Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Sul diritto dell'indagato di impugnare il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari ordini l'imputazione coatta per fatti diversi da quelli oggetto della richiesta di archiviazione (di Mena Minafra)


Con la pronuncia in commento la Corte di Cassazione stabilisce che il provvedimento di imputazione coatta avente ad oggetto fatti diversi da quelli interessati dalla richiesta di archiviazione è extra ordinem, esorbitando dall’ambito inerente alla funzione di controllo del giudice, e potendo produrre effetti che ricadono sul diritto di difesa.

The accused person has the right to appeal the decision with which the Preliminary investigation Judge orders the Public Prosecutor to charge the accused persons under different facts from those related to the request to drop the case

According to the United Sections of the Court of Cassation, when the Preliminary investigation Judge requests the Public Prosecutor to bring the accusations against the suspect, the charge related to facts other than the ones relevant in the request to drop the case submitted by the Public Prosecutor to the Judge is extra ordinem.

SOMMARIO:

Premessa - La questione oggetto di remissione - Sulla ammissibilità del ricorso dell’indagato per la lesione al diritto di difesa - Sulla ricorribilità dell’atto abnorme - Sull’ordine di formulare l’imputazione tra fatto e fattispecie diversi da quelli contestati - Conclusioni - NOTE


Premessa

La questione sottoposta al vaglio di legittimità involge il “controverso” potere dell’indagato di adire la Suprema Corte contro il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari ha respinto la richiesta di “non azione” [1] ed ha disposto la formulazione della imputazione per un reato diverso [2] da quello dal quale il pubblico ministero aveva preso le mosse per l’esercizio delle sue prerogative. La sentenza che si annota, in particolare, si pone in continuazione dell’opera finium regundorum dei poteri dell’autorità giudiziale in caso di emersione dalle risultanze delle indagini di profili di novità og­gettiva della notizia di reato rispetto alla inazione (rectius, rinuncia all’esercizio dell’azione penale) [3] del pubblico ministero, su cui si sono pronunciate la Corte costituzionale prima e, successivamente, le Sezioni unite della Cassazione nel 2005. Queste ultime, in particolare, pur chiarendo che «la funzione di controllo della scelta abdicativa del pubblico ministero, in applicazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale, non può essere confinata nei limiti fissati dall’organo dell’accusa, ma va estesa a tutti gli atti dell’indagine preliminare, che debbono essere valutati nella loro totalità» [4] e, dunque, «che le disposizioni dell’art. 409 c.p.p., commi 4 e 5, concernenti i poteri di intervento del giudice delle indagini preliminari sull’esercizio dell’azione penale, devono formare oggetto di interpretazione estremamente rigorosa, al fine di evitare qualsiasi ingerenza del­l’organo giudicante nella sfera di autonomia della pubblica accusa» [5], non hanno risolto il contrasto giurisprudenziale inerente alla legittimazione dei soggetti preposti all’impugnativa del provvedimento giurisdizionale ritenuto abnorme emesso ai sensi dell’art. 409, comma 5, c.p.p. [6].


La questione oggetto di remissione

L’occasione è originata dal ricorso per Cassazione presentato da un indagato avverso l’ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari ha rigettato la richiesta di archiviazione nei confronti dello stesso per il reato di tentata concussione (artt. 56 e 317 cod. pen.), disponendo, ex art. 409 [7], comma 5, c.p.p., che il pubblico ministero formulasse l’imputazione [8] per i diversi reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 393 cod. pen.) e di violenza privata (art. 610 cod. pen.), ipotesi ricavate dagli elementi emersi dalle acquisizioni processuali e dalla relativa ricostruzione della vicenda [9]. Nei motivi di ricorso, l’indagato ha lamentato che l’effetto della violazione degli artt. 409 c.p.p., 111 e 112 Cost. comporta l’abnormità del provvedimento impugnato, richiamando, a sostegno, la giurisprudenza delle Sezioni Unite [10] secondo la quale sono affetti da abnormità i provvedimenti di archiviazione che esorbitano dai poteri del giudice per le indagini preliminari, tra cui l’ordine d’imputazione coatta emesso nei confronti di persona non (ancora) indagata e quello emesso nei confronti dell’indagato per reati diversi da quelli per i quali il pubblico ministero ha richiesto l’archiviazione, dovendo, in queste ipotesi, il giudice limitarsi ad ordinare le relative iscrizioni nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. [11]. La sezione adita, facendo proprio il principio di diritto già espresso, ha tuttavia rilevato l’esistenza di contrasto esegetico. Scontata la sussistenza del vizio di abnormità [12] del provvedimento impugnato – sebbene non sia mancato qualche “disallineamento” [13] –, la Corte si è posta il problema della legittimazione dell’in­da­gato a proporre ricorso per Cassazione sul presupposto secondo cui, anche nei casi di abnormità, per proporre impugnazione non basta esserne astrattamente legittimati, ma occorre che si sia verificata un’“effettiva lesione” [14], e, quindi, che esista un interesse [15], concreto ed attuale [16] (art. 568, comma 4, e 591, comma 1, lett. a), c.p.p.) derivato dallo svantaggio che il provvedimento produce e dalla prospettiva di nuova decisione favorevole [17]. In altre parole, il rapporto simbiotico tra legittimazione e [continua ..]


