativi volti a prevenirne il possibile uso strumentale e dilatorio [17]; il secondo è un canone di immediata derivazione dalla presunzione di innocenza ex art. 27 Cost., operante in favore del solo imputato e non delle altre parti del processo e rispetto al quale l’oralità/immediatezza assume funzione servente.

Secondo il Collegio, l’ambito di operatività del principio di oralità/immediatezza nell’acquisizione della prova dichiarativa non ha, cioè, carattere assoluto, ma deve essere considerato recessivo là dove, come nel caso della riforma di una sentenza di condanna, il principio del “ragionevole dubbio” non venga in questione. L’applicazione della regola della oralità/immediatezza si impone, cioè, «unicamente in caso di sovvertimento della sentenza assolutoria poiché è solo tale esito decisorio che conferma la presunzione di innocenza e rafforza il peso del ragionevole dubbio sulla valenza delle prove dichiarative» [18].

L’argomento convince: una reformatio in peius, frutto di una rivalutazione meramente cartolare dei verbali della prova dichiarativa controversa, non può mai superare ogni “ragionevole dubbio” sulla responsabilità dell’imputato (art. 533 c.p.p.) e, dunque, esige il ricorso al metodo epistemologicamente più affidabile [19]: un più elevato standardargomentativo, una “forza persuasiva superiore”, tale da far ve­nir meno ogni dubbio (ragionevole). Viceversa, la reformatio in melius non deve superare alcun dubbio perché non richiede la certezza dell’innocenza bensì, unicamente, la “non certezza” della colpevolezza: il dubbio implicito sulla responsabilità dell’imputato nutrito dal giudice d’appello alla luce di una diversa valutazione e lettura del compendio probatorio acquisito dal primo giudice può, cioè, bastare per fondare la sentenza assolutoria e, di conseguenza, rende del tutto inutile un nuovo supplemento istruttorio [20].

Inutile, e, a dire il vero, anche pericoloso per lo stesso imputato: a causa degli inconvenienti fisiologici derivanti dal ricorso al contraddittorio a distanza di molto tempo dalla prima testimonianza e dai fatti di reato - perdita di memoria, condizionamento involontario esercitato dall’esperienza della deposizione già resa, ecc. - «potrebbe verificarsi una falsificazione o alterazione del contenuto dei ricordi del testimone ritenuto decisivo, e la generazione di false certezze che verrebbero utilizzate in danno dell’imputato, per l’affermazione della penale responsabilità» [21].

Secondo argomento. Per le Sezioni unite l’elaborazione giurisprudenziale di Strasburgo sulla questione in esame non conforta - come sostiene la II sezione - l’approdo esegetico confutato. Innanzi tutto, perché nelle pronunce della Corte europea il richiamo al metodo dell’oralità non sarebbe mai stato in concreto riferito all’ipotesi della reformatio in melius, ma sarebbe stato sempre declinato nella diversa prospettiva del ribaltamento dell’esito assolutorio in condanna [22]; in secondo luogo, perché le ultime decisioni sul tema [23] hanno escluso, in relazione alle medesime evenienze procedimentali, la necessità della rinnovazione probatoria in appello, ritenendo sufficiente, per integrare la soglia della garanzia convenzionale, anche solo una motivazione «particolarmente approfondita sulle ragioni del mutato apprezzamento delle risultanze processuali, con l’evidenza degli errori compiuti dal giudice di primo grado e la previsione di un controllo sul rispetto di quell’obbligo» [24].

I due rilievi porgono il fianco a qualche critica.

Non del tutto corretto il primo: una delle più risalenti decisioni della Corte europea sul tema del contraddittorio in secondo grado [25] - “stranamente” non citata nella pronuncia in commento - si era occupata proprio dell’appello contro una sentenza di condanna e aveva ritenuto l’audizione dei testimoni comunque necessaria.

Inconferente il secondo: le più recenti decisioni di Strasburgo, che individuano casi in cui la motivazione “rafforzata” può sostituire l’obbligo di rinnovazione in seguito all’appello del proscioglimento [26], dovrebbero essere invocate, tuttalpiù, per censurare il nuovo art. 603, comma 3-bis, c.p.p. - che non consente eccezione alcuna [27] -, non certo per autorizzare il giudice d’appello a riformare in melius la sentenza sulla base di una rivalutazione cartolare dei verbali della prova dichiarativa controversa [28].

