Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Lo scomputo del servizio prestato in caso di revoca dell'affidamento in prova (di Francesco Trapella)


In caso di revoca dell’affidamento ai servizi sociali, il giudice deve determinare la residua pena detentiva, considerando la parte di prova svolta dal condannato quando questa non riveli l’inadeguatezza del processo rieducativo: il principio trova conferme nelle normative di diritto straniero sul sursis probatoire francese o sul probation anglo-americano, e riflette principi applicati, mutatis mutandis, nel nostro ordinamento in punto di lavori di pubblica utilità ex art. 54, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 74.

The deduction of the service performed if the probation fails

If the probation fails, the Court determines the residual term of imprisonment, considering the service performed when it doesn’t reveal the inadequacy of the re-education process: the decision is confirmed in the French law on suris probatoire or in the English or American law on probation, and reflects the principles applied in Italy on Works of public utility (art. 54, d.lgs. 28th august 2000, n. 74).

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LA VICENDA IN SINTESI La sentenza in commento affronta la questione se sia computabile, ai fini dell’espiazione della pena, il periodo trascorso dal condannato in affidamento in prova, allorché la misura alternativa sia stata poi revocata [1]. Se è pacifico che «per effetto della revoca … l’esecuzione in regime di affidamento in prova si interrompe e l’espiazione della pena prosegue in regime carcerario» [2], appare dubbio se la parte di prova già scontata debba essere automaticamente «messa nel nulla» [3] dalla causa di revoca [4] o se, invece, possa tenersene conto laddove il giudice ritenga la condotta che ha determinato il venir meno della misura non così grave da «rivelare l’inadeguatezza del processo di rieducazione e necessaria la revoca “ex tunc”» [5]. Il tribunale di sorveglianza che dimetteva il ricorrente dal beneficio optava per la prima soluzione, senza motivare sulla ritenuta irrilevanza del periodo già trascorso in prova ai fini della pena, e considerandola evidentemente un’automatica conseguenza della revoca. Forte dell’orientamento della Consulta – per cui, «alla luce della sentenza … n. 343 del 1987, il periodo trascorso in affidamento in prova non può essere considerato privo di rilevanza per il solo fatto che la misura alternativa venga revocata» –, la Suprema Corte smentisce le conclusioni del tribunale, annullando l’ordinanza impugnata ed imponendo al giudice del rinvio una «compiuta spiegazione della gravità oggettiva e soggettiva del comportamento che ha dato luogo alla revoca» [6] e delle ragioni per cui esso impedisce di tenere conto della prova già svolta nel computo complessivo della pena [7]. PRECEDENTI La sentenza che si annota richiama la decisione della Corte costituzionale che ha ritenuto illegittimo l’art. 47, comma 10 – oggi, comma 11 –, ord. penit. nella parte in cui, in caso di revoca dell’affidamento in prova per comportamento incompatibile con la prosecuzione della stessa, non consentiva al tribunale di sorveglianza di determinare la residua pena detentiva da espiare, tenuto conto delle limitazioni già patite dal condannato e del suo comportamento durante il segmento di prova svolto [8]. In quell’occasione i giudici della Consulta tornavano su un tema affrontato pochi anni prima dalle Sezioni unite, quando rifiutarono di includere nella pena espiata il periodo di prova risoltosi negativamente [9]: tale opzione rifletteva l’idea dell’affidamento al servizio sociale come «misura sospensiva, condizionata al buon esito della prova», così da «negarsi la detraibilità del periodo di affidamento vanificato dal mancato raggiungimento del fine [continua..]

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