Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Le garanzie linguistiche nel "giusto processo europeo": l'omesso interrogatorio dell'arrestato per irreperibilità dell'interprete (di Francesca Delvecchio)


La Corte di cassazione ritorna sul tema dell’assistenza linguistica all’arrestato alloglotta, adeguandosi all’o­rien­ta­men­to maggioritario e ammettendo l’omissione dell’interrogatorio per irreperibilità dell’interprete, con conseguente convalida della misura precautelare.

Si tratta, tuttavia, di capire se un simile orientamento sia ancora ammissibile nella “primavera europea” delle garanzie difensive.

Language guarantees in "due European process": the interrogation of the arrested failed to unavailability of the interpreter

The Court of Cassation returns to the topic of language assistance for an alloglot arrestee, accepting the majority orientation in case law and allowing for the omission of interrogation on the grounds of the unavailability of the interpreter, thus validating the precautionary measure.

It is, however, to be seen whether such an approach is still permissible in the "European spring" of guarantees for the defence.

LE RAGIONI DELLA CORTE Con la decisione in commento la Corte di cassazione torna a pronunciarsi in materia di assistenza linguistica all’imputato non italofono, inserendosi in quell’ormai nutrito “pacchetto di sentenze” che ha contribuito a delineare i contorni del diritto all’interprete nel processo penale italiano. Questa tematica negli ultimi anni ha assunto un ruolo centrale nelle riflessioni giurisprudenziali e dottrinarie nazionali e sovranazionali [1], tradizionalmente impegnate nel processo di adeguamento delle norme alle nuove esigenze sociali. La diversificazione linguistica e culturale è ormai una realtà frequente nella prassi giudiziaria della “Grande Europa”, sicché si impone una tutela linguistica adeguata, essenziale all’interno di un processo che possa dirsi equo [2]. Su questo sfondo va proiettata la specifica quaestio affrontata dalla pronuncia in esame. In particolare, la Corte si è occupata della tutela del diritto di difesa dell’imputato alloglotta che, tratto in arresto e condotto dinanzi al giudice per il rito direttissimo, non venga sottoposto ad interrogatorio per irreperibilità dell’interprete nel termine di 48 ore, come imposto dall’art. 390, comma 1, c.p.p. La questione tocca punti salienti del “giusto processo”. La garanzia riconosciuta all’imputato di farsi assistere da un interprete costituisce estrinsecazione del diritto inviolabile di difesa; è questa un’as­ser­zio­ne pacificamente condivisa [3], costituzionalmente recepita [4], oltre che convenzionalmente imposta [5]. La stessa giurisprudenza, se pur con qualche tentennamento iniziale [6], è giunta a ritenere l’assistenza dell’interprete come un irrinunciabile “strumento di difesa”, che assicura una reale partecipazione del­l’im­pu­tato al processo attraverso l’effettiva comprensione dei distinti atti e dei singoli momenti di svolgimento dello stesso [7]. È pensata dal legislatore come una garanzia attivabile in ogni “situazione a rischio linguistico”; l’attività d’udienza, sede naturale di un contraddittorio effettivo, rientra ictu oculi fra queste. Così si spiega la necessaria presenza dell’interprete in sede di convalida dell’arresto ex art. 391 c.p.p.: il suo intervento ad adiuvandum è finalizzato a permettere all’imputato di rendere interrogatorio dinanzi ad un giudice che deciderà sulla legittimità della misura in vinculis cui è stato sottoposto [8]. La connotazione marcatamente auto difensiva di questa audizione emerge chiaramente, rappresentando «l’oc­ca­sio­ne per offrire un contributo utilizzabile per verificare che la misura [continua..]

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