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Inammissibile l'impugnazione della misura cautelare reale una volta intervenuta la sentenza di condanna
CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE VI, SENTENZA 23 DICEMBRE 2016, N. 54752 - PRES. PAOLONI; REL. SCALIA
In tema di misure cautelari reali il giudice della cautela non può, una volta intervenuta la sentenza di condanna non definitiva, pronunciarsi sulla sussistenza del fumus delictiaccertato in sede di cognizione; conseguentemente è inammissibile l’impugnazione cautelare volta a contestare l’esistenza dei presupposti della misura reale. Dette contestazioni vanno proposte con i mezzi di impugnazione delle sentenze.
[Omissis]
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
- Con ordinanza del 30 marzo 2016, il Tribunale di Firenze ha rigettato la richiesta di riesame avanzata nell’interesse di P.E. avverso il decreto di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, emesso dal Tribunale di Firenze, quale giudice del dibattimento, il 29 febbraio 2016 ed avente ad oggetto somme di denaro, beni mobili o valori, al prevenuto riferibili, fino alla concorrenza della somma di Euro 6.726.538,82, in relazione al reato di cui all’art. 321 c.p.
Il decreto di sequestro del 29 febbraio era stato adottato successivamente alla sentenza del 18 gennaio 2016 con cui il medesimo Tribunale aveva condannato il P., legale rappresentate dell’impresa del dott. G.T. S.p.A., alla pena di giustizia una volta accertatane la penale responsabilità in ordine al reato di cui agli artt. 110 e 321 c.p., per avere egli conseguito, giusta atto corruttivo, profitto consistente in un risparmio di imposta.
In siffatto contesto era stata disposta la confisca di beni mobili ed immobili al prevenuto e/o all’impresa appartenenti, per quest’ultima nei termini di cui alla L. n. 231 del 2001, beni derivanti dal reinvestimento del profitto del reato o risparmio di imposta, per un valore di Euro 6.726.538,82 e di Euro 8.092,63, in relazione alle due distinte contestate imputazioni.
- Avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame ricorre per cassazione, con il ministero di difensore di fiducia, P.E. che articola quattro motivi in annullamento.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia l’intervenuta violazione del ne bis in idem cautelare in cui sarebbe incorso, per l’impugnato provvedimento, il Tribunale del Riesame di Firenze rispetto alla propria precedente ordinanza del 27 gennaio 2016.
Per quest’ultima infatti il medesimo organo giudicante aveva annullato altro provvedimento di sequestro preventivo, finalizzato a confisca per equivalente, emesso dal Tribunale di Firenze il 21 ottobre 2015, nel presupposto che all’epoca dei fatti in contestazione l’art. 322 ter c.p.p., comma 1, non avrebbe previsto la confiscabilità per equivalente del profitto della corruzione.
L’impugnata ordinanza del Riesame del 30 marzo 2016, nel confermare il decreto dei giudici fiorentini del dibattimento in data 29 febbraio 2016, aveva infatti mancato di valutare, in tal modo rivelando la propria illegittimità, l’esistenza di un possibile novum rispetto alle prove in precedenza ritenute e tradottesi nel sequestro preventivo disposto per decreto del 21 ottobre 2015, annullato in sede di riesame il 27 gennaio 2016.
Si denuncia altresì violazione delle norme in materia di impugnazioni per non avere il P.m. impugnato in cassazione il precedente annullamento del Tribunale del Riesame del 27 gennaio 2016 e per avere scelto di reiterare l’originaria richiesta di sequestro preventivo dinanzi al giudice del dibattimento.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia apparenza di motivazione del Tribunale e violazione dell’art. 322 ter c.p.p., per non avere i giudici preventivamente valutato la possibilità di eseguire il sequestro in forma diretta e specifica nei confronti dell’impresa T., soggetto giuridico percettore del risparmio d’imposta e quindi del profitto del reato per essersi avvantaggiato dell’accertamento fiscale con adesione, frutto del pactum sceleris.
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia assenza di motivazione su esistenza e quantificazione del profitto del reato e, ancora, violazione di legge, per avere i giudici del riesame disposto la confisca in assenza dei presupposti normativi, erroneamente apprezzando l’importo dell’imposta evasa di Euro 6.726.538,82 quale profitto del reato di corruzione nonostante la legittimità, da leggersi ai sensi del D.Lgs. n. 218 del 1997, dell’accertamento con adesione, naturale esito della verifica tributaria subita anche in difetto di accordo corruttivo.