E, allora, fermo restando che da Strasburgo il richiamo all’oralità venga prevalentemente declinato in chiave di overturning del proscioglimento in condanna e non viceversa [29], non può sfuggire come il quadro “schizofrenico” dipinto dai giudici della Corte europea - che, a fasi alterne, o ritengono necessaria l’audizione diretta delle prove dichiarative, a garanzia dell’equità del procedimento nel suo complesso [30] e ribadiscono l’insufficienza della mera motivazione “rafforzata” a sanare il vizio della mancata riassunzione [31] o negano qualunque automatismo in caso di riforma peggiorativa [32] e reputano indispensabile valutare la singola valeur probante della dichiarazione non riassunta [33] - non depone né contro né a favore dell’opzione sostenuta dal Supremo consesso.

Terzo argomento. Per le Sezioni unite la natura del giudizio di secondo grado, la asimmetria di ruoli fra la vittima e l’imputato, la portata del nuovo comma 3-bis dell’art. 603 c.p.p. militano, univocamente, a favore della posizione assunta.

E, invero - sul primo fronte -, l’obbligatorietà della rinnovazione dibattimentale in senso bidirezionale - overturning in peius o in melius che sia - inevitabilmente «trasformerebbe l’appello in una innaturale replica del giudizio di primo grado»: il contraddittorio nella formazione della prova, che costituisce una eccezione - limitata ai casi di incompletezza dell’istruttoria dibattimentale di primo grado o di impossibilità di decidere il processo allo stato degli atti - diventerebbe, cioè, la regola, presidiata dalle stesse garanzie difensive che caratterizzano il primo grado, «con l’ulteriore rischio di una irragionevole diluizione dei tempi processuali» [34].

Come dare torto al Supremo collegio: a parte il fatto che solo il legislatore - o, tuttalpiù, il Giudice delle Leggi - e non certo la giurisprudenza può determinare un ribaltamento completo della natura e della struttura del giudizio di appello, da cartolare a effettivo e pieno - pena, una palese violazione delle regole costituzionali sul riparto dei poteri pubblici [35] -, non sfugge che il rinnovo “generalizzato” della prova dichiarativa dinanzi al giudice di seconde cure, anche nei casi che non possano andare a scapito del­l’im­putato, sortirebbe l’ulteriore negativo effetto di arricchire la già cospicua collezione di condanne provenienti da Strasburgo contro il nostro Paese per la violazione del “reasonabe time” ex art. 6, comma 1, Cedu.

Sul secondo fronte, per le Sezioni unite l’evoluzione impressa al nostro sistema dagli strumenti legislativi di attuazione delle direttive europee, che riservano alla persona offesa un sempre maggiore spazio partecipativo nell’articolazione e nello sviluppo delle sequenze processuali [36] - come giustamente evidenziato dalla II sezione -, non si traduce nella previsione di alcun obbligo normativo di rinnovazione dell’escussione del dichiarante/persona offesa in sede d’appello, ma, più semplicemente, «sospinge l’interprete verso una maggiore e più attenta considerazione delle esigenze di tutela e degli interessi di cui si fanno portatrici le persone offese all’interno del processo penale» [37].

Per concludere, il quadro di garanzie delineato dal legislatore europeo in favore della vittima non stravolge il volto del processo penale, che resta governato da regole orientate, anzitutto, a rendere “equo” il giudizio nei confronti di colui che vi è sottoposto. Dal nuovo scenario normativo non può, dunque, trarsi alcuna indicazione circa l’imposizione di una pretesa simmetria di ruoli fra la vittima e l’imputato bensì, tuttalpiù, l’esigenza di affidare alla saggia ponderazione del giudice la decisione di rinnovare, eventualmente, la deposizione nelle ipotesi di reformatio in melius, valutando, in tal senso, senza alcun automatismo probatorio - com’è imposto dall’art. 603, comma 3, c.p.p. -, tutte le circostanze rilevanti nel caso concreto: dalla decisività della fonte di prova al tasso di vulnerabilità del soggetto debole, sino al contesto di riferimento ed alla vicinanza o meno della sua audizione rispetto al precedente apporto dichiarativo [38].

Sul terzo ed ultimo fronte, le Sezioni unite sondano i riflessi che il nuovo comma 3-bis innestato sul testo dell’art. 603 c.p.p. ad opera della legge 23 giugno 2017, n. 103 (c.d. “riforma Orlando”) riverbera sulla questione oggetto di esame [39].

Il nomoteta contemporaneo, granitico nell’imporre la rinnovazione obbligatoria nel solo caso di appello proposto dal pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento - e non anche quando l’epilogo decisorio oggetto del giudizio di appello sia, invece, una decisione di condanna - mutua nel corpo della novellata disposizione quel nesso logico-funzionale che il Supremo collegio aveva già individuato non tanto tra metodi probatori di prime e di seconde cure - parallelismo reciso con la sentenza Patalano -, ma tra l’esito liberatorio di primo grado e la possibile condanna in appello.

