Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Il sequestro preventivo funzionale alla confisca: un istituto senza 'confini' (di Matteo Rampioni)


Contrariamente a quanto avviene per le cautele personali, la disciplina del sequestro preventivo, ed in particolare di quello funzionale alla confisca, non è stata ben delineata dal legislatore. L’art. 321, comma 2, c.p.p., infatti, non offre spunti adeguati per individuare con chiarezza condizioni e i limiti della misura; la qual cosa ha generato un massiccio intervento giurisprudenziale diretto a legittimare il sequestro preventivo funzionale alla confisca sulla base dell’astratta sostenibilità della notizia di reato.

The preventive attachment functional to confiscation: a subject without no frontier

Contrarily at what happens for the personal precautionary measures, the subject of the preventive attachment, and in particulare the one functional to confiscation, hasn’t been correctly regulated by the legislator. Article 321, comma 2, c.p.p., doesn’t offer any reference with wich identify limits of the measure; this determined a massive and constant work of the Supreme Court of Justice direct to legitimize the preventive attachment functional to confiscation based just on the abstract sustainability of the case enrolment.

SOMMARIO:

Introduzione - Il vuoto dei presupposti applicativi - Criticità - NOTE


Introduzione

Come spesso accade, una rigida e chiara disciplina consente di comprendere senza particolari difficoltà interpretative i confini di un dato istituto. Viceversa, quando una materia non è sufficientemente normativizzata, o semplicemente ben spiegata, occorre intervenire in un secondo momento per tentare di eliminare le incertezze. È quanto avviene per il «sequestro preventivo finalizzato alla confisca» di cui all’art. 321, comma 2 c.p.p. che, non essendo adeguatamente tipizzato, si serve dei criteri individuati dalla giurisprudenza per fronteggiare le sue lacune normative. È noto che gli scopi del legislatore nella predisposizione dell’art. 321 c.p.p. fossero, da un lato, quello di formulare la “nuova” figura del «sequestro preventivo» in modo chiaro e preciso, al fine di porre un freno alla prassi giudiziaria previgente che, mediante l’art. 337 c.p.p. abr [1]., consentiva al sequestro penale di perseguire le più disparate finalità [2]; e, dall’altro, attraverso l’introduzione della figura dell’art. 321, comma 2, c.p.p., di delimitare ulteriormente, attraverso un rinvio alla nozione di cose di cui è consentita la confisca, l’area di operatività della misura (si cercò di escluderne l’operatività fuori dei confini segnati, sia dall’art. 240 c.p., che dalle leggi speciali in cui è espressamente riconosciuto al giudice il potere ablativo [3]). Nonostante gli intendimenti della materia, l’art. 321, comma 2, c.p.p. nella sua «nuova» formulazione si limita a stabilire che “il giudice può altresì disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca” [4]. Già dalla lettura dell’esiguo testo normativo, è possibile affermare che la norma, così come scritta, non è in grado né di colmare il menzionato “vuoto di fini”, né tantomeno di fornire, complici anche le mutazioni [5] subite dall’istituto della confisca negli ultimi anni, sufficienti garanzie per chi viene raggiunto dalla misura [6].


Il vuoto dei presupposti applicativi

Malgrado la diversa natura, da un lato, del sequestro preventivo disciplinato dall’art. 321, comma 1, c.p.p. (riconducibile direttamente al genus delle misure cautelari) e, dall’altro, del sequestro preventivo finalizzato alla confisca (che possiede, invece, una connotazione particolare per via della sua specifica finalità di vincolare i beni in vista di una futura confisca), il tema dei presupposti applicativi appare in entrambi i casi scivoloso per via della generale vacuità normativa [7]. Sistemicamente inquadrato dal legislatore tra le misure cautelari, il sequestro preventivo disciplinato dall’art. 321, comma 1, c.p.p. risulterà applicabile qualora ricorrano il fumus boni iuris ed il periculum in mora. Stando alla prevalente prassi, il fumus coincide con l’astratta ed ipotetica sussumibilità del fatto (enunciato dal pubblico ministero) nella norma incriminatrice [8], non occorrendo, né una determinata soglia indiziaria, tantomeno analoga a quella richiesta dall’art. 273 c.p.p. [9],, né l’individuazione dell’au­tore del reato [10]. Il periculum, invece, va desunto dalla medesima natura del bene oggetto di sequestro e dal suo carattere strumentale rispetto all’aggravamento o alla protrazione delle conseguenze del reato [11]. Sotto tale profilo, ai fini applicativi, il giudice dovrà accertare il cd. nesso di pertinenzialità funzionale tra la cosa e il reato. Diversi, invece, i requisiti richiesti per l’applicazione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca [12]: vista la genericità normativa al riguardo, la soluzione (se così può essere chiamata) va ricercata nel quadro tracciato dalla giurisprudenza. Sebbene le situazioni soggettive coinvolte (proprietà, possesso, anche di beni immateriali, detenzione, credito), il Supremo Collegio [13] da un lato, e la Corte costituzionale dall’altro [14], escludono, così come per l’ipotesi di sequestro di cui all’art. 321, comma 1 c.p.p., un’indagine sul fumus paragonabile ai «gravi indizi di colpevolezza» [15]. Peraltro, la giurisprudenza (in particolare della Corte costituzionale [16]), ritiene che tale soluzione non contrasti con il diritto di difesa. Invero: da un lato, non esisterebbe alcun obbligo [continua ..]


Criticità

Limitando il discorso alla sola disciplina del sequestro preventivo finalizzato alla confisca, appare chiaro come la mancata indicazione dei presupposti applicativi apra la strada a questioni diverse. La prima concerne la natura della misura. Nonostante, da un lato, il corpus normativo annoveri il sequestro nel «libro IV» (parte del codice, come è noto, dedicata alle misure cautelari) e, dall’altro, anche la letteratura [32] pare considerare la misura ablativa un provvedimento cautelare, seppur rappresenti una figura “autonoma” rispetto a quella prevista dall’art. 321, comma 1, c.p.p. [33], la sua piatta riconducibilità al genus cautelare appare frutto di un’impostazione assai schematica. È assodato che le misure cautelari (in generale) comportano o la limitazione del movimento (ad es. la custodia) o l’interdizione da determinate attività (es. sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale) o, come nel caso delle cautele reali, un vincolo di indisponibilità su cose o diritti in rem. Lo scopo, a prescindere dalla tipologia di misura applicata, è il medesimo: evitare che il passare del tempo possa «pregiudicare irrimediabilmente l’efficacia pratica della sentenza di condanna [34]». I provvedimenti cautelari, strutturalmente, sono subordinati, soprattutto considerando il coinvolgimento di beni costituzionalmente garantiti, alla sussistenza di stringenti requisiti: il periculum in mora ed il fumus boni juris; criteri che appaiono indispensabili, sia, per verificare la legittima imposizione di una misura (e, dunque, anche per esercitare un «giusto» diritto di difesa), sia per garantire il fondamentale carattere di provvisorietà e incidentalità delle cautele. Tali dati dovrebbero essere di per sé già sufficienti ad ingenerare il dubbio circa la natura del sequestro preventivo funzionale alla confisca: come potrebbe parlarsi di un’autentica misura cautelare (reale) se ai fini della sua applicazione basta il solo richiamo alla notitia criminis o poco più? Laddove ciò non bastasse a rilevare la difformità della misura rispetto al «tradizionale» modello cautelare, così come già sottolineato [35], si rileva un’ulteriore peculiarità nella disciplina [continua ..]


NOTE
Fascicolo 5 - 2019