Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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La mancata applicazione della sospensione condizionale non chiesta in appello, non può essere dedotta in Cassazione (Corte di Cassazione, sez. un., 22 maggio 2019, n. 22533 – Pres. Carcano, Est. Mazzei)


Corte di Cassazione, sez. un., 22 maggio 2019, n. 22533 – Pres. Carcano, Est. Mazzei

Fermo il dovere del giudice di appello di motivare il mancato esercizio del suo potere di ufficio di applicare il beneficio della sospensione condizionale della pena, in presenza delle condizioni che ne consentono il riconoscimento, specialmente se sopravvenute al giudizio di primo grado, l’imputato non può dolersi, con ricorso per cassazione, della mancata applicazione del medesimo beneficio se non lo ha richiesto nel corso del giudizio di appello.

[Omissis]   RITENUTO IN FATTO   1. (omissis), con sentenza del 7 marzo 2013 emessa dal Tribunale monocratico di Castrovillari all’esito di giudizio abbreviato condizionato, fu dichiarato responsabile del delitto previsto dall’art. 73, commi 1 e 1-bis, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, commesso in Castrovillari il 15 gennaio 2013, per avere illecitamente detenuto sostanza stupefacente del tipo marijuana del peso complessivo di grammi 166, non destinata all’uso esclusivamente personale, e, con le attenuanti generiche e la riduzione per il rito, fu condannato alla pena di tre anni di reclusione ed Euro dodicimila di multa, con interdizione temporanea dai pubblici uffici, confisca e distruzione della sostanza stupefacente in sequestro. Tale decisione, impugnata dall’imputato, fu parzialmente riformata dalla Corte di appello di Catanzaro, giusta sentenza dell’8 maggio 2017, ferma la dichiarata responsabilità di (omissis) per il delitto, così come contestato, con riduzione del trattamento sanzionatorio ad anni uno e giorni venti di reclusione ed Euro quattromila di multa e revoca della pena accessoria, in considerazione della sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, determinante la reviviscenza dell’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nel testo antecedente le modifiche introdotte dall’art. 4-bis d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, articolo 4 bis, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, che poneva limiti edittali di pena più miti per le droghe cosiddette leggere, come quella sequestrata all’imputato. 2. Avverso quest’ultima sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato tramite il difensore, avvocato (omissis), il quale ha dedotto quattro motivi di ricorso. 2.1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato, ai sensi dell’articolo 606, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione degli artt. 125, comma 3, e 438 cod. proc. pen., 24 e 111 Cost., 73, commi 1 e 1-bis, d.P.R. n. 309 del 1990, e il vizio di motivazione. Illegittimamente il Tribunale aveva utilizzato, nella decisione di condanna, gli esiti delle analisi chimiche, attestanti il numero di dosi singole (738) ricavabili dalla sostanza stupefacente (marijuana) sequestrata, benché il referto degli esami, eseguiti a cura di esperti della polizia scientifica di Reggio Calabria, non fosse stato presente nel fascicolo processuale al momento della richiesta del giudizio abbreviato. Ad avviso del ricorrente, la Corte di appello aveva respinto tale eccezione con motivazione del tutto inadeguata, limitandosi a richiamare la generica disponibilità del Tribunale e del Pubblico Ministero a fornire i chiarimenti richiesti dall’imputato circa il documento di analisi denunciato come assente in atti. Tali chiarimenti non erano stati mai forniti dalle Autorità adite, con la [continua..]

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Fascicolo 6 - 2019