La reformatio in melius, dunque, sfugge dai confini applicativi del nuovo comma 3 bis e resta governata dalle ordinarie regole di ammissione delle prove scolpite nei commi 1 e 3: il giudice d’appello ha un potere, non un dovere, di rivitalizzare il metodo dell’oralità nelle specifiche ipotesi della “non decidibilità allo stato degli atti” (comma 1), ovvero della “assoluta necessità” di provvedere in tal senso (comma 3).

Impossibile affermare - a dirlo è sempre il Collegio - che il testo normativo, così come interpolato, possa offrire uno spazio lessicale per sostenere la tesi della II sezione [40].

In effetti, non può negarsi che l’intervento legislativo del 2017, almeno su questo specifico punto, appare inequivocabile: alla locuzione utilizzata nel comma 3 bis dell’art. 603 c.p.p. non può attribuirsi «altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole» (art. 12 disp. sulla legge in generale). Una interpretazione differente, che obbligasse il giudice a rinnovare la prova anche nel caso di appello contro una sentenza di condanna e conseguente overturning favorevole all’imputato, si rivelerebbe contra legem.

UN DUBBIO

Il meccanismo ritagliato nel comma 3 bis dell’art. 603 c.p.p. introduce, in materia di rinnovazione del dibattimento in appello, un regime differenziato a seconda dell’esito del giudizio di primo grado [41], speculare rispetto a quello disegnato dieci anni prima con la legge “Pecorella” [42], ma quasi immediatamente cancellato dalla Corte costituzionale [43]: nel caso di proscioglimento in primo grado, si passa dalla abolizione dell’appello alla obbligatorietà della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, limitata, però, all’ipotesi in cui l’inquirente abbia appellato «per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa».

Non sfugge come il punto di vista prescelto dalla Cassazione sia diverso: la rinnovazione del dibattimento non dipende dall’esito del giudizio di primo grado, bensì dalle prospettive decisorie del giudice d’appello.

Rimane, però, aperto, un quesito: se non è overturning ma conferma?

Per il prosciolto in primo grado, all’interrogativo risponde il nuovo comma 3 bis dell’art. 603 c.p.p.: nei limiti delineati dalla richiamata disposizione [44], la rinnovazione è obbligatoria.

Ad opposta conclusione deve pervenirsi per il condannato in primo grado, posto che la responsabilità dell’imputato è stata già accertata “oltre ogni ragionevole dubbio” [45].

UNA POSTILLA

Il sistema delineato dal nostro codice, una volta che il giudice d’appello abbia disposto la rinnovazione - ai sensi dell’art. 603, comma 3 bis, c.p.p. o 603, commi 1 e 3, c.p.p. - e sia giunto ad epiloghi differenti all’esito di analoghe metodologie acquisitive, assegna all’ultima decisione il primato. Si è detto che «la rinnovazione in dibattimento è solo una versione processuale del canone epistemologico secondo cui, per controllare la validità dei risultati di un esperimento, spesso occorre rifarlo» [46].

Come ha evidenziato la dottrina, l’argomento è corretto ma non decisivo, perché «non risulta che in ambito scientifico, quando due risultati sono difformi, si risolva la questione limitandosi a prendere per buono il secondo» [47].

In questa prospettiva, va senz’altro apprezzata la precisazione del Supremo collegio contenuta nel principio di diritto enunciato: la eventuale riassunzione della prova non esime il giudice d’appello dall’obbligo di redigere comunque una motivazione «puntuale e adeguata», che metta specificatamente in luce gli errori negli argomenti addotti dal giudice di primo grado a sostegno della condanna.

In definitiva, il giudice di seconde cure che riformi in melius la sentenza di primo grado, tanto nell’ipo­tesi in cui abbia utilizzato il metodo orale nell’apprezzamento della prova dichiarativa controversa, quanto nell’ipotesi in cui si sia limitato ad una rivalutazione cartolare dei relativi verbali, non può sfuggire ai rigori della motivazione “rafforzata” [48]: egli, senza affermazioni apodittiche, deve scardinare l’impianto argomentativo-dimostrativo della prima decisione, con una specifica confutazione dei suoi più rilevanti argomenti, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, analizzan­do in modo esaustivo le risultanze probatorie assunte nel giudizio di primo grado, dimostrando puntualmente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti addotti dal primo giudice [49]. Insomma, il “ragionevole dubbio” sulla colpevolezza dell’imputato, posto a fondamento della sentenza di assoluzione di appello che ribalti la precedente condanna, deve essere l’esito di un percorso argomentativo ben solido, «che rispetti rigorosamente le regole della logica» e si basi, non certo su uno stato psicologico del giudice, ma «su elementi processualmente emersi e correttamente valutati singolarmente e nella loro connessione» [50].

