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Impugnazione cumulativa parzialmente inammissibile e immediata declaratoria delle cause di non punibilità

di Rossella Fonti

Chiamate a pronunciarsi sulla possibilità di dichiarare, in presenza di un ricorso cumulativo ammissibile solo per un capo della sentenza, la prescrizione - maturata successivamente alla sentenza di appello - del reato oggetto di un altro capo impugnato con motivi inammissibili, le Sezioni Unite accolgono la soluzione negativa. In tal modo il Supremo Consesso recepisce e assembla le consolidate quanto discutibili conclusioni giurisprudenziali sulle due tematiche che fanno da sfondo alla risoluzione della questione, ossia la formazione del c.d. “giudicato parziale” e il rapporto tra l’inammissibilità dell’impugnazione e le cause di non punibilità di cui all’art. 129 c.p.p.

 
Partially inadmissible cumulative appeal and immediate declaration of causes of non-punishment enshrined in art. 129 c.p.p.

The Supreme Court called to declare the offence, object of a heading of a judgment challenged on the basis of inadmissible grounds, time barred, with reference to a cumulative appeal admissible only for a heading of the judgment, gave a negative answer.

In this way, the Supreme Court accepted the consolidated but questionable case law on two topics that were behind the question to solve: the progressive construction of “partial” res iudicata and the relationship between the inadmissibility of appeal and the immediate declaration of causes of non-punishment enshrined in art. 129 CPP

CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE

Con la sentenza in esame, le Sezioni Unite affrontano una questione delicata, nella quale si sommano e si intrecciano due tematiche oggetto di risalenti e accesi dibattiti interpretativi: da un lato, le interrelazioni tra i diversi capi della sentenza oggettivamente complessa ai fini dell’impugnazione e del giudicato e, dall’altro lato, il rapporto tra la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione e l’immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità.

La vicenda da cui la quaestio iuris trae origine può essere così sintetizzata. Avverso la sentenza di appello che aveva confermato la condanna per due distinti reati di falsa testimonianza, l’imputato proponeva ricorso per cassazione adducendo, tra l’altro, la mancata declaratoria della prescrizione di entrambi i reati da parte del giudice di secondo grado. La Sezione assegnataria del ricorso, nel riscontrare che effettivamente il reato di cui al capo B si era prescritto durante lo svolgimento del giudizio d’appel­lo, riteneva, in linea con l’assunto secondo cui l’omessa pronuncia della maturata prescrizione integra un error in iudicando deducibile in sede di legittimità [1], ammissibile e fondata la censura in relazione al capo in questione. Quanto al capo A, venivano invece giudicati inammissibili per manifesta infondatezza tutti i motivi proposti, incluso quello con cui ci si doleva della mancata declaratoria della prescrizione del reato; a quest’ultimo proposito, la Cassazione rilevava che in ordine a tale reato la causa estintiva si era verificata - contrariamente all’assunto dell’impugnante - non prima, ma successivamente alla definizione del giudizio di secondo grado.

L’esito della vicenda sarebbe stato piuttosto scontato, per i giudici di legittimità, là dove il ricorso avesse avuto ad oggetto solo il reato di cui al capo A: secondo un granitico orientamento giurisprudenziale l’inammissibilità del ricorso per cassazione (anche per manifesta infondatezza dei motivi), non consentendo l’instaurazione di un valido rapporto processuale di impugnazione, impedisce la declaratoria della prescrizione intervenuta dopo la sentenza d’appello [2]. Senonché, l’immediato approdo a tale epilogo era ostacolato, nel caso di specie, dalla peculiarità di essere al cospetto di un’impugnazione cumulativa che risultava ammissibile in ordine ad un diverso capo della sentenza oggettivamente complessa.

Si trattava, in definitiva, di stabilire se la richiamata conclusione giurisprudenziale sull’(in)ope­ratività della declaratoria ex art. 129 c.p.p. dovesse essere rimodulata, nel caso di ricorso cumulativo parzialmente ammissibile, in ragione della eventuale “contaminazione positiva”  [3] tra le regiudicande sotto il profilo della valida instaurazione del rapporto processuale di impugnazione.

Preso atto dell’esistenza di un contrasto interpretativo sul punto [4], la Sesta Sezione rimetteva, pertanto, alle Sezioni Unite la questione concernente la possibilità o meno, in presenza di un ricorso cumulativo per diversi e autonomi capi di imputazione, di dichiarare la prescrizione - maturata dopo la sentenza di secondo grado - del reato il cui capo è stato impugnato con motivi inammissibili, nel caso di accoglimento del motivo afferente ad un altro capo della sentenza oggettivamente complessa [5].

Nell’accogliere la soluzione negativa [6], patrocinata dall’orientamento prevalente, le Sezioni Unite condividono e sviluppano gli elementi tradizionalmente richiamati a sostegno della tesi della formazione frazionata del giudicato nel caso di impugnazione parziale impropria [7], sul presupposto che «sul piano degli effetti processuali la mancata impugnazione equivale all’impugnazione originariamente invalida»  [8].

Coerente e consequenziale rispetto alla ricostruzione giurisprudenziale dell’istituto del giudicato parziale, la conclusione adottata nella sentenza in esame condivide con essa i numerosi profili di criticità da tempo evidenziati in dottrina; alle perplessità in questione si aggiungono inoltre ulteriori riserve, tra le quali, in particolare, quella suscitata dall’incondizionata adesione all’assunto della prevalenza della declaratoria d’inammissibilità (anche per manifesta infondatezza dei motivi) sulla pronuncia ex art. 129 c.p.p.

L’ITER ARGOMENTATIVO DELLE SEZIONI UNITE: L’AUTONOMIA DEI CAPI DELLA SENTENZA OGGETTIVAMENTE COMPLESSA AI FINI DELL’IMPUGNAZIONE E DEL GIUDICATO

La soluzione della questione sottoposta alle Sezioni Unite è fortemente condizionata dalla ricostruzione sistematica dei rapporti tra i diversi capi della sentenza cumulativa, dovendosi stabilire se essi, ancorché contenuti in una decisione documentalmente unica, siano autonomi e scindibili ai fini dell’instaurazione del rapporto di impugnazione e della formazione del giudicato ovvero se la loro trattazione congiunta generi legami destinati a ripercuotersi sulla successiva evoluzione della vicenda processuale.

La tesi dell’autonomia e scindibilità delle regiudicande costituisce il fulcro argomentativo dell’elabo­razione giurisprudenziale sul tema della formazione progressiva del giudicato nel caso di impugnazione della sentenza oggettivamente complessa.

Sebbene la possibilità di una formazione frazionata della res iudicata (il c.d. giudicato parziale o progressivo [9]) sia espressamente contemplata solo in relazione all’annullamento parziale con rinvio pronunciato dalla Corte di Cassazione - ai sensi dell’art. 624, comma 1, c.p.p. quando l’annullamento non concerne tutte le disposizioni della sentenza «questa ha autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annullata» -, un consolidato orientamento giurisprudenziale, sviluppatosi già durante la vigenza del codice del 1930, ritiene che l’irrevocabilità asincronica possa altresì verificarsi nella diversa ipotesi dell’impugnazione parziale della sentenza [10]. A questo proposito, si era anche registrato un indirizzo pretorio che, pretendendo di estendere alla situazione de qua l’esegesi giurisprudenziale sul concetto di “parti della sentenza” di cui all’art. 624 c.p.p. [11], aveva ritenuto che, nell’ipotesi di impugnazione di una sentenza solo quoad poenam, fosse inibita al giudice ad quem l’applicazione dell’art. 129 c.p.p., stante l’avvenuta formazione del giudicato progressivo sul punto non impugnato concernente la responsabilità dell’imputato [12]. Conclusione, questa, sconfessata da una nota pronuncia delle Sezioni Unite [13] che, nell’escludere la possibilità di trasporre la disciplina dell’an­nullamento parziale ad una fattispecie ontologicamente eterogenea, aveva precisato che, nel caso di impugnazione parziale, il giudicato parziale può formarsi non con riguardo ai “punti” della decisione, ma solo in relazione ai “capi” della sentenza cumulativa. Veniva pertanto confermato che i capi della sentenza complessa, essendo «autonomi ad ogni effetto giuridico e, perciò, anche ai fini dell’impu­gnazione, stante il principio della pluralità delle azioni penali, tante per quanti sono gli imputati e, per ciascun imputato, tante quante sono le imputazioni», passano in giudicato se non risultano investiti da impugnazione, con l’ulteriore conseguenza dell’inapplicabilità delle cause estintive qualora esse «attengano ad un capo della sentenza passato in giudicato perché non toccato, nella sua interezza, dalle censure formulate con i motivi di gravame» [14].

Tali statuizioni vengono riprese e condivise nella sentenza in esame che ne incrementa l’apparato argomentativo sulla scorta delle indicazioni della giurisprudenza successiva.

Più in particolare, ravvisata la principale base normativa dell’autonomia dei capi della sentenza impugnata nell’art. 581, comma 1, lett. a), c.p.p. - ai sensi del quale, nell’atto di impugnazione devono essere specificamente enunciati, a pena di inammissibilità, “i capi o i punti della decisione ai quali si riferisce l’impu­gnazione” -, ulteriori conferme al principio in esame vengono desunte da quelle norme processuali che, nel caso di indagini preliminari “cumulative” e nei giudizi di merito e di legittimità plurimi sotto il profilo oggettivo, fanno comunque riferimento, rispettivamente, a singoli fatti-reato (artt. 335 e 405 c.p.p.), e a singole imputazioni (artt. 17, 18, 610, 533 e 624 c.p.p.).

Dalla constatazione che a ciascuna imputazione corrisponde una distinta situazione processuale si fa derivare che l’impugnazione oggettivamente plurima, anche se contenuta in un documento formalmente unico, «deve considerarsi concettualmente distinta ed autonoma per quanto riguarda i singoli reati, cioè i vari capi della sentenza. Con la conseguenza che l’ammissibilità o inammissibilità della stessa deve essere valutata in relazione ai singoli capi cui si riferisce» [15], a prescindere dalla sorte processuale delle altre impugnazioni sulla medesima sentenza. Nel condividere il rilievo stando al quale non sussisterebbe alcuna ragione sistematica che giustifichi la “contaminazione positiva” tra regiudicande autonome [16], le Sezioni Unite escludono che «l’ammissibilità dell’impugnazione per uno dei reati possa determinare l’instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali l’impugnazione sia inammissibile e preclude per detti reati, in relazione ai quali si è formato il giudicato parziale, la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello».