Il profitto stesso avrebbe dovuto identificarsi non con l’imposta evasa, ma con il risparmio di spesa che l’impresa T. avrebbe conseguito con la stipula dell’atto di adesione.
2.4. Con il quarto motivo, si denuncia motivazione apparente e violazione dell’art. 545 c.p.p., in relazione alla non sequestrabilità delle somme derivanti dalla pensione dell’imputato, questione erroneamente qualificata dal tribunale come esclusivamente attinente all’esecuzione del sequestro e quindi di competenza del Pubblico Ministero ed estranea alla cognizione del giudice del riesame.
Motivi della decisione
- Il primo motivo di ricorso non è fondato.
Risponde a regola generale l’affermazione per la quale in tema di misure cautelari non incorre in violazione del ne bis in idem il provvedimento di rinnovo di misura, che sia stata caducata per ragioni di carattere formale non destinate a toccare il merito del precedente e come tali non produttive di giudicato endoprocessuale (arg. ex sez. 6, n. 872 del 21/02/2000, Esposito, Rv. 216925; sez. 5, n. 29991 del 02/04/2003, Apuzzo, Rv. 226369). Alla categoria dell’annullamento formale va ricondotta ogni questione di natura qualificatoria diretta a valutare l’assoggettamento di concrete fattispecie a sopraggiunte modifiche normative che, in quanto negativamente definita, non si traduca in una valutazione di merito.
Con la prima ordinanza di annullamento, escludendo che all’epoca dei fatti in contestazione l’art. 322 ter c.p.p., comma 1, vigente, prevedesse la confiscabilità per equivalente del profitto della corruzione, il Tribunale del Riesame non ha, per ciò stesso, investito con la sua cognizione il merito della cautela.
Resta estranea quindi ad un siffatto accertamento la preclusione da giudicato cautelare.
- Il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso vanno rigettati perché non fondati per ragioni che sfiorano il tema dell’ammissibilità in ragione dell’interesse stesso alla proposizione del mezzo.
Fermo quanto già rilevato in punto di insussistenza della richiamata preclusione processuale da giudicato, si ha infatti che là dove sia intervenuta sentenza di condanna di primo grado, cui si accompagni il passaggio dallo strumento reale del sequestro preventivo alla definitiva misura della confisca D.L. n. 306 del 1992, ex art. 12 sexies, non possono ancora venire in discussione i presupposti della misura cautelare.
Ogni contestazione va piuttosto ricondotta in quella di merito da esercitarsi a mezzo dell’impugnazione della sentenza (art. 579 c.p.p., comma 3) con conseguente inammissibilità dell’eventuale impugnazione cautelare proposta (sez. 1, n. 12769 del 12/02/2016, Verde, Rv. 266691).
Anche in tema di misure cautelari reali vale il principio che, una volta intervenuta, nel corso del procedimento principale, la sentenza non definitiva di merito, il giudice della cautela non può discostarsi nella valutazione del fumus ovverosia degli elementi prognostici che legittimano la misura da quanto oramai accertato nei confronti dell’imputato in sede di cognizione (sez. 1, n. 12769, cit., in motivazione che richiama sul punto: sez. 3, n. 45913 del 15/10/2015 Rv. 265544; sez. 4, n.8016 del 17/01/2014, Rv. 259322; sez. 5, n. 1709 del 09/04/1997 Rv. 208138).
L’indicato principio deve trovare applicazione nella specie in esame in cui, nelle more del giudizio cautelare svoltosi sul disposto sequestro preventivo, è intervenuta sentenza del Tribunale di Firenze del 18 gennaio 2016 di condanna del ricorrente, per la contestata ipotesi di cui agli artt. 110 e 321 c.p., e di confisca dei beni.
Su siffatta premessa e quindi sul carattere strumentale dell’impugnato provvedimento cautelare, assorbito, quanto a rilievo ed autonomia, dalla successiva sentenza, ogni ulteriore profilo di ricorso - così per quello relativo alla nozione di profitto che si assume in ricorso erroneamente apprezzata dal Tribunale del Riesame giusta adottata limitata lettura che vorrebbe il primo pari all’imposta evasa, obliterata ogni conseguenza della possibile adozione di un accertamento fiscale per adesione; così per quello sulla non sequestrabilità del trattamento pensionistico del ricorrente se non nei limiti di legge (art. 545 c.p.c.) - resta non fondatamente coltivato e finanche utilmente introdotto.
- Il ricorso va conclusivamente rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
[Omissis]