 

NOTE

[1] Cass., sez. un., 28 aprile 2016, n. 27620, Dasgupta, in Diritto penale contemporaneo, 5 ottobre 2016, con nota di E. Lorenzetto, Reformatio in peius in appello e processo equo (art. 6 Cedu): fisiologia e patologia secondo le Sezioni Unite. Cfr. altresì V. Aiuti, Poteri d’ufficio della Cassazione e diritto all’equo processo, in Cass. pen., 2016, p. 3214 ss.; R. Aprati, L’effettività della tutela dei diritti dell’uomo: le Sezioni unite aggiungono un tassello, in Arch. pen., 2016, f. 3, p. 1 ss.; A. Capone, Prova in appello: un difficile bilanciamento, in Proc. pen. Giust., 2016, p. 46 ss.; S. Tesoriero, Luci e ombre della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello per il presunto innocente, in Giust. pen., 2017, III, c. 79 ss.

[2] Per le Sezioni unite l’omissione «integra di per sé un vizio di motivazione della sentenza di appello, ex art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., per mancato rispetto del canone di giudizio “al di là di ogni ragionevole dubbio” di cui all’art. 533, comma 1» c.p.p., tale da imporre - eccetto i casi di inammissibilità del ricorso - l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata «qualora il ricorrente abbia impugnato la sentenza di appello censurando la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive (…)».

[3]In sostanza, il principio ex art. 6, comma 3, lett. d) Cedu viene esteso al giudizio di secondo grado: un processo, per essere equo, deve garantire la formazione della prova nel contraddittorio tra le parti e la decisione, per poter essere ritenuta “giusta”, deve essere emessa da un giudice che sia venuto in contatto diretto con la fonte di prova ritenuta decisiva ai fini dell’affer­ma­zione della responsabilità. Tra le tante, cfr. Corte e.d.u., 5 luglio 2011, Dan c. Moldavia, in www.archiviopenale.it, 5 luglio 2011, § 33 ss., con nota di A. Gaito, Verso una crisi evolutiva per il giudizio d’appello. L’Europa impone la riassunzione delle prove dichiarative quando il p.m. impugna l’assoluzione; v., sul punto, le altre pronunce citate in nota 22.

[4] Cfr. le sentenze “gemelle” della Corte costituzionale (C. cost., 24 ottobre 2007, n. 348 e C. cost., 24 ottobre 2007, n. 349) che hanno chiarito come il nuovo art. 117, comma 1, Cost. - che impone al legislatore il rispetto dei vincoli derivanti dagli «obblighi internazionali» -, realizzando un rinvio mobile alla norma convenzionale di volta in volta conferente, innesta un preciso obbligo in capo al giudice comune: interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale - nel significato attribuito dalla Corte di Strasburgo - e, qualora ciò non sia possibile, per un insanabile contrasto tra i principi della Cedu e il diritto interno, investire la Corte costituzionale della relativa questione di legittimità, sotto il profilo della violazione dell’art. 117, comma 1, Cost.

[5] Sul punto cfr. R. Dainelli, Giusto processo d’appello tra presunzione di innocenza e ragionevole dubbioin www.diritto.it., 20 novembre 2017.

[6] Cass., sez. un., 19 gennaio 2017, n. 18620, con nota di L. Lupària-H. Belluta, Ragionevole dubbio e prima condanna in appello: solo la rinnovazione ci salverà?, in Diritto penale contemporaneo, 8 maggio 2017; cfr. altresì V. Aiuti, Condanna in appello e rito abbreviato, in Dir. pen. proc., 2017, p. 1438 ss.; R. Aprati, Overturning sfavorevole in appello e mancanza del riesame, in Cass. pen., 2017, p. 2666 ss.; H. Belluta-L. Lupària, La parabola ascendente dell’istruttoria in appello nell’esegesi “formante” delle Sezioni Unite, in Diritto penale contemporaneo, 15 novembre 2017, p. 151 ss.; L. Lupària-H. Belluta, Alla ricerca del vero volto della sentenza Dasguptaivi, fasc. 9 gennaio 2017; N. Mani, Resistenze giurisprudenziali al capolinea: la forza granitica della sentenza di assoluzione e la necessaria riassunzione della prova dichiarativa anche nel giudizio di appello da abbreviato, in www.archiviopenale.it, 2017, fasc. 2, p. 1 ss.; N. Rombi, Le Sezioni unite e le condanne cartolari nel giudizio abbreviato d’appello, in Proc. pen. giust., 2017, p. 806 ss.; S. Tesoriero, Una falsa garanzia: l’obbligatoria attuazione del contraddittorio nel giudizio d’appello, in Cass. pen., 2017, p. 3668 ss.