In definitiva, mediante tale soluzione viene fornito un ulteriore tassello alla tesi della formazione progressiva del giudicato nel caso di impugnazione della sentenza oggettivamente complessa: il giudicato parziale si verificherebbe, oltre che nell’ipotesi in cui l’impugnazione sia stata esperita solo nei confronti di alcuni capi della stessa decisione, anche là dove, a fronte di un ricorso cumulativo, l’impu­gnazione risulti ammissibile solo con riferimento ad alcune regiudicande.

Al contempo, la pronuncia in esame, nell’escludere la possibilità di dichiarare l’estinzione per prescrizione, intervenuta dopo la sentenza di appello, del reato in relazione al quale sono stati presentati motivi manifestamente infondati, conferma e corrobora il consolidato approdo della giurisprudenza in ordine al rapporto tra la declaratoria ex art. 129 c.p.p. e quella di inammissibilità.

Prevedibile sviluppo delle acquisizioni giurisprudenziali che ne costituiscono la premessa e l’humus argomentativo, la conclusione delle Sezioni Unite replica e amplifica le criticità dei relativi risultati esegetici. All’analisi di tali profili sono dedicate le considerazioni che seguono.

LE PERPLESSITÀ SULLA CONFIGURABILITÀ DEL GIUDICATO PARZIALE IN RELAZIONE AI CAPI DELLA SENTENZA OGGETTIVAMENTE CUMULATIVA NON IMPUGNATI O IMPUGNATI INVALIDAMENTE

Per quanto sia consolidata nell’elaborazione giurisprudenziale, la tesi della formazione del giudicato parziale nel caso di impugnazione della sentenza oggettivamente complessa si espone a obiezioni tutt’altro che infondate.

Premesso che il prodursi del giudicato «è fenomeno troppo importante perché lo si possa ravvisare di fronte al più assoluto silenzio legislativo» [17], un primo dato inconfutabile è costituito proprio dall’assenza di esplicite previsioni che contemplino la formazione della res iudicata sul capo non impugnato. L’immutabilità delle parti della sentenza non impugnate non è prevista, infatti, né dalle norme che regolano l’effetto devolutivo delle singole impugnazioni (artt. 597 e 609 c.p.p.), né dall’art. 648 c.p.p., che, nel disciplinare l’irrevocabilità - tanto conseguente all’intempestiva presentazione dell’im­pugnazione, quanto sviluppatasi a seguito della proposizione dell’impugnazione -, si riferisce «alla sentenza nel suo complesso, anziché ai singoli capi o punti della medesima» [18].

Priva di un espresso referente normativo, la configurabilità del giudicato progressivo sui capi non impugnati non si giustifica pienamente neanche a livello sistematico. Sebbene sia indubitabile che ogni capo di una medesima sentenza possa astrattamente costituire da solo il contenuto di una pronuncia, non può essere considerata irrilevante e scevra da implicazioni, ai fini della successiva sorte delle regiudicande, la circostanza che le diverse imputazioni siano state definite nell’ambito dello stesso processo. Ed invero, la trattazione congiunta di più reati, lungi dal costituire un dato meramente casuale/occasionale, dipende evidentemente da precisi nessi sostanziali e processuali, che sono idonei a condizionare il seguito della vicenda processuale. Per un verso, sono gli stessi presupposti del processo oggettivamente cumulativo ad evidenziare il legame che avvince le diverse imputazioni, le quali possono essere accertate nell’ambito dello stesso contesto processuale solo in quanto risultino connesse o probatoriamente collegate [19]; per altro verso, l’accertamento unitario genera ulteriori interconnessioni a livello processuale, rendendo necessariamente comuni alle diverse regiudicande eventuali violazioni della legge processuale che coinvolgano il processo e la sentenza nel loro complesso.

Tali nessi sono suscettibili di emergere o comunque di proiettarsi anche durante il giudizio di impugnazione validamente instaurato solo nei confronti di alcuni capi della sentenza complessa. Si consideri, ad esempio, l’eventualità in cui l’assoluzione per il reato oggetto dell’unico capo impugnato risulti inconciliabile con la condanna del medesimo imputato per l’altro reato, o ancora l’ipotesi in cui il giudice ad quem rilevi la sussistenza di una nullità assoluta che invalidi l’intero processo: in tali casi negare, in ragione delle asserite autonomia e scindibilità delle regiudicande [20], che i poteri di cognizione e decisione del giudice dell’impugnazione possano coinvolgere i capi non impugnati significa esporre il sistema a gravi incongruenze e/o al rischio di giudicati contraddittori (idonei, questi ultimi, a fondare la richiesta di revisione ex art. 630, comma 1, lett. a), c.p.p.).

Proprio alla luce di tali rilievi, una consistente parte della dottrina ha respinto la conclusione giurisprudenziale dell’irrevocabilità tout court dei capi non impugnati, elaborando impostazioni esegetiche alternative, basate sul raffronto con disposizioni che regolano situazioni limitrofe a quella in esame.

In quest’ottica, un primo orientamento, ritenendo applicabile analogicamente all’ipotesi de qua la disciplina dell’effetto estensivo dettata dall’art. 587 c.p.p. in relazione alle sentenze soggettivamente complesse [21], sostiene che il capo non impugnato non passi in giudicato e possa essere travolto da una decisione concernente il capo impugnato che sia idonea a giovare all’imputato [22]; tale idoneità sussisterebbe in presenza di una nullità che determini l’invalidità dell’intero processo [23], ovvero anche - se non si prende come parametro solo il comma 2 dell’art. 587 c.p.p. - al cospetto di legami “sostanziali” tra i diversi capi [24].

Ad esiti in parte simili giungono coloro che escludono la formazione del giudicato sui capi non impugnati, qualora essi risultino “inscindibilmente connessi” con i capi impugnati, ossia «legati così intimamente da rendere logicamente e giuridicamente impossibile una loro valutazione autonoma» [25]. Viene esteso in tal modo all’impugnazione parziale impropria il limite posto - a proposito annullamento parziale con rinvio pronunciato dalla Cassazione - dall’art. 624, comma 1, c.p.p., ai sensi del quale la sentenza «ha autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annullata». Tale ricostruzione, di fatto, dilata notevolmente i margini di intervento del giudice dell’impugnazione, dal momento che, in ragione dei presupposti sui quali si fonda la riunione dei processi, la sussistenza della connessione essenziale potrebbe essere sostenuta piuttosto agevolmente nella maggior parte dei casi di impugnazioni parziali improprie [26].

Il raffronto con l’art. 624 c.p.p. è valorizzato anche da un’altra condivisibile impostazione, che trae dalla formulazione di tale norma un significativo elemento per approdare alla più radicale conclusione dell’esclusione, in ogni caso, del verificarsi della res iudicata sui capi non impugnati: l’art. 624, comma 1, c.p.p. pone non solo il limite alla formazione del giudicato progressivo in presenza di una connessione essenziale tra le diverse parti della sentenza, ma anche e anzitutto la regola per cui prima della sentenza di annullamento parziale della Cassazione il giudicato sul singolo capo, in pendenza del procedimento di impugnazione su un altro capo, non è configurabile [27].

Unica disposizione del codice di rito in cui è contemplata expressis verbis l’eventualità di una produzione parcellizzata del giudicato, l’art. 624 c.p.p. conferma, in definitiva, la regola generale della formazione sincronica e unitaria del giudicato evincibile dalla formulazione dell’art. 648 c.p.p.: la lettura sinergica degli artt. 624 e 648 c.p.p. induce a ritenere che la prima disposizione introduca un’esplicita deroga alle previsioni della seconda, in ragione delle peculiari caratteristiche delle sentenze pronunciate dalla Cassazione - geneticamente irrevocabili - e dei consequenziali limiti del giudizio di rinvio nel quale non possono essere scalfite le parti della sentenza non annullate, quando esse non siano connesse in modo essenziale con quelle annullate. A tali limiti (totalmente) preclusivi non possono essere assimilati quelli che si pongono per il giudice ad quem al cospetto di un’impugnazione parziale: i primi, essendo diretta conseguenza dell’irrevocabilità in parte qua della pronuncia della Corte di Cassazione, sterilizzano i margini di intervento sulle parti della sentenza sottratte all’oggetto del giudizio di rinvio [28], mentre i secondi, derivanti dall’effetto parzialmente devolutivo dell’impugnazione, determinano una mera preclusione processuale [29] che non impedisce al giudice di trattare e decidere questioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del processo.

Tali rilievi sono stati espressamente condivisi dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite [30], che, tuttavia, li ha circoscritti esclusivamente al caso dell’impugnazione parziale propria, ossia quella avente ad oggetto solo alcuni punti del medesimo capo. Un’analoga conclusione dovrebbe essere ribadita anche con riferimento all’impugnazione concernente singoli capi della sentenza: in presenza di una devoluzione parziale - tanto sui punti, quanto sui capi - non si verifica il giudicato, ma solo una preclusione che, pur impedendo, di regola, al giudice ad quem la riforma delle parti non investite dai motivi di impugnazione, non ostacola la pronuncia di declaratorie adottabili ex officio[31].

In ragione dei richiamati dati sistematici, sembra potersi condividere la conclusione secondo cui l’impugnazione parziale impropria non determina il giudicato sui capi non impugnati, rispetto ai quali il giudice dell’impugnazione potrà pronunciarsi «ove questi, alla luce dei motivi della decisione, risultino essenzialmente connessi con i capi impugnati ovvero quando egli rilevi una causa di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. o debba dichiarare una nullità assoluta o un altro vizio rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento» [32].

