Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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“Giudicato liquido ” e nuove potenzialità dell'esecuzione penale (di Nicola Russo)


La sentenza delle Sezioni Unite riconosce al giudice dell’esecuzione il potere di revocare ex art. 673 c.p.p. la condanna definitiva pronunciata per un fatto non più previsto dalla legge come reato già al momento della sua consumazione anche nei casi di abrogazione tacita della norma incriminatrice, tutte le volte in cui ciò consegua ad un errore di “percezione” del quadro legislativo di riferimento e non di valutazione della fattispecie.

Res iudicata and enforcement of criminal penalties: a new era

According to the United Sections of the Court of Cassation, the enforcement judge may revoke the judgment of conviction ex art. 673 c.p.p. in case of silent abolition of provisions, when the decision was caused by a wrong perception not of the individual criminal law provision, but of the whole legislative framework.

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IL CASO ESAMINATO DALLE SEZIONI UNITE Il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Bergamo veniva adito dal Pubblico Ministero per la revoca della sentenza di condanna nei confronti del cittadino extracomunitario A.M., condannato in sede di giudizio abbreviato dal medesimo tribunale per i reati di cui agli artt. 6, comma 3, e 14, comma 5-quater, del d.lgs. n. 286/1998 (testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigra­zione e norme sulla condizione dello straniero) [1]. Entrambi i reati contestati all’imputato risultavano commessi in data 28 maggio 2010. Per tali condotte all’imputato era stata irrogata la pena di dieci mesi di reclusione. Il ricorso del pubblico ministero al giudice dell’esecuzione aveva avuto ad oggetto dapprima la condanna per il reato di cui all’art. 14, comma 5-quater, del d.lgs. n. 286/1998. Il giudice, pronunciandosi in conformità alla richiesta, aveva disposto la revoca parziale della sentenza di condanna. Il secondo ricorso della pubblica accusa, rivolto ad ottenere anche la revoca della condanna per il reato di cui all’art. 6 comma 3, era stato invece respinto dal giudice dell’esecuzione. Nella sua ordinanza reiettiva il Tribunale di Bergamo aveva evidenziato che a fondamento della richiesta non era stata indicata la ricorrenza di alcuna delle situazioni legittimanti l’applicazione dell’art. 673 c.p.p. (abolitio criminis o declaratoria d’illegittimità costituzionale della norma incriminatrice), bensì soltanto un mutamento d’indirizzo giurisprudenziale «pur se autorevole perché espresso dalle Sezioni Unite» con la sentenza 24 febbraio 2011, n. 16453. Con questa pronuncia, il supremo consesso aveva statuito che, dopo le modifiche introdotte dall’art. 1, comma 22, lett. h), legge n. 94/2009 (in vigore dall’8 agosto 2009) al testo del già menzionato art. 6, comma 3, del T.U. sull’immigrazione, il reato in argomento era configurabile solo se commesso da stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio italiano e non anche da parte di immigrati clandestini (come invece risultava essere l’imputato). La cronologia riportata mette in luce che all’epoca dei fatti contestati ad A.M., la norma incriminatrice dell’art. 6, comma 3, era stata già modificata da quasi un anno. Sebbene la novella risalisse al 2009, l’interpretazione della nuova disposizione era stata oggetto di differenti orientamenti (in sede di merito e di legittimità) fino all’intervento nomofilattico delle Sezioni Unite con la citata sentenza n. 16453/2011. Prima di questa sentenza (ma, come detto, dopo l’intervento normativo del 2009) la pronuncia di condanna nei confronti di A.M. era divenuta irrevocabile (il 24 settembre del 2010). LE VICENDE DELLA NORMA INCRIMINATRICE Nella sua formulazione originaria, l’art. [continua..]

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