Nella predetta pronuncia si è ribadito che, al di là del consenso espresso dall’imputato ad essere giudicato allo stato degli atti, la percezione diretta delle dichiarazioni si pone quale condizione essenziale per affermare la penale responsabilità in appello, con la conseguenza che è affetto da vizio di motivazione, per mancato rispetto del canone di giudizio «al di là di ogni ragionevole dubbio», la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell’imputato, in riforma di una sentenza assolutoria emessa all’esito di un giudizio abbreviato non condizionato, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, senza che nel giudizio di appello si sia proceduto all’esame delle persone che abbiano reso tali dichiarazioni in sede di indagini.

[7] Cass., sez. II, 20 giugno 2017, n. 41571, in CED Cass., n. 270750, sulla quale v. H. Belluta, Oltre Dasgupta o contro Dasgupta? Alle Sezioni Unite decidere se la rinnovazione è obbligatoria anche in caso di overturning da condanna a proscioglimento, in Diritto penale contemporaneo, 19 ottobre 2017, p. 295 ss. e L. Lupària-H. Belluta, Ragionevole dubbio ed etica del sistema: quando l’immediatezza non serveivi, 18 dicembre 2017, p. 89 ss.

Precedente, nello stesso senso, solo Cass., sez. II, 24 aprile 2014, n. 32619, in Arch. pen., fasc. 3, 2014, con nota di C. Santoriello, Chi condanna esprime certezze, chi assolve può limitarsi a dubitare.

[8]In Cass., sez. un., 28 aprile 2016, n. 27620, Dasgupta, cit., il Supremo collegio, in un passo della motivazione, così si esprime: «la percezione diretta è il presupposto tendenzialmente indefettibile di una valutazione logica, razionale e completa». In Cass., sez. un., 19 gennaio 2017, n. 18620, Patalano, cit., si legge: il giudice di secondo grado che non condivide la valutazione di attendibilità compiuta dal giudice di primo sulle prove dichiarative a carico, dovrebbe ricorrere al «“metodo di assunzione della prova epistemologicamente più affidabile” […], a prescindere dagli esiti decisori». Quanto alle pronunce di Strasburgo, in effetti, da tempo la Corte europea afferma che «qualora un giudice d’appello sia chiamato ad esaminare un caso in relazione ai fatti di causa e alla legge, e a fare una valutazione completa della questione relativa alla colpevolezza o all’innocenza del ricorrente, non può, per una questione di giusto processo, adeguatamente stabilire questi problemi senza una valutazione diretta delle prove»: v. Corte e.d.u., 24 novembre 1986, Unterpertinger c. Austria; 7 luglio 1989, Bricmont c. Belgio; più di recente, Corte e.d.u., 1 maggio 2004, Destrehem c. Francia; 21 settembre 2010, Marcos Barrios c. Spagna; 5 luglio 2011, Dan c. Moldavia, cit.; 5 marzo 2013, Manolachi c. Romania; 4 giugno 2013, Hanu c. Romania; 4 giugno 2013, Kostecki c. Polonia; 15 settembre 2015, Moinescu c. Romania; 28 febbraio 2017, Manoli c. Moldavia.

[9] Cass., Sez. II, 20 giugno 2017, n. 41571, cit., p. 19.

[10] Nel caso in questione, il Giudice di prime cure aveva pronunciato condanna nei confronti dell’imputato, basando la propria valutazione sulle sommarie informazioni rese dalle persone offese e da altri soggetti e la Corte d’appello sovvertiva l’esito del processo pronunciando assoluzione, poiché le prove dichiarative erano ritenute contraddittorie e, dunque, inidonee ad accertare la penale responsabilità dell’imputato. A tale conclusione il Giudice d’appello era pervenuto sulla base di una mera lettura degli atti al fascicolo del dibattimento, senza disporre la rinnovazione dell’esame di alcuno dei dichiaranti. Il Procuratore generale presso la Corte d’appello proponeva ricorso per Cassazione, denunciando, fra l’altro, la violazione dell’art. 606, lett. b) e c) c.p.p. in relazione agli artt. 192 c.p.p. e 6 della Cedu, nonché violazione dell’art. 606, lett. e) c.p.p. per motivazione inesistente o manifestamente illogica: secondo l’impugnante, la Corte d’appello, avendo espresso un giudizio delle prove dichiarative opposto rispetto a quanto ritenuto in primo grado, aveva l’obbligo di rinnovare l’istruzione ed escutere nuovamente i dichiaranti.

