Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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L'incompatibilità del giudice che ha applicato la pena su richiesta nei confronti del concorrente necessario


CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE, SENTENZA 26 GIUGNO 2014, N. 36847 – PRES. SANTACROCE; REL. CONTI

L’ipotesi di incompatibilità del giudice derivante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 371 del 1996 – che ha dichiarato la incostituzionalità dell’art. 34, comma 2,c.p.p.”nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti, nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilità penale sia stata già comunque valutata” – sussiste anche in riferimento alla ipotesi in cui il giudice del dibattimento abbia, in separato procedimento, pronunciato sentenza di applicazione della pena su richiesta nei confronti di un concorrente necessario dello stesso reato.

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[Omissis] RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 30 settembre-3 ottobre 2013, la Corte di appello di Roma dichiarava inammissibile la ricusazione, proposta con atto depositato il 27 settembre 2013, nell’interesse degli imputati D.G.A. e D.G.P., nei confronti dei componenti del Collegio della Quarta Sezione penale del Tribunale di Roma. 2. Esponeva la Corte di appello che l’indicato Tribunale, investito del dibattimento a carico di L.G. e altri, all’udienza del 25 settembre 2013, aveva, previa separazione della relativa posizione, pronunciato sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. nei confronti del coimputato L.L. in relazione a tutti i reati contestatigli. I componenti del Tribunale – che aveva ripreso nello stesso giorno la trattazione del dibattimento nei confronti dei restanti imputati – su sollecitazione dei difensori di D.G.A. e D.G.P., fondata sul fatto che i medesimi giudici avevano poco prima applicato la pena richiesta nei confronti del predetto coimputato, dichiaravano di astenersi dalla partecipazione al giudizio, pur dando atto di non avere in tale sede valutato “profili di merito relativi alla posizione degli attuali imputati”. Con provvedimento emesso in quella stessa mattina, il Presidente del Tribunale non accoglieva la dichiarazione di astensione, osservando che i membri del Collegio, secondo quanto risultava dalla motivazione della sentenza di patteggiamento relativa a L.L., non avevano, neppure implicitamente, valutato la posizione dei coimputati. Alla ulteriore ripresa del dibattimento, avvenuta sempre nello stesso 25 settembre 2013, i difensori di D.G.A. e P., e questi ultimi di persona, preso atto di detto provvedimento, dichiaravano di ricusare i componenti del Collegio ai sensi dell’art. 37 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 36, comma 1, lett. g), e 34 cod. proc. pen.. Il Tribunale disponeva conseguentemente la trasmissione al Presidente della Corte di appello di Roma di copia del verbale di udienza, del provvedimento preso dal Presidente del Tribunale sulla dichiarazione di astensione, della sentenza di applicazione di pena emessa nei confronti di L.L. e del decreto di giudizio immediato. L’atto di ricusazione veniva poi dai difensori di D.G.A. e P. ulteriormente formalizzato in data 27 settembre 2013, con corredo di documentazione, mediante deposito nella Cancelleria della Corte di appello di Roma. In tale atto veniva in particolare richiamata la sentenza C. cost. n. 371 del 1996, che aveva dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 34, secondo comma, cod. proc. pen. “nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti, nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilità penale sia già stata comunque valutata”. Si osservava [continua..]

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