Le considerazioni appena svolte sono destinate a valere ovviamente anche in ordine alla fattispecie oggetto della pronuncia in esame. Se si esclude il passaggio in giudicato dei capi non impugnati, analogamente non può che respingersi la possibilità che si determini l’irrevocabilità su quelli impugnati invalidamente con ricorso ammissibile in relazione alle altre regiudicande: rispetto ad entrambe le situazioni - impugnazione parziale impropria e impugnazione cumulativa parzialmente inammissibile - la pendenza di un valido rapporto di impugnazione su alcuni capi della sentenza dovrebbe escludere la formazione della res iudicata anche sui capi non devoluti o devoluti con motivi inammissibili, con il successivo corollario dell’operatività dell’art. 129 c.p.p. [33].

LE RISERVE CIRCA LA PREVALENZA DELLA DECLARATORIA DI INAMMISSIBILITÀ SULL’IMMEDIATA DECLARATORIA DELLE CAUSE DI NON PUNIBILITÀ

Anche e a prescindere dalle riflessioni appena esposte, la conclusione delle Sezioni Unite presta comunque il fianco a rilievi critici.

La presunta parcellizzazione e autonomia della verifica sull’ammissibilità delle distinte impugnazioni che, secondo la ricostruzione del Supremo Consesso, scaturirebbero dal ricorso cumulativo potrebbe essere sostenuta evidentemente solo in ordine ad alcune cause di inammissibilità. È del tutto ovvio che il vaglio di ammissibilità non potrebbe essere scisso e/o pervenire ad epiloghi differenti per le varie regiudicande con riferimento a quelle cause di inammissibilità - quali, ad esempio, il mancato rispetto dei termini per impugnare o l’inosservanza delle formalità di formazione (in punto di identificazione del provvedimento impugnato o di sottoscrizione), presentazione o spedizione dell’atto di impugnazione - che, concernendo presupposti necessariamente comuni ai diversi capi decisi con un unico provvedimento e impugnati con lo stesso ricorso, comportano in re ipsa una “contaminazione” di accertamento sull’idoneità ad introdurre il valido rapporto processuale di impugnazione.

La valutazione frazionata dell’inammissibilità, pertanto, potrebbe riguardare - come si è verificato nel caso di specie - essenzialmente quelle cause di inammissibilità concernenti la parte motiva delle censure formulate in relazione ai singoli capi. Senonché, rispetto a tali cause, la cui diagnosi si risolve, in tutto o in parte, in una incursione anticipata nel merito (sia pure nell’ambito di una valutazione in rito), si pone in termini particolarmente problematici la controversa tematica dei rapporti tra la declaratoria di inammissibilità e quella di non punibilità ex art. 129 c.p.p. [34] e risulta tutt’altro che convincente la (ormai) consolidata conclusione giurisprudenziale alla quale la sentenza in esame mostra di aderire pienamente, confermandola anche in relazione ai singoli capi oggetto di impugnazione.

A proposito di tale vexata quaestio [35], il dibattito, come noto, ruota intorno al seguente interrogativo: si tratta di stabilire se il giudice dell’impugnazione, che ravvisi il contemporaneo ricorrere di una causa d’inammissibilità dell’impugnazione e di una causa di non punibilità, sia tenuto a dichiarare l’inammis­sibilità o debba, invece, emettere la declaratoria di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p.

Così come le previgenti codificazioni, anche la normativa attuale si caratterizza per la contemporanea presenza di due norme che impongono al giudice delle obbligatorie declaratorie dal contenuto di fatto antitetico, senza stabilire alcun esplicito ordine di priorità tra le rispettive pronunce [36]: in particolare, da un lato, l’art. 591 c.p.p., che delinea l’ordinario svolgimento dell’attività del giudice dell’impu­gnazione, impegnato nella verifica delle condizioni di ammissibilità dell’atto introduttivo e, quindi, più in generale, del valido esercizio del potere petitorio finalizzato al controllo della decisione impugnata e, dall’altro lato, l’art. 129 c.p.p., ispirato alla tutela del favor rei [37], nella forma del favor innocentiae, il quale impone l’obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità.

Nei primi anni di vigenza del codice del 1988 la giurisprudenza si è approcciata alla questione riproponendo la soluzione di tipo intermedio - consolidatasi sotto l’imperio del codice di rito del 1930 - secondo cui la declaratoria immediata delle cause di non punibilità (illo tempore disciplinata nell’art. 152) era preclusa solo a fronte di cause di inammissibilità “originarie”, ossia di cause che, risultando afferenti alla dichiarazione di impugnazione, impedivano la valida instaurazione del rapporto processuale, e non anche di quelle cause di inammissibilità “sopravvenute”, cioè concernenti lato sensu i motivi di impugnazione [38].

Al fine di rimodulare la richiamata distinzione per adattarla alla nuova disciplina - che, per un verso, opera una fusione in un unico atto della dichiarazione di impugnazione e della presentazione dei motivi e, per altro verso, attribuisce unicamente al giudice ad quem il potere di dichiarare l’inammis­sibilità dell’impugnazione -, la prima pronuncia delle Sezioni Unite [39] sul tema aveva individuato nell’art. 581 c.p.p. la norma cardine per la risoluzione della problematica [40]. Tale disposizione, nell’indi­care i requisiti necessari dell’atto di impugnazione, avrebbe configurato la nuova categoria delle cause di inammissibilità “originarie”, ossia quelle che avrebbero impedito la declaratoria di non punibilità. Viceversa, si sarebbero dovute considerare cause di inammissibilità “sopravvenute” (e come tali non ostative al proscioglimento immediato) non solo la rinuncia all’impugnazione, ma anche la manifesta infondatezza dei motivi e l’enunciazione di motivi di ricorso per cassazione non consentiti o concernenti violazioni di legge non dedotte in appello (art. 606, comma 3, c.p.p.); a fronte del carattere particolarmente complesso e - specialmente con riferimento alla manifesta infondatezza - opinabile dell’accer­tamento di queste cause di inammissibilità, si era ritenuto illogico e pregiudizievole attribuire ad esse un’attitudine preclusiva al proscioglimento a norma dell’art. 129 c.p.p.

L’impostazione delle prime pronunce delle Sezioni Unite [41] è stata, peraltro, successivamente abbandonata dal Supremo Consesso, anche e soprattutto per soddisfare l’avvertita esigenza di scoraggiare i ricorsi puramente dilatori, le cui porte erano state schiuse dall’iniziale orientamento [42].

In tale direzione, ad un primo intervento che riconduceva la proposizione di motivi non consentiti o di quelli concernenti violazioni di legge non dedotte in appello alle cause di inammissibilità originarie, facendo salva, tuttavia, la manifesta infondatezza dei motivi, la cui singolarità non consentiva di accomunarla alle altre due figure contemplate nell’art. 606, comma 3, c.p.p. [43], seguiva il definitivo revirement a favore della tesi rigorista, operato mediante l’assimilazione anche della manifesta infondatezza alle altre cause d’inammissibilità, che risolvendosi in una absolutio ab instantia, impediscono l’applicabilità dell’art. 129 c.p.p. [44].

Questa crescente erosione dell’operatività dell’art. 129 c.p.p., realizzata dalla giurisprudenza di legittimità, è stata condivisa da una parte della dottrina, la quale, al fine di individuare argini all’uso pretestuoso e meramente dilatorio delle impugnazioni [45], ha avallato l’indirizzo “rigorista” [46], evocando gli argomenti che, già nella vigenza del codice del 1930, erano stati valorizzati da quanti sostenevano la prevalenza della declaratoria di inammissibilità: la priorità logica di tale pronuncia rispetto a quella di non punibilità (la quale diversamente si atteggerebbe, peraltro, ad una sorta di sanatoria impropria rispetto alle cause di inammissibilità), l’effetto preclusivo all’accertamento del merito proprio dell’inam­missibilità, nonché l’esclusione del carattere di stato del processo rilevante ai fini dell’art. 129 c.p.p. del vaglio di inammissibilità [47].

Tale ricostruzione potrebbe apparire difficilmente confutabile: è indubitabile, infatti, che la peculiarità del vaglio di inammissibilità sia quella di configurarsi in termini di esame preventivo rispetto all’a­nalisi del merito, e che il principale effetto-sanzione associato alla riscontrata imperfezione in cui si concretizza il vizio-inammissibilità sia quello di precludere l’accertamento del merito.

Ciò nondimeno, la soluzione proposta dall’indirizzo rigorista stride fortemente con i principi fondamentali sui quali si fonda l’attuale sistema processuale penale: in un ordinamento improntato alla presunzione di non colpevolezza e al diritto di difesa, disconoscere priorità alla declaratoria di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. a fronte di una causa di inammissibilità significa accordare un preminente valore al formalismo rispetto alle istanze di giustizia sostanziale e di equità [48]; il tutto a discapito di quella norma, portatrice dei valori appena menzionati, che appare chiamata a manifestare la sua massima esplicazione proprio in situazioni - come quella della contestuale sussistenza di cause di non punibilità e di cause di inammissibilità - in cui l’apertura di «varchi a pronunce ultra petita» [49] consente di far prevalere una declaratoria di proscioglimento anche a costo di sacrificare il normale svolgimento dell’iter processuale.

Ragioni, queste, che hanno indotto una parte della dottrina ad un ripensamento della questione, specialmente là dove una causa di non punibilità concorra con una causa di inammissibilità implicante una diagnosi di tipo “sostanziale”: in tali ipotesi, poiché l’accertamento dell’inammissibilità, lungi dal­l’estrinsecarsi in una «constatazione», richiede invece una «valutazione» di idoneità dell’atto ad introdurre il giudizio di impugnazione [50], l’esclusione dell’operatività dell’art. 129 c.p.p. è parsa ancora più inaccettabile e suscettibile di apprezzamenti eccessivamente arbitrari.

Peraltro, l’astratta priorità del controllo di ammissibilità non si traduce sempre in una netta separazione ed autonomia con l’accertamento del merito: si è giustamente sottolineato come tali accertamenti siano di sovente tra loro sovrapponibili [51], essendo ben possibile che il giudice si renda conto di una causa d’inammissibilità nel corso della valutazione del merito - come del resto sottintende lo stesso testo dell’art. 591, comma 4, c.p.p. [52] - e viceversa che il giudicante ravvisi la sussistenza di una causa di non punibilità durante il vaglio di inammissibilità. Eventualità, queste, tutt’altro che irrilevanti o infrequenti solo a considerare «la possibile evidenza di talune cause di non punibilità o di non procedibilità da un lato, raffrontata, dall’altro, alla complessità ed alla discrezionalità di valutazione di talune cause di inammissibilità» [53], e che appaiono idonee ad incrinare quel rapporto di causa ed effetto che i fautori della tesi rigorista invitano a tracciare tra la priorità logica del vaglio di ammissibilità e l’inoperatività dell’art. 129 c.p.p.