[11] La fairness processuale - rileva il Collegio - è un valore che la Corte europea dei diritti umani accerta non solo con riguardo ai diritti dell’imputato, ma anche verificando «l’interesse del pubblico e delle vittime a che gli autori del reato siano debitamente perseguiti» (Cass., Sez. II, 20 giugno 2017, n. 41571, cit., p. 19). Allora, poiché la persona offesa sta acquistando sempre maggiore considerazione nel sistema processuale penale, e visto che la sua testimonianza ne rappresenta una centrale forma di partecipazione al processo, il giudice di appello (ex art. 603, comma 3 c.p.p.), per rispettare l’art. 6 C.e.d.u., laddove intenda «pronunciare sentenza di assoluzione in riforma della condanna del primo giudice deve previamente rinnovare la prova testimoniale della persona offesa, allorché, costituendo prova decisiva, intenda valutarne diversamente l’attendibilità: Cass., Sez. II, 20 giugno 2017, n. 41571, cit., p. 21 s.

[12] Cass., Sez. II, 20 giugno 2017, n. 41571, cit., p. 15.

[13]A. Fiaschi, La rinnovazione della prova dichiarativa in appello per riformare la condanna di primo grado, in Dir. pen. proc., 2015, p. 866 ss.; A. Pasta, I principi generali, la CEDU e le responsabilità dei giuristi. Sulla rinnovazione del dibattimento in appello come condizione per un’assoluzione, in Arch. pen., 2017, fasc. 3, p. 1 ss.; Id., Il disagio dell’interprete innanzi alle norme CEDU, in Arch. pen., 2017, f. 1, p. 7 ss.; L. Parlato, Ribaltamento della sentenza in appello: occorre rinnovare la prova anche per la riforma della sentenza di condanna?, in Arch. pen., 2015, fasc. 1, p. 327 ss.; S. Tesoriero, Luci e ombre della rinnovazione, cit., c. 92 ss.

[14] In arg. cfr. V. Aiuti, Appello della condanna e rinnovazione istruttoria, in Diritto penale contemporaneo, 4 maggio 2018, p. 38.

[15]V. Aiuti, Corte europea e “motivazione rafforzata” nel caso Lorefice, in Cass. pen., 2018, p. 689 s.; M. Ceresa-Gastaldo, La riforma dell’appello, tra malinteso garantismo e spinte deflative, in Diritto penale contemporaneo, 18 maggio 2017, p.167 s.; A. Gaito-E.N. La Rocca, Il diritto al controllo nel merito tra immediatezza e ragionevole dubbio, in Arch. pen., 2017, fasc. 3, p. 20 ss.; B. Nacar, La rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello: dubbi applicativi e questioni di legittimità costituzionale, in Dir. pen. proc., 2018, p. 324 s. G. Spangher, Riforma in appello (proscioglimento vs. condanna) e principio di immediatezza, in Giur. it., 2014, p. 2590.

[16] Così V. Aiuti, Appello della condanna, cit., p. 38.

[17] Cfr., sul punto, C. cost., ord. 10 giugno 2010, n. 205, in www.iusexplorer.it.; ord. 30 luglio 2018, n. 318, in www.iusexplorer.it.; ord. 9 marzo 2007, n. 67, in www.iusexplorer.it.

[18] Il virgolettato è tratto dalla pronuncia in commento, p. 9.

[19] Come richiede, oggi, l’art. 603, comma 3-bis, c.p.p.: v., sul punto, infra.

[20]R. Dainelli, Giusto processo d’appello, cit.

[21] Così R. Dainelli, Giusto processo d’appello, cit.

[22] Corte e.d.u., 24 novembre 1986, Unterpertinger c. Austria, cit.; 7 luglio 1989, Bricmont c. Belgio, cit.; 18 maggio 2004, Destrehem c. Francia, cit.; 21 settembre 2010, Marcos Barrios c. Spagna, cit.; 05 luglio 2011, Dan c. Moldavia, cit.; 5 marzo 2013, Manolachi c. Romania, cit.; 4 giungo 2013, Hanu c. Romania, cit.; 04 giugno 2013, Kostecki c. Polonia, cit.; 28 febbraio 2017, Manoli c. Moldavia, cit.; 29 giugno 2017, Lorefice c. Italia; 9 gennaio 2018, Ghincea c. Romania.

[23] Corte e.d.u., 26 aprile 2016, Kashlev c. Estonia; Corte e.d.u., 27 giugno 2017, Chiper c. Romania.

[24] Il virgolettato è tratto dalla pronuncia in commento, p. 11.

[25] Corte e.d.u., 26 maggio 1988, Ekbatani c. Svezia.

