Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Corte costituzionale (di Francesca Delvecchio)


IL REGIME DI UTILIZZABILITÀ DEGLI ATTI NEL PROCEDIMENTO CAUTELARE (C. cost., ord. 13 aprile 2016, n. 87) La Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità dell’art. 291 c.p.p., sollevata in riferimento agli artt. 3, 27, comma 2, e 111, comma 2, Cost. dal Tribunale ordinario di Grosseto, nella parte in cui tale disposizione, come interpretata dalla Corte di Cassazione, «consente al pubblico ministero di presentare a fondamento della richiesta cautelare elementi diversi da quelli utilizzabili dal giudice che procede secondo le disposizioni regolative del procedimento o della fase del procedimento penale di cognizione in corso di svolgimento, e comunque nella parte in cui consente al giudice dibattimentale di utilizzare in funzione decisoria sulla richiesta cautelare elementi diversi da quelli legittimamente acquisiti nel dibattimento». Il giudice a quo muove dalla critica nei confronti di un principio «solidamente accreditato» dalla giurisprudenza di legittimità, in forza del quale gli elementi utilizzabili dal giudice ai fini della decisione in materia cautelare, indipendentemente dalla fase o dal grado in cui versa il procedimento principale di cognizione, siano solo quelli risultanti dagli atti delle indagini preliminari del P.M. (Cass., sez. II, 13 gennaio 2009, n. 1179; Cass., sez. II, 5 marzo 2001, n. 9395), salvo che gli atti di indagine abbiano già condotto alla formazione in contraddittorio della prova con essi individuata, nel qual caso l’elemento utilizzabile nel giudizio cautelare sarebbe quello assurto alla dignità di prova (Cass., sez. I, 21 marzo 2012, n. 10923). Dopo aver evidenziato le «fallacie induttive» di una simile ricostruzione, il Tribunale toscano ne svela l’incerta tenuta costituzionale. Innanzitutto, l’orientamento in discussione si pone in contrasto con i principi di imparzialità del giudice e del contraddittorio processuale, sanciti dall’art. 111, comma 2, Cost., poiché il giudice del dibattimento si troverebbe ad operare una pregnante valutazione di merito sullo stesso oggetto sostanziale del processo, basandosi su atti inutilizzabili nella fase dibattimentale in corso, la cui conoscibilità altererebbe in maniera inevitabile il suo «stato psicologico», condizionandone il convincimento e, per l’effetto, falsando il contraddittorio in giudizio. L’interpretazione avversata violerebbe, poi, la presunzione di non colpevolezza dell’imputato, ex art. 27, comma 2, Cost., non potendosi ritenere coerente con quest’ultima la possibilità che il giudice del dibattimento anticipi il giudizio di responsabilità, anziché sulla base degli elementi cognitivi da lui stesso acquisiti nel contraddittorio tra le parti, sulla base di atti assunti da organi inquirenti in altra fase [continua..]

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