Alla stregua di tali considerazioni, sembra preferibile negare una completa equiparazione di soluzioni in ordine alle richiamate fattispecie d’inammissibilità, implicanti diagnosi del tutto differenti quan­to a tipologia e a discrezionalità dell’accertamento. In tal senso, si può sostenere che la declaratoria di inammissibilità prevalga, e dunque impedisca l’applicazione dell’art. 129 c.p.p., nei casi di impugnazione presentata fuori termine ovvero contro un provvedimento intrinsecamente inoppugnabile - in ragione dell’au­tomatica formazione dell’irrevocabilità sul provvedimento -[54] e in relazione ad ipotesi di inam­mis­sibilità derivanti da vizi esclusivamente formali, stante l’agevole o comunque asettica constatazione necessaria alla diagnosi, mentre dovrebbe escludersi che un’analoga inibizione all’applicazione dell’art. 129 c.p.p. possa sussistere in ordine a quelle fattispecie di inammissibilità derivanti da vizi il cui accertamento implica una valutazione assai più complessa e - non fosse altro che per i parametri di incerta distinzione con il merito - opinabile [55].

Per altro verso, occorre sottolineare che, piuttosto che sulle caratteristiche ontologiche e/o strutturali delle eterogenee cause di inammissibilità, parte della dottrina e della giurisprudenza giustifica una diversità di soluzioni della problematica de qua in relazione alle differenti cause di non punibilità. In quest’ottica si ritiene che l’inammissibilità non precluda la declaratoria di non punibilità nelle ipotesi di morte del reo, di remissione della querela intervenuta in pendenza del ricorso - purché questo sia stato tempestivamente proposto - [56], di abolitio criminis o di declaratoria di incostituzionalità della norma penale incriminatrice [57] e di mancata previsione del fatto come reato in conseguenza dell’inapplicabilità delle norme nazionali incompatibili con la normativa comunitaria [58].

Un’analoga apertura è stata invece negata - all’esito dell’ultimo acceso contrasto giurisprudenziale sul tema - all’estinzione del reato determinata da prescrizione [59]. In proposito, le Sezioni Unite hanno escluso che la declaratoria ex art. 129 c.p.p. possa prevalere sull’inammissibilità non solo quando la prescrizione sia maturata nel periodo compreso tra la decisione impugnata e la proposizione del ricorso [60], ma anche quando tale causa estintiva sia intervenuta in data anteriore alla pronuncia di appello e non sia stata né dedotta né rilevata dal giudice [61]. Rimessa in discussione da un condivisibile orientamento delle Sezioni semplici [62], quest’ultima conclusione è stata ribadita da una ulteriore e recente sentenza delle Sezioni Unite, alla quale si deve, peraltro, l’importante precisazione che è ammissibile il ricorso per cassazione con il quale si deduce, anche con un unico motivo, l’intervenuta estinzione del reato per prescrizione maturata prima della sentenza impugnata ed erroneamente non dichiarata dal giudice di merito, in quanto la doglianza integra un motivo consentito ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p. [63].

Tali richiamate acquisizioni giurisprudenziali sul rapporto tra la declaratoria di inammissibilità e quella di non punibilità ex art. 129 c.p.p. sono completamente recepite dalla pronuncia in esame che ne amplifica la portata nella misura in cui ne fa applicazione anche nel contesto del ricorso cumulativo, escludendo che l’ammissibilità del medesimo in relazione ad un capo possa determinare la valida instaurazione del rapporto processuale di impugnazione rispetto ad un altro capo oggetto di censure inammissibili. Questo ulteriore step esegetico è reso possibile proprio dalla piena condivisione dell’as­sunto della totale autonomia e scindibilità delle regiudicande su cui è costruita la teoria del giudicato parziale nel caso di impugnazione della sentenza oggettivamente complessa.

In definitiva, assemblando le discutibili conclusioni giurisprudenziali sulle due tematiche lambite dalla questione de qua, le Sezioni Unite segnano un ulteriore sviluppo del trend giurisprudenziale orientato verso una progressiva dilatazione dell’operatività dell’inammissibilità e uno svilimento delle potenzialità applicative dell’art. 129 c.p.p.; sullo sfondo emerge l’evidente intento di fronteggiare l’uso pretestuoso, strumentale e dilatorio (e dunque l’abuso a scapito dell’economia processuale e della ragionevole durata del processo) degli strumenti processuali a disposizione delle parti. Per quanto comprensibile, tale finalità non dovrebbe sconfinare in forzature sistematiche contra reum e nella lettura asfittica di norme di garanzia, quali l’art. 129 c.p.p., che sono espressione di principi di rilievo costituzionale.

 

[1] In tal senso v. Cass., sez. un., 17 dicembre 2015, n. 12602, in CED Cass., n. 266819, secondo cui «è ammissibile il ricorso per cassazione con il quale si deduce, anche con un unico motivo, l’intervenuta estinzione del reato per prescrizione maturata prima della sentenza impugnata ed erroneamente non dichiarata dal giudice di merito, integrando tale doglianza un motivo con­sentito ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen.».

[2] V., ex multis, Cass., sez. un., 17 dicembre 2015, n. 12602, cit.; Cass., sez. un., 27 giugno 2001, n. 33542, in CED Cass., n. 219531; Cass., sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, in CED Cass., n. 217266.

[3] Per tale espressione v. Cass., sez. VI, 29 maggio 2014, n. 33030, in CED Cass., n. 259860.

[4] Nel senso che l’autonomia della statuizione di inammissibilità del ricorso per cassazione in relazione ad un capo di imputazione impedisca la declaratoria di estinzione per prescrizione del reato con esso contestato, pur in presenza di motivi ammissibili con riferimento agli altri addebiti, v. Cass., sez. V, 19 novembre 2014, n. 15599, in CED Cass., n. 263119; Cass., sez. IV, 13 novembre 2014, n. 51744, in CED Cass., n. 261576; Cass., sez. VI, 29 maggio 2014, n. 33030, cit.; Cass., sez. VI, 2 ottobre 2013, n. 50334, in CED Cass., n. 257846; Cass., sez. VI, 20 ottobre 2011, n. 6924, in CED Cass., n. 256556. In senso contrario si erano espresse solo Cass., sez. V, 13 gennaio 2014, n. 16375, in CED Cass., n. 262763 e Cass., sez. II, 5 luglio 2013, n. 31034, in CED Cass., n. 256557, stando alle quali «la Corte di Cassazione deve rilevare la prescrizione del reato maturata dopo la pronunzia della sentenza impugnata, anche nel caso in cui la manifesta infondatezza del ricorso risulti esclusa con riferimento ad altro reato».

[5] Cass., sez. VI, 12 febbraio 2016, n. 7730, in Dir. e giustizia, 26 febbraio 2016, con nota di P. Grillo, Prescrizione anche se il ricorso per cassazione è inammissibile? Lo diranno le Sezioni Unite; a commento di tale ordinanza v. anche A. Marandola, Sentenza cumulativa e prescrizione maturata dopo l’appello per i capi d’imputazione non impugnati in Cassazione, in www.ilpenalista.it, 4 aprile 2016.

[6] Di conseguenza, le Sezioni Unite definiscono il caso di specie con tali esiti: annullamento della sentenza senza rinvio limitatamente al reato di cui al capo B per essersi lo stesso estinto per prescrizione prima della sentenza di appello; declaratoria di inammissibilità del ricorso relativamente al reato di cui al capo A.

[7] Con l’espressione “impugnazione parziale impropria” si allude all’impugnazione concernente solo alcuni capi della sentenza, mentre si parla di “impugnazione parziale propria” per indicare l’impugnazione avente ad oggetto solo alcuni punti del medesimo capo: su tale distinzione v. G. Leone, Trattato di diritto processuale penale, III, Napoli, 1961, p. 39, nota 28.

[8] Cass., sez. VI, 12 febbraio 2016, n. 7730, cit.

[9] Sul fenomeno del giudicato “parziale” o “progressivo” v., specialmente, D. Arrigo, Il giudicato “parziale” e le cause estintive del reato, in Giur. it., 1990, II, c. 607; F. Caprioli-D. Vicoli, Procedura penale dell’esecuzione, 2ª ed., Torino, 2011, p. 49; G. Dean, Ideologie e modelli dell’esecuzione penale, Torino, 2004, p. 27; E. Jannelli, La definizione costituzionale del giudicato penale: conseguenze sull’ammissibilità del c.d. giudicato parziale ovvero progressivo, in Cass. pen., 1996, p. 129; L. Iafisco, Ennesimo intervento della Corte di cassazione in tema di formazione progressiva del giudicato penale: acquisibili ex art. 238 bis anche le sentenze parzialmente irrevocabili, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2001, p. 543; B. Lavarini, La formazione del giudicato penale, in Riv. dir. proc., 2002, p. 1177; Ead., L’esecutività della sentenza penale, Torino, 2004, p. 40; S. Lorusso, Declaratoria ex art. 129 c.p.p., preclusione processuale e giudicato progressivo, in Urb. Appalti, 1998, p. 680; E.M. Mancuso, Il giudicato nel processo penale, Milano, 2012, p. 285; R. Normando, Il valore, gli effetti e l’efficacia del giudicato penale, in G. Spangher (diretto da), Trattato di procedura penale, VI, L. Kalb (a cura di), Esecuzione e rapporti con autorità giurisdizionali straniere, Torino, 2009, p. 18; M. Pierdonati, Formazione “progressiva” del giudicato penale e preclusioni nel giudizio di rinvio, in L. Marafioti e R. Del Coco (a cura di), Il principio di preclusione nel processo penale, Torino, 2012, p. 89; S. Ruggeri, Giudicato penale ed accertamenti non definitivi, Milano, 2004, p. 64; R. Vanni, Giudicato progressivo e limiti all’applicabilità dell’art. 129 c.p.p. nel giudizio di rinvio, in Giur. it., 1998, II, p. 781.