[26] In particolare, Corte e.d.u., 26 aprile 2016, Kashlev c. Estonia, cit., è intervenuta in un caso in cui l’imputato aveva espressamente rinunciato ad assistere al proprio procedimento, individuando la “motivazione rafforzata” in appello come mezzo di compensazione in grado di garantire l’equità di una condanna in secondo grado; Corte e.d.u., 27 giugno 2017, Chiper c. Romania, spec. §§ 63 ss., interveniva, invece, in un caso in cui la sentenza di primo grado era stata ribaltata a seguito della rinnovazione di alcuni testimoni: secondo la Corte e.d.u. l’obbligo di riaprire l’istruttoria non può automaticamente estendersi a tutte le prove dichiarative in atti, potendo il giudice valutare sempre - con opportuna motivazione - il «valore probatorio» delle prove da rinnovare.

[27] V., sul punto, infra.

[28]Nello sesso senso, V. Aiuti, Appello della condanna, cit., p. 42.

[29] Salva la già richiamata sentenza Corte e.d.u., 26 maggio 1988, Ekbatani c. Svezia, cit.

[30] Cfr., ex multis, Corte e.d.u., 26 maggio 1988, Ekbatani c. Svezia, cit., § 31 ss.; Corte e.d.u., 18 maggio 2004, Destrehem c. Francia, cit., § 41 ss.; Corte e.d.u., 5 luglio 2011, Dan c. Moldavia, cit.; Corte e.d.u., 9 gennaio 2018, Ghincea c. Romania, cit.

[31] Corte eur., 29 giugno 2017, Lorefice c. Italia, cit.; in arg. cfr. L. Pressacco, Una censura ampiamente annunciata: la Corte di Strasburgo condanna l’Italia per il ribaltamento in appello della assoluzione senza rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, in Diritto penale contemporaneo, 12 luglio 2017.

[32] Sul punto, v. N. Galantini, La riassunzione della prova dichiarativa in appello: note a margine di sezioni unite troise, in Diritto penale contemporaneo, 17 aprile 2018, p. 2.

[33] Corte e.d.u., 27 giugno 2017, Chiper c. Romania, cit., §§ 63 ss. V., inoltre, Corte e.d.u., 26 aprile 2016, Kashlev c. Estonia, cit.

[34] Il virgolettato è tratto dalla pronuncia in commento, p. 10.

[35]L. Roccatagliata, La rinnovazione in appello della istruzione dibattimentale: la Cassazione demolisce i (pochi) approdi sicuri cui era giunta la Legge Orlando, in www.giurisprudenzapenale.com., 5 novembre 2017.

[36] In particolare, il riferimento è al D.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212, che ha dato attuazione alla direttiva 2012/29/UE del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e sostituisce la precedente decisione-quadro 2001/220/GAI, con l’obiettivo di armonizzare le disposizioni normative degli Stati membri dell’U­nione in relazione alle modalità di esercizio dei diritti delle vittime lungo tutto l’arco del procedimento penale. Nella medesima direzione di tutela s’inscrivono anche altri strumenti di recente introdotti dal legislatore al fine di recepire le indicazioni dettate da numerose fonti normative euro-unitarie o internazionali di protezione delle vittime di reato, come ad es.: a) il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 24 (attuativo della direttiva 2011/36/UE, relativa alla prevenzione e alla repressione della tratta di esseri umani e alla protezione delle vittime, che sostituisce la decisione-quadro 2002/629/GAI); b) il decreto legislativo 11 febbraio 2015, n. 9 (attuativo della direttiva 2011/99/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011 sull’ordine di protezione europeo); c) la legge 1° ottobre 2012, n. 172, di ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa del 2007 per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale (Convenzione di Lanzarote); d) la legge 27 giugno 2013, n. 77, di ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, firmata ad Istanbul l’11 maggio 2011.

[37] Il virgolettato è tratto dalla pronuncia in commento, p. 16.

[38] Così, sentenza in commento, p. 16.

Sul punto, in senso critico, V. Aiuti, Appello della condanna, cit., p. 38: «ne discende che l’individuazione delle condizioni in presenza delle quali la rinnovazione è assolutamente necessaria viene nuovamente lasciata solo al prudente apprezzamento del giudice d’appello». Le Sezioni unite non hanno, cioè, «chiarito in quali “appelli della condanna” il vecchio art. 603, commi 1 e 3, c.p.p. trovi la sua naturale applicazione, anche alla luce dei suggerimenti ricavabili dalle sentenze della Corte europea» (ad esempio, Corte e.d.u., 5 luglio 2011, Dan c. Moldavia, cit., § 33, cit., che evidenzia come la critica contenuta nell’atto di appello dell’imputato legata alla valutazione di attendibilità compiuta in primo grado, resti «un compito complesso, che di solito non può essere soddisfatto in base ad una semplice rilettura delle dichiarazioni scritte»).

