Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Procedimento di restituzione delle cose sequestrate: potenziali equivoci e problemi applicativi (di Roberto De Rossi)


L’art. 263, comma 3, del codice di rito è una norma che non brilla di certo per chiarezza di formulazione. Ciò comporta il sorgere di incertezze interpretative che sono quanto mai pericolose per la prassi, venendo in gioco peraltro diritti di rango costituzionale, che non possono e non devono essere limitati dalla giurisprudenza di legittimità. Le questioni che vengono in rilievo sono di carattere prettamente civilistico e il procedimento di restituzione che ne deriva deve essere ispirato alla ratio legis di garantire snellezza e celerità allo stesso.

Process of confiscated goods: potential misunderstandings and application problems

The Article 263, paragraph 3, of the Criminal Procedure Code, is a rule that does not shine for clearness of wording. This leads to the emergence of interpretative uncertainty, which are extremely dangerous for the procedure, being involved, however, constitutional rights, which cannot and should not be limited by the Supreme Court. The questions that arise from the rule are purely civil and the restitution process that results should be inspired to the spirit and the purpose of guaranteeing slenderness and promptness to the criminal trial.

 

 

LA VICENDA DE QUA Lo spunto per una riflessione sulla particolare ratio sottesa all’art. 263, comma 3, c.p.p. è stato offerto dalla sentenza in commento, la quale origina da una vicenda relativa ad un’imputazione di ricettazione di un dipinto oggetto di furto. La posizione dell’indagata, in seguito alla ricostruzione delle modalità dell’acquisto del dipinto, veniva in seguito stralciata ed archiviata; il procedimento penale, però, proseguiva nei confronti dei titolari della galleria d’arte e l’originario provvedimento di sequestro del dipinto veniva allegato agli atti del procedimento, ove la signora veniva indicata quale persona offesa. Il g.i.p. del Tribunale di Firenze, quale giudice dell’esecuzione, decidendo sull’opposizione proposta dalla signora avverso il precedente provvedimento che dichiarava non luogo a provvedere sull’istanza di restituzione del dipinto per essere stata rimessa al giudice civile la controversia circa la proprietà del bene in sequestro penale, rigettava l’opposizione, confermando il provvedimento già emesso. Ad avviso del g.i.p., pronunziatosi in sede esecutiva, non è necessaria la dimostrazione dell’assenza di una formale controversia civilistica, posto che sia la signora sia il soggetto che denunciò il furto del dipinto manifestarono la volontà di ottenere la restituzione dell’opera. Pertanto, essendo in atto una controversia circa la proprietà del dipinto, si è resa indispensabile l’applicazione del disposto normativo di cui all’art. 263, comma 3, c.p.p. Avverso detto provvedimento la signora, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, nel quale – con unico motivo – ha dedotto l’erronea applicazione dell’art. 263, comma 3, c.p.p., vizio di motivazione e abnormità dell’ordinanza. La difesa, nell’accurata ricostruzione della vicenda, ha sottolineato come nessuna controversia circa la proprietà del dipinto fosse in corso e, data l’accertata buona fede della signora e la conseguente applicabilità dell’art. 1153 c.c., mancava l’interesse della stessa ad instaurare un giudizio civile per affermare ciò che era già stato verificato. La Corte di legittimità ha accolto il ricorso, articolando un particolare impianto motivazionale, scansionato su tre piani sistematici tra loro correlati; il ragionamento ha ripercorso, anzitutto, le riflessioni della giurisprudenza di legittimità sul disposto di cui all’art. 263, comma 3, c.p.p., osservando come lo stesso sia stato oggetto di diverse interpretazioni in rapporto alla individuazione della ratio sottesa alla norma ed alla necessità di inserire detta previsione nel sistema delle questioni pregiudiziali e dei rapporti tra procedimento penale e procedimento [continua..]

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