[10] V., tra le tante, Cass., sez. un., 17 ottobre 2006, n. 10251, in Guida dir., 2007, 19, p. 79; Cass., sez. un., 19 gennaio 2000, n. 1, in Cass. pen., 2000, p. 2972.

[11] Il generico riferimento alle “parti della sentenza” è stato foriero di contrastanti orientamenti interpretativi in dottrina ed in giurisprudenza a proposito dell’individuazione dei casi in cui si forma il giudicato parziale. Una prima impostazione, di matrice essenzialmente dottrinale, ritiene che l’espressione debba essere riferita unicamente ai capi della decisione, con la con­seguenza che, nel caso di annullamento di singoli punti della decisione, il giudice di rinvio ha il potere-dovere di applicare l’art. 129 c.p.p. (v., per tutti, F. Cordero, Procedura penale, Milano, 7ª ed., 2003, p. 1163; F.R. Dinacci, Gli ambiti decisori del giudizio di rinvio, in A. Gaito (a cura di), Le impugnazioni penali, II, Torino, 1998, p. 721; Id., Il giudizio di rinvio nel processo penale, Padova, 2002, p. 41). Diversamente, secondo l’orientamento consolidatosi in giurisprudenza (Cass., sez. un., 19 gennaio 2000, n. 1, cit.; Cass., sez. un., 26 marzo 1997, n. 4904, in Cass. pen., 1997, p. 2684; Cass., sez. un., 9 ottobre 1996, n. 20, ivi, p. 691; Cass., sez. un., 19 gennaio 1994, n. 4460, ivi, 1994, p. 2028; Cass., sez. un., 11 maggio 1993, n. 6019, ivi, 1993, p. 2499; Cass., sez. un., 23 novembre 1990, n. 373, in Giust. pen., 1991, III, c. 110) alla locuzione “parti della sentenza” dovrebbe attribuirsi il significato di statuizioni della decisione che hanno «autonomia giuridico-concettuale»; caratteristica, questa, da riconoscersi non solo alle decisioni che concludono il giudizio in relazione a un determinato capo di imputazione, ma anche in riferimento ai punti della sentenza. Corollario di tale impostazione è che nel caso di annullamento con rinvio da parte della Cassazione di punti diversi dall’accer­tamento del fatto e della penale responsabilità, la formazione del giudicato sulla condanna impedisce nel giudizio di rinvio la declaratoria delle cause di non punibilità, tanto se sopravvenute, quanto se preesistenti, alla pronuncia del giudice di legittimità. Peraltro, la stessa giurisprudenza - analogamente a quanto si è statuito in tema di inammissibilità dell’impugnazione e de­claratoria di non punibilità - riconosce che, anche quando l’annullamento non abbia attinto i punti della decisione riguardanti i presupposti della condanna, il giudice di rinvio possa pronunciare il proscioglimento exart. 129 c.p.p. nei casi di sopravvenuta abolitio criminis (Cass., sez. VI, 19 ottobre 2010, n. 41683, in CED Cass., n. 248720), di remissione di querela (Cass., sez. I, 7 ottobre 2008, n. 42994, in Cass. pen., 2009, p. 4296), nonché nell’ipotesi di morte dell’imputato (Cass., sez. III, 25 gennaio 2000, n. 6607, in CED Cass., n. 216964; Cass., sez. IV, 29 gennaio 1998, n. 2290, in Cass. pen., 1999, p. 1852). In relazione all’ulteriore profilo dell’esecutività delle parti della sentenza divenute irrevocabili, la giurisprudenza distingue a seconda che si tratti di capi o punti: nel caso di annullamento parziale improprio la sentenza deve essere posta in esecuzione (Cass., sez. un., 9 ottobre 1996, n. 20, cit.; secondo l’orientamento prevalente ciò vale anche quando l’annullamento riguardi profili concernenti l’applicazione della continuazione tra più reati e la sentenza contenga già l’indicazione della pena minima da eseguire: v. Cass., sez. I, 19 giugno 2013, n. 32477, in CED Cass., n. 257003; Cass., sez. I, 21 febbraio 2013, n. 15949, in CED Cass., n. 256255); nel caso di annullamento parziale proprio, invece, la sentenza non è eseguibile fino alla completa definizione del giudizio sui punti annullati (cfr., sia pur con argomentazioni non del tutto coincidenti, Cass., sez. un., 26 marzo 1997, n. 4904, cit.; Cass., sez. un., 19 gennaio 1994, n. 4460, cit.; Cass., sez. un., 23 novembre 1990, n. 373, cit.).

Per una recente analisi critica della ricostruzione giurisprudenziale sul tema v. A. Diddi, La vexata quaestio relativa alla pronuncia di prescrizione dopo l’annullamento parziale della sentenza: le Sezioni Unite fanno buona guardia, in questa Rivista, 2015, n. 3, p. 127.

[12] Cass., sez. IV, 5 febbraio 1999, n. 8310, in Arch. nuova proc. pen., 1999, p. 523; Cass., sez. VI, 21 ottobre 1998, n. 13416, in Cass. pen., 2000, p. 941; Cass., sez. I, 11 luglio, 1997, n. 8609, in CED Cass., n. 208583.

[13] Cass., sez. un., 19 gennaio 2000, n. 1, cit.

[14] Cass., sez. un., 19 gennaio 2000, n. 1, cit. Le medesime conclusioni sono state ribadite da Cass., sez. un., 17 ottobre 2006, n. 10251, cit. Nello stesso senso v., in dottrina, E.M. Mancuso, Il giudicato, cit., p. 296.

[15] Così Cass., sez. IV, 13 novembre 2014, n. 51744, cit.; negli stessi termini Cass., sez. V, 19 novembre 2014, n. 15599, cit.

[16] Cfr. Cass., sez. VI, 29 maggio 2014, n. 33030, cit.

[17] G. Conso, Questioni nuove di procedura penale, Milano, 1959, p. 159. Occorre sottolineare, peraltro, che l’A. riferiva tali rilievi esclusivamente all’impugnazione parziale avente ad oggetto singoli punti, mentre non escludeva la formazione del giudicato rispetto ai capi.

[18] F. Caprioli, D. Vicoli, Procedura penale, cit., p. 52. Nello stesso senso, A.M. Capitta, La declaratoria immediata delle cause di non punibilità, Milano, 2010, p. 171; L. Scomparin, Il proscioglimento immediato nel sistema processuale penale, Torino, 2008, pp. 324 e 330.

[19] Le ipotesi in presenza delle quali può aver luogo la riunione di processi, ex art. 17 c.p.p., sono, infatti, quelle di cui agli artt. 12, comma 1, lett. b) e c), e 371, comma 2, lett. b), c.p.p.

[20] Sull’incostanza giurisprudenziale a proposito dell’operatività, ad ogni effetto giuridico, del principio di autonomia e scindibilità dei capi v. F. Centorame, Ricorso cumulativo parzialmente inammissibile e prescrizione del reato: per le Sezioni Unite prevale l’autonomia dei singoli capi impugnati, in www.penalecontemporaneo.it, 6 marzo 2017, la quale giustamente evidenzia la presenza di orienta­menti pretori che, nell’escludere la possibilità di accogliere istanze di patteggiamento “parziale” o di messa alla prova per alcuni sol­tanto dei reati contestati all’imputato, pretermettono il principio di autonomia delle imputazioni «in favore dell’antitetico recu­pero di una visione unitaria ed inscindibile dei rapporti processuali inerenti ai singoli addebiti».

[21] L’art. 587 c.p.p. disciplina l’effetto estensivo dell’impugnazione e della sentenza nei confronti degli imputati non impu­gnanti (o la cui impugnazione sia dichiarata inammissibile), i quali possono giovarsi dell’impugnazione proposta da un altro imputato, purché la medesima si fondi su motivi non esclusivamente personali (comma 1) e, nell’ipotesi di riunione di proce­dimenti per reati diversi (comma 2), anche a condizione che riguardino la violazione della legge processuale (nei commi 3 e 4 sono regolamentate le fattispecie estensive che concernono l’imputato e le parti eventuali ad esso accostate, ossia il responsabile civile e il civilmente obbligato per la pena pecuniaria). Quanto al rapporto tra tale istituto e la res iudicata, occorre considerare che, sebbene la dottrina maggioritaria (v. F. Caprioli-D. Vicoli, Procedura penale dell’esecuzione, cit., p. 55; B. Lavarini, La formazio­ne del giudicato, cit., p. 1180; I. Pileri, Natura ed implicazioni in executivis dell’effetto estensivo dell’impugnazione, in Giur. it., 1995, II, c. 607; L. Scomparin, Il proscioglimento immediato, cit., p. 326; C. Valentini, I profili generali della facoltà di impugnare, in A. Gaito (a cura di), Le impugnazioni penali, I, Torino, 1998, p. 267) configuri l’effetto estensivo di cui all’art. 587 c.p.p. quale condizione sospensiva della formazione del giudicato, la giurisprudenza appare del tutto compatta nel sostenere che l’estensione in utilibus della sentenza, lungi dall’impedire l’irrevocabilità della decisione nei confronti del non impugnante, operi come rimedio straor­dinario capace di risolvere il giudicato formatosi sul capo relativo al coimputato rimasto inerte o la cui impugnazione è stata di­chiarata inammissibile: v., per tutte, Cass., sez. un., 24 marzo 1995, n. 9, in Cass. pen., 1995, p. 2497. Sul tema, volendo, R. Fonti, L’effetto estensivo dell’impugnazione, Padova, 2013, p. 105 ss.

[22] Cfr. F. Caprioli-D. Vicoli, Procedura penale dell’esecuzione, cit., p. 58; L. Scomparin, Il proscioglimento immediato, cit., p. 332. In senso contrario v. Cass., sez. I, 24 marzo 2005, n. 15288, in Arch. nuova proc. pen., 2006, p. 219, che, nel rilevare come l’art. 587 c.p.p. sia dettato «dall’esigenza di evitare disarmonie di trattamento tra soggetti in identica posizione», ha ritenuto che tale disposizione non sia «invocabile al fine di estendere al medesimo imputato gli effetti favorevoli dell’impugnazione da lui stesso proposta avverso una sentenza per un fatto diverso, ancorché connesso a quello oggetto di una precedente sentenza»; perplessità in ordine alla presenza della identità di ratio, necessaria ai fini dell’operazione analogica, sono espresse anche da A.M. Capitta, La declaratoria immediata, cit., p. 176, nota 39.