[39] Il nuovo comma 3-bis stabilisce che: «Nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale».

[40] V. sentenza in commento, p. 17.

[41] Va precisato che le Sezioni unite, con la pronuncia in commento, colgono l’occasione per ripetere gli insegnamenti delle sentenze Dasgupta e Patalano, alla luce del nuovo art. 603, comma 3-bis, c.p.p., a proposito dell’obbligo di riassunzione della prova dichiarativa posta a base della pronuncia assolutoria emessa a seguito di giudizio abbreviato: non contemplando, il testo dell’art. 603 c.p.p., «eccezioni di sorta», la nuova norma andrebbe pedissequamente applicata anche in tale caso. «La rinuncia al contraddittorio […] non può riflettersi negativamente sulla giustezza della decisione, né può incidere sulla prioritaria funzione cognitiva del processo, il cui eventuale esito di condanna esige, sia nel giudizio ordinario che in quello abbreviato, la prova della responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio, poiché oggetto del consenso dell’imputato ai sensi dell’art. 111, quinto comma, Cost. è la rinuncia ad un metodo di accertamento, il contraddittorio nella formazione della prova, non all’accertamento della responsabilità nel rispetto del canone epistemologico attraverso cui si invera il principio stabilito dall’art. 27, secondo comma, Cost.»: il virgolettato è tratto dalla pronuncia in commento, p. 20. In arg. v. N. Galantini, La riassunzione della prova dichiarativa in appello, cit., p. 4 ss.

[42] Sul punto, v. A. Capone, Appello del pubblico ministero e rinnovazione istruttoria, in M. Bargis-H. Belluta (a cura di), La riforma delle impugnazioni tra carenze sistematiche e incertezze interpretative. Commento alla Legge 23 giugno 2017, n. 103 e al d. lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, p. 62.

[43] Corte cost., 6 febbraio 2007, n. 26, in Giur. cost., 2007, p. 221, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della l. n. 46 del 2006, nella parte in cui, sostituendo l’art. 593 c.p.p., esclude che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall’art. 603, comma 2, del medesimo codice, se la nuova prova è decisiva.

[44] In proposito, non va sottaciuto che le Sezioni unite, nella pronuncia in commento, dissipando alcune incertezze maturate in dottrina all’indomani dell’entrata in vigore del comma 3 bis, hanno precisato che l’espressione utilizzata dal legislatore nella nuova disposizione - secondo cui il giudice deve procedere, nell’ipotesi considerata, alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale - non equivale alla introduzione di un obbligo di rinnovazione integrale dell’attività istruttoria - che risulterebbe palesemente in contrasto con l’esigenza di evitare un’automatica ed irragionevole dilatazione dei tempi processuali -, ma semplicemente alla previsione di una nuova, mirata, assunzione di prove dichiarative ritenute dal giudice d’appello "decisive" ai fini dell’accertamento della responsabilità, secondo i presupposti già indicati nella precedente sentenza Dasgupta. Secondo il Collegio, coordinando la locuzione impiegata dal legislatore nel comma 3-bis con quelle - del tutto identiche sul piano lessicale - già utilizzate nei primi tre commi della medesima disposizione normativa, deve ritenersi che «il giudice d’appello sia obbligato ad assumere nuovamente non tutte le prove dichiarative, ma solo quelle che - secondo le ragioni puntualmente e specificamente prospettate nell’atto di impugnazione del pubblico ministero - siano state oggetto di erronea valutazione da parte del giudice di primo grado e vengano considerate decisive ai fini dello scioglimento dell’alternativa "proscioglimento-condanna"».

[45] Nello stesso senso, V. Aiuti, Appello della condanna, cit., p. 46 s.

[46]V. Aiuti, Obbligo di rinnovazione e prova dichiarativa (comma 58 l. n. 103/2017), in A. Marandola - T. Bene (a cura di), La riforma della giustizia penale, Milano, Giuffrè, 2017, p. 257.

[47]A. Capone, Appello del pubblico ministero, cit., p. 79.

[48] La locuzione “motivazione rafforzata” - ricorrente ormai in molte pronunce di legittimità - esprime, con la forza semantica del lemma, il più intenso obbligo di diligenza richiesto al giudice d’appello, in ogni caso di overturning decisorio in appello: v., ex plurimis, Cass., sez. un., 4 febbraio 1992, n. 6682, in CED Cass., n. 19122901; Cass., Sez. un., 12 luglio 2005, n. 33748, in Riv. pen., 2005, p. 1169.

[49] V., tra le tante, Cass., sez. VI, 20 gennaio 2015, n. 10130, in CED Cass., n. 262907.

[50] Cass., sez. II, 20 giugno 2017, n. 41571, cit., p. 7.