Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Quello che le norme non dicono: l'art. 168-bis c.p. non menziona le circostanze e quindi le esclude dal computo della pena massima ai fini dell'ammissione alla messa in prova (di Lorena Puccetti)


Le Sezioni Unite hanno stabilito che l’art. 168-bis c.p., nella parte in cui per individuare i delitti in relazione ai quali è ammissibile la richiesta di sospensione con messa in prova fa riferimento alla pena detentiva massima di quattro anni senza specificare se le circostanze abbiano incidenza in tale calcolo, deve intendersi nel senso che la norma attribuisce rilevanza soltanto alla pena massima prevista per la fattispecie-base. La pronuncia ha precisato che tale conclusione, la quale risulta chiaramente dall’interpretazione letterale e sistematica del testo normativo e dalla volontà legislativa, appare coerente con la finalità special-preventiva che ispira l’istituto della messa in prova.

What words don’t say: art. 168-bis of Penal Code does not mention the circumstances of the offence and therefore excludes them from the calculation of maximum term of penalty in order to request the probation in criminal proceeding

Joined Chambers of the Court of Cassation have established that art. 168-bis of the Penal Code, in so far it –in order to identify the offences which are eligible for the request for probation-, refers to the maximum term of imprisonment (4 years) without specifying if the circumstances of the crime are relevant for the calculation of the maximum, must be understood as referring to the maximum term of imprisonment without regard to the circumstances of the crime. The Court decision pointed out that this conclusion, which is derived clearly from the literal and systematic interpretation of the legislative text and from the will of the legislative authority, is consistent with the special-preventive purpose of probation in criminal proceedings.

 
BREVI CENNI INTRODUTTIVI Con la pronuncia in esame la Corte di Cassazione ha affrontato una delle principali questioni sorte con l’entrata in vigore della l. 28 aprile 2014, n. 67, che ha introdotto il nuovo istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato. Tale innovativo strumento si colloca all’interno di un quadro più generale di interventi – Delega al Governo in materia di depenalizzazione, sospensione del procedimento con messa alla prova, pene detentive non carcerarie, nonché sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili – finalizzati ad attenuare la duplice criticità dell’attuale sistema processuale e sanzionatorio e cioè, da un lato l’utilizzo di sanzioni ancora incentrate sulla pena detentiva carceraria anche in relazione a condotte di limitato disvalore, e dall’altro l’eccessivo numero di procedimenti che sfociano nella celebrazione di processi sproporzionatamente dispendiosi in termini di tempo e risorse [1]. Sul piano degli obiettivi, dunque, la messa in prova costituisce in primo luogo il mezzo per consentire il ricorso ad una sanzione alternativa a quella penale, avvertita ormai come inadeguata a favorire il recupero sociale del reo. Inoltre, lo strumento è idoneo ad evitare l’accertamento dibattimentale che dovrebbe essere opportunamente riservato soltanto ai reati meritevoli di adeguato approfondimento. In questo secondo profilo, l’istituto si muove, pertanto, in quella medesima prospettiva deflattiva che ha ispirato la causa di non punibilità per speciale tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c.p. –inserita dal d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28 [2]. Sul piano tecnico, lo strumento in esame presenta una natura ibrida. Infatti, da un lato la richiesta di sospensione che dà luogo al procedimento costituisce dal punto di vista processuale un ulteriore rito alternativo alla celebrazione del dibattimento [3]. Per converso, posto che il corretto adempimento del programma determina una pronuncia di estinzione del reato, la messa alla prova si connota di un intrinseco profilo sostanziale. Del resto, la doppia natura dell’istituto è palesata dalla collocazione delle norme che la disciplinano, inserite nel corpo sia del codice di procedura penale che di quello penale [4]. Molteplici sono, dunque, le caratteristiche della messa alla prova. Tuttavia, le eterogenee esigenze sottese a tale strumento e la coesistenza di un profilo sostanziale accanto ad uno processuale, si trovano talvolta a confliggere generando incertezze nella concreta applicazione pratica [5]. Ciò premesso, nelle pronunce che hanno progressivamente risolto i vari dubbi interpretativi, si sono delineate le linee portanti e le finalità prioritarie dell’istituto. Ed al riguardo, si sottolinea che nelle argomentazioni poste a fondamento [continua..]

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