[23] In tal senso L. Scomparin, Il proscioglimento immediato, cit., p. 332. L’A., sul rilievo che l’ipotesi dell’impugnazione parziale impropria della sentenza oggettivamente cumulativa si avvicini sensibilmente a quella dell’impugnazione proposta solo da alcuni imputati di un processo soggettivamente cumulativo avente ad oggetto reati diversi, ritiene che alla prima situazione possa essere applicata la disciplina dettata per la seconda dall’art. 587, comma 2, c.p.p., ai sensi del quale «nel caso di riunione di procedimenti per reati diversi, l’impugnazione proposta da un imputato giova a tutti gli altri imputati soltanto se i motivi riguardano violazioni della legge processuale e non sono esclusivamente personali»; solo in presenza di tali presupposti e nei limiti degli stessi potrebbe trovare applicazione l’art. 129 c.p.p. anche in relazione al capo non impugnato.

[24] Così F. Caprioli-D. Vicoli, Procedura penale dell’esecuzione, cit., p. 58, secondo cui, pertanto, se l’imputato, condannato per due reati commessi in concorso formale tra di loro, impugna la sentenza solo rispetto ad un capo e viene prosciolto in appello per difetto di imputabilità, il proscioglimento dovrà estendersi anche al reato oggetto del capo non impugnato.

[25] Cfr. G. Tranchina, L’esecuzione, in D. Siracusano-A. Galati-G. Tranchina-E. Zappalà, Diritto processuale penale, II, Milano, 2004, p. 575. Cfr., altresì, M. Busetto, Annullamento parziale e declaratoria della prescrizione nel giudizio di rinvio, in Cass. pen., 1997, p. 2483. In senso critico rispetto a tale ricostruzione v. E.M. Mancuso, Il giudicato, cit., p. 300.

[26] Cfr. L. Scomparin, Il proscioglimento immediato, cit., p. 334. In proposito, v. anche B. Lavarini, L’esecutività, cit., p. 56, la quale rileva, peraltro, che la connessione essenziale non potrebbe essere accertata già al momento della proposizione dell’impugna­zione, contesto in cui, inoltre, vi sarebbe incertezza sul soggetto al quale affidare detta operazione (che, di fatto, finirebbe per essere svolta dal cancelliere del giudice a quo, a cui gli artt. 27 e 28 reg. esec. c.p.p. assegnano il compito di attestare, agli effetti esecutivi, che la sentenza è divenuta irrevocabile).

[27] Così B. Lavarini, L’esecutività, cit., pp. 56-57. In questo senso v., già con riferimento alla normativa del codice di rito del 1930, G. Petrella, Le impugnazioni nel processo penale. Trattato teorico pratico, II, I singoli mezzi di impugnazione, Milano, 1965, p. 548.

[28] Peraltro, come si è già avuto modo di ricordare (v. retro nota 11), in presenza di alcune peculiari cause di non punibilità, la stessa giurisprudenza riconosce che il giudice del rinvio possa emettere la declaratoria ex art. 129 c.p.p., pur se l’annullamento non abbia riguardato i punti della decisione concernenti i presupposti della condanna.

[29] Sul tema della preclusione, in ambito processual-penalistico, v., tra i contributi più recenti, AA.VV., in L. Marafioti e R. Del Coco (a cura di), Il principio di preclusione nel processo penale, cit.; G. Canzio-E. Marzaduri-G. Silvestri, Preclusioni processuali e ragionevole durata del processo, in Criminalia, 2008, p. 241; C. Conti, Preclusione, in Dig. pen., Agg. VII, Torino, 2013, p. 408; Ead., La preclusione nel processo penale, Milano, 2014, passim; R. Del Coco, La preclusione, in A. Marandola (a cura di), Le invalidità pro­cessuali. Profili statici e dinamici, Torino, 2015, p. 361; F.M. Iacoviello, Procedimento penale principale e procedimenti incidentali. Dal principio di minima interferenza al principio di preclusione, in Cass. pen., 2008, p. 2190; R. Orlandi, Principio di preclusione e processo penale, in questa Rivista, 2011, 5, p. 1; G. Silvestri, Le preclusioni nel processo penale, in Arch. pen., 2011, p. 555.

[30] V. Cass., sez. un., 19 gennaio 2000, n. 1, cit., secondo cui la regolamentazione dell’art. 624 c.p.p. «è legata indissolu­bil­mente alle peculiari connotazioni delle sentenze della Corte di cassazione ed alla intrinseca irrevocabilità connaturata alle statui­zioni dell’organo posto al vertice del sistema giurisdizionale», nonché Cass., sez. un., 23 novembre 1990, n. 373, cit., la quale precisa anche che «gli effetti preclusivi che impediscono al giudice di rinvio di estendere la sua indagine oltre i limiti oggettivi del giudizio a lui affidato non sono in alcun modo assimilabili a quelli che conseguono alla delimitazione del contenuto dei motivi di impugnazione».

[31] In questo senso v. A.M. Capitta, La declaratoria immediata, cit., p. 175. L’A. sottolinea che, con riferimento al giudizio di cassazione, l’esclusione della presunta formazione del giudicato parziale sui capi non impugnati si fonda, oltre che sull’art. 129 c.p.p., anche sul disposto dell’art. 609, comma 2, c.p.p. (ibidem, p. 179).

[32] In questi termini B. Lavarini, L’esecutività, cit., p. 57. Analogamente A.M. Capitta, La declaratoria immediata, cit., p. 175. Si è obiettato a tale ricostruzione che essa potrebbe condurre anche ad un peggioramento della situazione dell’imputato: qualora nel giudizio di impugnazione venisse accertata una nullità assoluta, tale rilevazione finirebbe per travolgere anche l’assoluzione per il reato oggetto del capo non impugnato (v. L. Scomparin, Il proscioglimento immediato, cit., pp. 335-336, la quale sostiene che l’inconveniente in questione possa essere scongiurato solo ritenendo che il capo non impugnato sia riformabile ai sensi e nei limiti dell’art. 587, comma 2, c.p.p.). Una simile eventualità potrebbe prospettarsi, tuttavia, solo in ipotesi estremamente resi­duali, posto che, per un verso, nel caso di impugnazione del solo imputato un epilogo finale peggiorativo sarebbe impedito dal divieto di reformatio in peius, e, per altro verso, la maggior parte delle nullità assolute si ricollegano alla violazione di norme poste a tutela del diritto di difesa, con la conseguenza che esse (secondo la convincente interpretazione di F. Cordero, Nullità, sanatorie, vizi innocui, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1961, pp. 730-731) non potrebbero essere rilevate quando l’imputato abbia conseguito il miglior risultato difensivo possibile, ossia l’assoluzione nel merito (B. Lavarini, L’esecutività, cit., p. 58, nota 52; v. anche A.M. Capitta, La declaratoria immediata, cit., p. 176, nota 39).

[33] Là dove si accogliesse l’impostazione che ritiene di applicare analogicamente l’art. 587 c.p.p., l’operatività dell’art. 129 c.p.p. sarebbe molto più circoscritta, nel senso che, alla luce dei limiti dell’effetto estensivo, le cause di non punibilità potrebbero essere dichiarate solo se comuni ai due capi della sentenza complessa.

[34] Sulla tematica, nella vigenza del codice del 1988, cfr. M. Atzei, Il problema dei rapporti tra cause di inammissibilità dell’impu­gnazione e cause di non punibilità al vaglio delle Sezioni unite, in Giur. it., 1996, II, c. 481; A. Bargi, Inammissibilità dell’impugnazione ed immediata declaratoria di cause di non punibilità, in Dir. pen. e proc., 2005, p. 179; G.V. Bocchino, Inammissibilità del ricorso per cassazione e declaratoria delle cause di non punibilità, in Dir. pen. e proc., 2002, p. 1101; A.M. Capitta, La declaratoria immediata, cit., p. 198; D. Carcano, Il percorso della giurisprudenza di legittimità sul rapporto tra inammissibilità e prescrizione del reato, in Cass. pen., 2002, p. 88; A. Ciavola, Le Sezioni unite superano la tradizionale distinzione tra cause di inammissibilità originarie e sopravvenute e pongono un importante freno alla prassi dei ricorsi manifestamente infondati o pretestuosi, in Cass. pen., 2001, p. 2988; F. Falato, Immediata declarato­ria e processo penale, Padova, 2010, p. 329; V. Grevi, Un “caso clinico” in tema di impugnazioni dilatorie, in Dir. pen. e proc., 1999, p. 1167; A. Marandola, Sul rapporto tra l’inammissibilità dell’impugnazione e l’immediata declaratoria di determinate cause di non punibili­tà, in Cass. pen., p. 1995, 3296; Ead., Inammissibilità del ricorso per cassazione e declaratoria di determinate cause di non punibilità nella giurisprudenza delle Sezioni unite, in Cass. pen., 2000, p. 1534; Ead., Le disposizioni generali, in G. Spangher (diretto da), Trattato di procedura penale, V, G. Spangher (a cura di), Impugnazioni, Torino, 2009, p. 244; L. Marafioti, Selezione dei ricorsi penali e verifica d’inammissibilità, Torino, 2004, p. 132; B. Monastero, Inammissibilità delle impugnazioni e applicabilità dell’art. 129 c.p.p. nel giudizio di legittimità, in Cass. pen., 2002, p. 92; R. Orlandi, Se la condanna è per un reato prescritto, in Dir. e giustizia, 2005, 30, p. 58; A. Presutti, Ancora un intervento delle Sezioni unite in tema di inammissibilità della impugnazione e declaratoria exart. 129 c.p.p., in Cass. pen., 2000, p. 843; C. Santoriello, Inammissibilità dell’impugnazione e declaratoria immediata di cause di non punibilità: una giurisprudenza elusiva del giusto processo, in G. Cerquetti-C. Fiorio (a cura di), Dal principio del giusto processo alla celebrazione di un processo giusto, Pado­va, 2002, p. 262; A. Scella, Il vaglio d’inammissibilità dei ricorsi per cassazione, Torino, 2006, p. 134; L. Scomparin, Il proscioglimento immediato, cit., p. 296; G. Spangher, Impugnazione inammissibile e applicabilità dell’art. 129 c.p.p., in Dir. pen. e proc., 1995, p. 569; E. Turco, Cause di non punibilità ex art. 129 c.p.p. e inammissibilità dei mezzi di impugnazione ex art. 591 c.p.p. tra garanzia ed efficienza, in Cass. pen., 2001, p. 1250; Ead., L’impugnazione inammissibile. Uno studio introduttivo, Padova, 2012, p. 177; C. Valentini, I profili generali, cit., p. 257; A. Verdirame, Declaratoria immediata di cause di non punibilità e inammissibilità dell’impugnazione, in Giust. pen., 2004, III, c. 65. In argomento, volendo, v. altresì R. Fonti, L’inammissibilità degli atti processuali penali, Padova, 2008, p. 98 e, più di recente, Ead., L’inammissibilità, in A. Marandola (a cura di), Le invalidità pro­cessuali. Profili statici e dinamici, cit., p. 211.

