Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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De jure condendo (di Nicola Triggiani)


RIMBORSO (O DETRAZIONE FISCALE) DELLE SPESE SOSTENUTE PER LA DIFESA DALL’IMPUTATO PROSCIOLTO È all’esame della Commissione Giustizia del Senato il d.d.l. S. 2153, a firma dei sen. Albertini e altri, recante «Modifiche all’articolo 530 del codice di procedura penale, in materia di rimborso delle spese di giudizio». Nella seduta della Commissione del 3 marzo 2016, il d.d.l. era stato abbinato – insieme a molti altri d.d.l. – al d.d.l. S. 2067, già approvato in prima lettura dalla Camera dei Deputati il 23 settembre 2015 e recante «Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi nonché all’ordinamento penitenziario per l’effettività rieducativa della pena»; nella successiva seduta del 31 marzo 2016, il d.d.l. in oggetto è stato, invece, stralciato insieme ad altre proposte di legge, sul presupposto che i citati disegni di legge disciplinino materie non specificamente trattate dal d.d.l. n. 2067 ovvero riguardino modifiche di tipo generale e sistemico del codice penale o del codice di procedura penale, pertanto non sussumibili nell’esame del predetto testo approvato dalla Camera dei Deputati. Il d.d.l. S. 2153 è teso ad introdurre nell’art. 530 c.p.p. un comma 2-bis, così formulato: “Se il fatto non sussiste, se l’imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il giudice, nel pronunciare la sentenza, condanna lo Stato a rimborsare tutte le spese di giudizio, che sono contestualmente liquidate. Se ricorrono giusti motivi il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti. Nel caso di dolo o di colpa grave da parte del pubblico ministero che ha esercitato l’azione penale, lo Stato può rivalersi per il rimborso delle spese sullo stesso magistrato che ha esercitato l’azione penale”. Nella Relazione di accompagnamento si osserva che il d.d.l. introduce nel codice di procedura penale “un principio di equità e di giustizia reale e concreta”, posto che “molte volte i cittadini sono costretti a subire quella che viene definita una ‘cattiva giustizia’”, con pesanti ripercussioni anche sulle loro condizioni morali, familiari ed economiche, sicché sembra rispondere ad un principio di “civiltà giuridica” sollevarli dalle spese di giudizio sopportate in caso di palese innocenza. La questione affrontata nel d.d.l. in esame non è certamente nuova ed è particolarmente seria: una coerente applicazione del “principio di soccombenza” porterebbe in effetti – specularmente all’obbligo, a carico del [continua..]

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