Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Illegittimità costituzionale di una norma penale non strettamente incriminatrice e rimodulazione della pena in executivis: un altro passo verso la graduabile erosione del "mito del giudicato" (di Elga Turco)


Nella piena consapevolezza della necessità di dover abbandonare il concetto tradizionale di giudicato – imperniato sul principio di “intangibilità” – in nome di una concezione moderna, elastica e garantista del sistema giuridico, fondata sulla prevalenza del principio del favor libertatis, le Sezioni Unite chiariscono ogni dubbio – presupposti, base giuridica, limiti – circa la possibilità per il giudice dell’esecuzione di rimodulare in melius la pena inflitta a fronte della dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma penale non strettamente incriminatrice.

Unconstitutionality of a criminal rule not strictly incriminatory and remodeling of the punishment “in executivis

In full awareness of the need to abandon the traditional concept of res judicata – based on the principle of the "inviolability" – in the name of a modern conception, elastic and garantiste of the legal system, based on the prevalence of the principle of "favor libertatis", the Joint Sections clarify any doubt – assumptions, legal basis, limits – about the possibility for the judge to remodel in melius the punishment imposed after the declaration of unconstitutionality of a criminal rule not strictly incriminatory.

RILIEVI INTRODUTTIVI A distanza di poco più di cinque mesi dal deposito della sentenza con cui le Sezioni Unite, in materia di giudizio abbreviato, hanno posto fine alla complessa vicenda dei “fratelli minori di Scoppola” [1] – riconoscendo al giudice in executivis il potere di “infrangere” il giudicato e sostituire la pena dell’ergastolo con quella di trent’anni di reclusione, prevista dalla più favorevole norma vigente al momento della richiesta ex art. 438 c.p.p. [2] – un’altra pronuncia, sempre a Sezioni Unite, imprime un indelebile suggello in materia di poteri di controllo sulla permanente legittimità della pena da parte del giudice dell’e­se­cuzione. E il messaggio lanciato qualche mese addietro – così sintetizzato [3]: «se una pena è stata inflitta sulla base di una legge illegittima, anche la sua esecuzione dovrà considerarsi illegittima; e in uno Stato di diritto non può non esserci un giudice che faccia cessare l’esecuzione di una tale pena, ovvero la riduca a misura legittima, una volta che sia stata dichiarata l’illegittimità della legge sulla cui base essa è stata inflitta» –, viene recepito in toto e trasformato in un principio solenne, che ha un impatto potenzialmente dirompente, perché vede, come legittimi destinatari, non la ristretta famiglia di “Scoppola e fratelli”, bensì tutti i condannati in via definitiva la cui pena sia stata determinata, in sede di cognizione, sulla base di norme penali sostanziali non propriamente “incriminatrici” dichiarate poi illegittime dalla Corte costituzionale con pronunce idonee a mitigare il trattamento sanzionatorio non integralmente eseguito, che hanno ora il diritto di chiedere e ottenere il “travolgimento” della res iudicata, affinché le rispettive pene siano ricondotte ad una dimensione “costituzionalmente” legittima. Palese l’intento della Suprema Corte: “cancellare” ciò che rimane del retaggio di una anacronistica visione autoritaria dell’ordinamento giuridico, imperniata sul principio di “intangibilità” del giudicato – quale regola generale di ordine pubblico finalizzata a garantire la certezza e la stabilità delle statuizioni giurisdizionali aventi ad oggetto la responsabilità penale del condannato e la pena a quest’ultimo infliggibile [4] – in nome di una concezione moderna, elastica e garantista, che consente la “permeabilità” del giudicato in funzione di valori – quali l’inviolabilità della libertà personale, il finalismo rieducativo e la proporzionalità della pena – di sicuro prevalenti, nel bilanciamento costituzionale, rispetto a [continua..]

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Fascicolo 3 - 2015