[35] La complessità del tema è, del resto, confermata dalla circostanza che nell’arco di un decennio sono intervenute in propo­sito ben sette pronunce delle Sezioni Unite: Cass., sez. un., 22 marzo 2005, n. 23428, in Dir. e giustizia, 2005, 30, p. 79; Cass., sez. un., 25 febbraio 2004, n. 24246, in Dir. pen. e proc., 2005, p. 171; Cass., sez. un., 27 giugno 2001, n. 33542, in Cass. pen., 2002, p. 81; Cass., sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, cit.; Cass., sez. un., 30 giugno 1999, n. 30, cit.; Cass., sez. un., 24 giugno 1998, n. 11493, in Cass. pen., 1999, p. 843; Cass., sez. un., 11 novembre 1994, n. 21, in Giur. it., 1996, II, c. 481. A tali sentenze si è aggiunta, da ultimo, Cass., sez. un., 17 dicembre 2015, n. 12602, cit.

[36] Il problema della mancanza di espresse previsioni normative sull’ordine di priorità delle pronunce si registra anche con riferimento ad altre declaratorie che devono essere emesse d’ufficio in ogni stato e grado del processo, quali quelle concernenti le nullità assolute, il difetto di giurisdizione e l’incompetenza per materia. A proposito della contestuale sussistenza di una causa estintiva del reato e di una nullità assoluta, le Sezioni unite hanno sancito la prevalenza della declaratoria ex art. 129 c.p.p., a condizione che, nel giudizio di legittimità, l’epilogo estintivo non presupponga specifici accertamenti e valutazioni da parte del giudice di merito: così Cass., sez. un., 27 febbraio 2002, n. 4, in Dir. pen. e proc., 2002, p. 820; v. anche Cass., sez. un., 28 novembre 2001, n. 1021, in Cass. pen., 2002, p. 1308. Da ultimo, Cass., sez. un., 27 aprile 2017, n. 28954, in www.processo
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, ha statuito che «nell’ipotesi di nullità della sentenza predibattimentale d'appello, pronunciata in violazione del contraddittorio, con la quale, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, è stata dichiarata l’estinzione del reato per prescrizione, la causa estintiva del reato prevale sulla nullità assoluta ed insanabile della sentenza, sempreché non risulti evidente la prova dell'innocenza dell'imputato, dovendo la Corte di cassazione adottare in tal caso la formula di merito di cui all'art. 129, comma 2, c.p.p.».

[37] Su tale concetto v., per tutti, G. Lozzi, Favor rei e processo penale, Milano, 1968, passim; Id., Favor rei, in Enc. Dir., XVII, Milano, 1968, p. 10; Gius. Sabatini, Del «favor rei» come principio generale del diritto, in Giust. pen., 1955, III, c. 1.

[38] V., ex multis, Cass., sez. II, 28 novembre 1980, in Cass. pen., 1982, p. 544; Cass., sez. IV, 19 novembre 1979, ivi, 1981, p. 383. La soluzione in questione era stata teorizzata da V. Manzini, Trattato di diritto processuale penale italiano, IV, Torino, 1932, p. 523, secondo cui l’art. 152 c.p.p. 1930 non può trovare applicazione e l’inammissibilità deve essere dichiarata senz’altro ed in via pregiudiziale in presenza delle cause d’inammissibilità «che ne viziano l’origine, cioè la dichiarazione, in quanto questa riguardi un provvedimento inoppugnabile, o non impugnabile col gravame proposto, o sia stata proposta da chi non ne aveva il diritto, od oltre il termine legale»; diversamente l’art. 152 c.p.p. «deve essere applicato anche d’ufficio senza prendere in considerazione la questione riguardante l’ammissibilità della impugnazione» nelle ipotesi in cui «la dichiarazione d’impugnazione risulta vali­damente proposta, mentre il gravame apparisce inammissibile per una causa sopravvenuta (omessa o irrituale presenta­zione dei motivi; mancata costituzione in carcere; rinuncia al gravame), essendo tuttora in corso il procedimento per effetto della regolare dichiarazione». Sotto la vigenza del codice del 1913, una soluzione analoga era stata proposta già da E. Florian, Principi di diritto processuale penale, Torino, 1927, p. 334-335. La conclusione basata sulla distinzione tra cause di inammissibilità origi­narie e cause di inammissibilità sopravvenute - alla quale in alcuni casi si associava anche quella tra cause di inammissi­bilità rilevabili dal giudice a quo e cause di inammissibilità rilevabili solo dal giudice ad quem (v. U. Aloisi, Manuale pratico di procedura penale, Milano, 1932, pp. 452-453; Gius. Sabatini, Trattato dei procedimenti incidentali nel processo penale, Torino, 1953, p. 392) - risultava ben congeniale al sistema allora vigente imperniato sulla bipartizione dell’impugnazione nell’atto di impugna­zione e nella presentazione dei motivi, nonché sul potere ripartito tra giudice a quo e giudice ad quem nella verifica dell’inam­missibilità.

Altre (e più rigide) soluzioni fornite dalla dottrina alla questione in esame erano quelle dell’assoluta prevalenza della decla­ratoria di inammissibilità (v., specialmente, G. Foschini, Inammissibilità dell’impugnazione ed obbligo di declaratoria di cause di non punibilità, in Arch. pen., 1945, II, p. 156, e G. Galli, L’inammissibilità dell’atto processuale penale, Milano, 1968, p. 277, sulla scia di G. Delitala, Le così dette pregiudiziali alla validità dell’impugnazione, in Rassegna Penale, 1929, p. 900 ss.) e, all’opposto, quella dell’asso­luta prevalenza della declaratoria ex art. 152 c.p.p. 1930 (M. Gallo, Sulla pregiudizialità della declaratoria delle cause di non punibilità rispetto alla declaratoria della inammissibilità dell’impugnazione, in Giur. it., 1948, II, c. 113; G. Tranchina, Impugnazione (dir. proc. pen.), in Enc. Dir., XX, Milano, 1970, p. 7580).

[39] Cass., sez. un., 11 novembre 1994, n. 21, cit.

[40] La scelta del parametro normativo di riferimento è stata giustamente criticata in dottrina (M. Atzei, Il problema dei rapporti, cit., c. 488; A. Scella, Il vaglio d’inammissibilità, cit., pp. 140-141, nota 94), in quanto non si comprende, a fronte delle stesse argomentazioni svolte dalla Corte, il motivo della differenziazione delle inosservanze dell’art. 581 c.p.p. da tutte le altre previste dagli artt. 585 e 591, comma 1, lett. b), c.p.p. che certamente, nel contemplare l’inammissibilità per vano decorso dei termini e per l’inoppugnabilità del provvedimento, dovevano rientrare nella prospettiva “Manziniana”, accolta dalle Sezioni Unite, delle cause d’inammissibilità originarie. Alla luce di tali osservazioni sarebbe stato più opportuno indicare quale referente normativo l’art. 591 c.p.p., così come, del resto, ha fatto la giurisprudenza successiva.

[41] In senso completamente adesivo a Cass., sez. un., 11 novembre 1994, n. 21, cit., si pone Cass., sez. un., 24 giugno 1998, n. 11493, cit.

[42] «(…) sarebbe semplicistico ritenere che la nuova conclusione origini dalla adesione ad una impostazione meramente teo­rica del problema, astratta da una realtà che registra un utilizzo delle impugnazioni e del ricorso per cassazione in particolare, in chiave dilatoria, ben al di là, quindi, della loro naturale funzione di controllo circa la correttezza della decisione adottata»: così A. Presutti, Ancora un intervento, cit., p. 849.

[43] Cass., sez. un., 30 giugno 1999, n. 30, cit.

[44] Cass., sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, cit.

[45] Per tutti, cfr. G. Grevi, Un “caso clinico”, cit., pp. 1170-1171.

[46] Per l’utilizzo delle espressioni tesi “liberale” e tesi “rigorista” al fine di indicare le opposte impostazioni sviluppatesi a proposito dell’interpretazione dei rapporti tra cause d’inammissibilità e cause di non punibilità v. M. Atzei, Il problema dei rap­porti, cit., c. 483 ss.

[47] Cfr., tra i molti e, sia pur con varietà di accenti, B. Lavarini, La formazione del giudicato, cit., p. 1204; A. Scella, Il vaglio d’inammissibilità, cit., p. 147; C. Valentini, I profili generali, cit., p. 263.

[48] Cfr. M. Atzei, Il problema dei rapporti, cit., c. 499-500.

[49] Così L. Marafioti, Selezione dei ricorsi, cit., p. 147, secondo cui la funzione dell’art. 129, comma 1, c.p.p. «verrebbe svilita se la si ritenesse limitata a stabilire solo la prevalenza delle cause di improcedibilità ed una gerarchia tra le formule di proscioglimento da attuare soltanto nella naturale sede del giudizio di merito o del controllo di legittimità operato con le forme ordinarie, senza che essa operi mai in ulteriori e diversi momenti del procedimento» (L. Marafioti, Selezione dei ricorsi, cit., p. 143).

[50] A. Bargi, Inammissibilità dell’impugnazione, cit., p. 188: «(…) si deve ritenere applicabile l’art. 129 c.p.p. ogniqualvolta si sia in presenza di una causa di inammissibilità che comporti un giudizio di valutazione di idoneità dell’atto ad introdurre il giudizio di grado superiore. Infatti, in tal caso, l’esercizio del potere di jus dicere ricade nell’ambito della sequenza del procedi­mento di verificazione processuale della causa di inammissibilità che involge un giudizio di idoneità dell’atto e non una mera constatazione dell’invalidità dell’impugnazione». In proposito, cfr., altresì, L. Marafioti, Selezione dei ricorsi, cit., p. 153.

[51] Cfr. M. Atzei, Il problema dei rapporti, cit., c. 490. Sulla sovrapponibilità degli accertamenti, sotto la vigenza del codice del 1930, v. G. Lozzi, Considerazioni in ordine alla competenza del giudice a quo, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1963, p. 1018, nonché G. Leone, Sistema delle impugnazioni penali, cit., p. 169.

[52] Nel prevedere che «l’inammissibilità, quando non è stata rilevata a norma del comma 2, può essere dichiarata in ogni stato e grado del procedimento», l’art. 591, comma 4, c.p.p. induce a concludere nel senso che la causa di inammissibilità, sfuggita al vaglio preliminare e preventivo, possa essere rilevata durante la valutazione del merito.

[53] Così M. Atzei, Il problema dei rapporti, cit., c. 491.

[54] In tal senso, v. per tutti, G. Lozzi, Lezioni di procedura penale, 6ª ed., Torino, 2004, p. 646.

[55] Cfr. L. Marafioti, Selezione dei ricorsi, cit., p. 153, il quale afferma che, in un’ottica particolarmente rigorista, si potrebbe anche ammettere una preclusione alla declaratoria di determinate cause di non punibilità (oltre che nelle ipotesi di impu­gnazione proposta fuori termine ovvero nei confronti di un provvedimento intrinsecamente inoppugnabile) in presenza di situazioni d’inammissibilità «frutto di vizi assolutamente formali», mentre deve essere escluso «fermamente che l’operatività dell’art. 129 c.p.p. possa essere bloccata da discutibili “valutazioni”, quali quelle circa la manifesta infondatezza o l’estraneità alla legge dei motivi allegati». Condivide questa ricostruzione anche F. Centorame, Ricorso cumulativo, cit., p. 6.

La differenza tra cause di inammissibilità riconducibili a vizi formali e cause di inammissibilità che attengono alla parte motiva dell’atto attualmente rileva, a livello normativo, ai fini delle forme procedurali del vaglio preliminare di inammissibilità in cassazione: il comma 5 bis dell’art. 610 c.p.p. - introdotto dalla l. 23 giugno 2017, n. 103 - prevede che l’inammissibilità sia dichiarata «senza formalità di procedura» nelle ipotesi di difetto di legittimazione ad impugnare, di non impugnabilità del provvedimento, di violazione delle disposizioni di cui agli artt. 582, 583, 585, 586, e di rinuncia all’impugnazione, oltre che nei casi di ricorsi inammissibili contro la sentenza di patteggiamento e quella del concordato sui motivi di appello; il provve­dimento che dichiara l’inammissibilità può essere impugnato con il ricorso straordinario in cassazione ex art. 625 bis c.p.p. Per altro verso, lo stesso recente provvedimento normativo ha incrementato il contraddittorio cartolare nell’ambito della procedura camerale che si svolge dinnanzi alla Sezione “filtro”, stabilendo che l’avviso di cui all’art. 610, comma 1, c.p.p. dovrà contenere l’enunciazione della causa di inammissibilità rilevata «con riferimento al contenuto dei motivi di ricorso».

[56] Cass., sez. un., 25 febbraio 2004, n. 24246, cit.; nello stesso senso v., tra le altre, Cass., sez. II, 8 luglio 2014, n. 37688, in CED Cass., n. 259989; Cass., sez. II, 28 aprile 2010, n. 18680, in CED Cass., n. 247088.

[57] Cass., sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, cit. e Cass., sez. un., 25 febbraio 2004, n. 24246, cit., sul rilievo che l’eccezionale possibilità di incidere in executivis sul giudicato «parrebbe comportare che a tanto possa provvedere il giudice dell’impugna­zione inammissibile». Sotto altro profilo, è opportuno ricordare che, sempre facendo leva sulla deducibilità della questione innanzi al giudice dell’esecuzione, le Sezioni Unite hanno ammesso la possibilità di rilevare d’ufficio altre questioni, nonostante l’inammissibilità del ricorso: v., ad esempio, Cass., sez. un., 28 febbraio 2015, n. 33040, in CED Cass., n. 264207, secondo cui l’illegalità della pena conseguente a dichiarazione d’incostituzionalità di norme riguardanti il trattamento sanzionatorio (v. Corte cost., n. 32 del 2014) è rilevabile d’ufficio nel giudizio di cassazione anche in caso di inammissibilità del ricorso.

[58] In tal senso v. Cass., sez. I, 5 ottobre 2011, n. 39566, in CED Cass., n. 251176; Cass., sez. III, 3 luglio 2008, n. 38033, in CED Cass., n. 241280; Cass., sez. VII, 6 marzo 2008, n. 21579, in CED Cass., n. 239960; contra Cass., sez. III, 8 giugno 2011, n. 29895, in CED Cass., n. 251080.

[59] In senso critico verso l’incoerente distinguo tra cause di non punibilità dichiarabili sempre ed altre ragioni di proscio­glimento alle quali si nega la prevalenza sulla declaratoria di inammissibilità v. A.M. Capitta, La declaratoria immediata, cit., p. 209.

[60] Cass., sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, cit., nonché Cass., sez. un., 27 giugno 2001, n. 33542, cit., secondo cui «è inam­missibile, in quanto proposto al di fuori dei casi tassativi previsti dalla legge, il ricorso per cassazione che abbia ad oggetto esclusivo la richiesta di dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione maturata nel periodo intercorrente tra la pronuncia della sentenza impugnata e la proposizione del ricorso medesimo».

[61] Cass., sez. un., 22 marzo 2005, n. 23428, cit., la cui conclusione è condivisa da R. Orlandi, Se la condanna è per un reato prescritto, cit., p. 78, il quale, dopo aver precisato che la «constatata inammissibilità ostacola la declaratoria di prescrizione a prescindere dal momento in cui si matura», auspica, in ordine alla specifica questione, la novella dell’art. 676 c.p.p. al fine di offrire «la possibilità di una “correzione d’ufficio” all’omesso esercizio di un “dovere d’ufficio”».

A proposito del punctum dolens rappresentato dalle prescrizioni maturate nel giudizio di secondo grado, la recente introduzione (mediante l. 23 giugno 2017, n. 103) delle nuove ipotesi di sospensione della prescrizione a seguito di condanna non definitiva di cui all’art. 159, commi 2 e 3, c.p. potrebbe non essere risolutiva: cfr., al riguardo, S. Zirulia, Riforma Orlando: la “nuova” prescrizione e le altre modifiche al codice penale, in www.penalecontemporaneo.it, 20 giugno 2017, il quale, alla luce dei dati ministeriali sull’istituto della prescrizione in Italia, sottolinea il rischio che il tempo di 18 mesi (pari alla durata massima di ciascuno dei due nuovi periodi di sospensione) non sia sufficiente a contrastare il fenomeno delle prescrizioni sopraggiunte in appello.

[62] Nel ritenere che la declaratoria ex art. 129 c.p.p. debba prevalere sull’inammissibilità nell’ipotesi di prescrizione maturata in data anteriore alla pronuncia di appello, tale orientamento valorizza le similitudini tra la fattispecie in questione e le altre ipotesi “derogatorie”, soffermandosi, altresì, sul fondamento costituzionale della causa estintiva de qua: cfr. Cass., sez. V, 17 settembre 2012, n. 42950, in CED Cass., n. 254633, nella quale si precisa che «se, dunque, il giudice non può fare a meno di constatare la morte del reo, non si vede come possa fare a meno di riconoscere la “morte del reato”. Per altro (…) la prescrizione ha anche un suo fondamento costituzionale: essa costituisce una garanzia personale per l’individuo, che non può (non deve) essere esposto, al di là di ragionevoli limiti temporali, al “rischio” di essere penalmente punito per fatti commessi anni ad­dietro». In senso analogo v. anche Cass., sez. III, 21 marzo 2014, n. 15112, in CED Cass., n. 259185; Cass., sez. III, 30 gennaio 2014, n. 14438, in CED Cass., n. 259135; Cass., sez. II, 16 maggio 2013, n. 34891, in CED Cass., n. 256096; contra Cass., sez. VI, 14 marzo 2014, n. 25807, in CED Cass., n. 259202; Cass., sez. I, 20 gennaio 2014, n. 6693, in CED Cass., n. 259205; Cass., sez. III, 8 ottobre 2009, n. 42839, in CED Cass., n. 244999.

[63] Cass., sez. un., 17 dicembre 2015, n. 12602, cit. In base alla precisazione contenuta in tale decisione, l’esclusione della pos­sibilità di dichiarare la prescrizione, maturata anteriormente alla conclusione del giudizio d’appello, sussiste nel caso in cui il ricorrente si sia limitato a dedurre con il ricorso censure inammissibili, senza dolersi dell’omessa applicazione dell’art. 129 c.p.p., comma 1, c.p.p. da parte del giudice di merito, ma non anche in quest’ultima eventualità. In relazione a tale profilo, per­tanto, è stato sconfessato anche l’orientamento secondo cui non poteva essere valutato il motivo (unico o associato ad altri motivi pacificamente inammissibili) di ricorso per cassazione volto a fare valere l’estinzione del reato per prescrizione veri­ficatasi prima della pronuncia della sentenza d’appello, per non essere stata tale causa estintiva dedotta né rilevata nel giudizio di merito (Cass., sez. VI, 14 marzo 2014, n. 25807, cit.; Cass., sez. I, 20 gennaio 2014, n. 6693, cit.; Cass., sez. III, 8 ottobre 2009, n. 42839, cit.).