Sulla ammissibilità del ricorso dell’indagato per la lesione al diritto di difesa

Nel risolvere il quesito, la Corte di legittimità dopo aver preso le mosse dalla consolidata nozione di abnormità come anomalia strutturale o funzionale del processo [24] ha osservato come la quaestio rimessa alla sua attenzione ponga sul tavolo dell’interprete due distinte polemiche, interdipendenti sul piano effettuale ma autonome sul piano ontologico-strutturale. Da un lato, la disputa attiene alle ragioni dell’abnormità dell’atto legale e cioè alla precisa delimitazione del riparto di attribuzioni tra giudice e pubblico ministero nell’ambito dei confini di quel controllo che il legislatore ha disciplinato per rendere effettivo il principio di obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost.) e dall’altro alla verifica degli effetti di tale provvedimento e, dunque, all’accertamento di una illegittima compressione del diritto di difesa della persona indagata. Ne consegue che in tale contesto assiologico la Corte nomofilattica ha condivisibilmente optato per una soluzione interpretativa costituzionalmente orientata che, valorizzando i principi costituzionali e convenzionali del giusto ed equo processo, si armonizza con i frutti della giurisprudenza costituzionale [25]; forse l’unica in grado di salvaguardare il diritto di difesa dell’indagato da illegittime compressioni, diritto che sul terreno ontologico, peraltro, è situazione di fatto dipendente dalla disciplina che ne regola l’esercizio, che si esercita anche attraverso il diritto al “contraddittorio” (art. 111, comma 3, Cost.), ponendosi come situazione partecipativa dell’accusato. Il rispetto delle garanzie difensive, dunque, oltre a integrare un diritto dell’indagato, rappresenta una innegabile condizione di regolarità del processo, venendo altrimenti denegata la sua funzione di garanzia nella correttezza dell’accertamento. Del resto non può negarsi che la doppia funzione a cui assolve il microsistema racchiuso delle disposizioni di cui all’art. 24 Cost., contenente la libertà “alla” giurisdizione e la libertà “nella” giurisdizione [26], svolge una compito dialetticamente contrapposto all’accusa, che deve essere esercitato dal­l’im­putato e dal suo difensore di fronte a un giudice imparziale; uno strumento che trova la sua più [continua ..]


Sulla ricorribilità dell’atto abnorme

Ora, per cogliere la identità delle questioni risulta utile ricordare che si tratta di un modello-garanzia che deve trovare attuazione per ogni grado di merito del processo, ma anche per ogni tipo di procedimento, cognitivo o esecutivo [35], fin dalla delicata quanto imprescindibile fase delle indagini preliminari; a maggior ragione a fronte di una disciplina positiva che ne disponga l’inderogabile esercizio, com’è quella dettata per il procedimento di archiviazione. Il procedimento d’archiviazione [36] può, infatti, descriversi come un «obbligatorio itinerario giurisdizionale nell’ambito del quale, la presenza del giudice, il ruolo attivo della persona offesa, l’intervento avocante del procuratore generale, il contraddittorio, le indagini coatte e l’imputazione coatta costituiscono tappe di garanzia previste a presidio dell’uguaglianza dei cittadini, del buon funzionamento della giustizia e dell’indipendenza del pubblico ministero» [37]. In realtà, il Legislatore del 1988 [38] si è trovato a dover bilanciare, da un lato, il principio dell’obbli­gatorietà dell’esercizio dell’azione penale (art. 112 Cost.), e, dall’altro lato, i caratteri del processo accusatorio e, in particolare, il principio ne procedat iudex ex officio [39]. Il “nuovo” codice, infatti, determina la netta distinzione tra le funzioni inquirenti e giudicanti, proprio al fine di garantire la terzietà del giudice ed il diritto ad un equo processo dell’indagato ai sensi dei già richiamati artt. 111, comma 2, Cost. e 6 CEDU [40]. Ne consegue come il mancato rispetto delle regole procedurali che riconoscono alla persona indagata il diritto di partecipare all’udienza di archiviazione, quale estrinsecazione del diritto al “contraddittorio”, si traduca in una grave lesione delle garanzie difensive e del diritto ad essere giudicato all’inter­no di un procedimento correttamente instaurato. Non pare, dunque, possibile dubitare dell’interesse dell’indagato diretto all’eliminazione del provvedimento che obbliga alla imputazione, non avendo potuto interloquire sul contenuto essendo svolte su altro oggetto le attività poste a garanzia dei diritti delle parti dall’art. 409, comma 2 c.p.p. Peraltro, la rilevata abnormità determina, [continua ..]


Sull’ordine di formulare l’imputazione tra fatto e fattispecie diversi da quelli contestati

Ferma, dunque, l’impugnabilità dell’atto abnorme in presenza di un interesse attuale e concreto alla sua eliminazione da parte dell’indagato, a conclusioni differenti perviene la Corte con riguardo all’ipotesi in cui il giudice non ordini una imputazione coatta per fatti nuovi, ma si limiti a dare ad essi una diversa qualificazione giuridica [43]. In questo caso, si osserva, non si ha un atto abnorme, atteso che la riqualificazione giuridica del fatto, costituendo corretta applicazione della legge (ius dicere) e, quindi, attuazione del principio di legalità, costituisce potere del giudice esercitabile in tutte le fasi del processo. La soluzione, in astratto condivisibile, solleva di riflesso la delicata questione che sempre si ripropone quando vengono in gioco le nozioni di “diversa qualificazione giuridica” e di “fatto diverso”, la cui linea di confine si presenta spesso sfumata nella prassi, pur presentando effetti di notevole rilievo sul diritto di difesa dell’indagato [44]. Non può non ricordarsi come, secondo l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza dei Giudici di Strasburgo sul tema della riqualificazione giuridica [45], l’art. 6 CEDU riconosca all’indagato il diritto ad essere informato tempestivamente e dettagliatamente del contenuto dell’accusa e di ogni eventuale modifica, sia che investa il fatto sia che riguardi il titolo del reato [46]. Ora, sebbene il principio appena richiamato sia stato reso con riferimento alla fase dibattimentale, è innegabile che esso riguardi anche la fase procedimentale; sicché diviene di primaria importanza verificare che la presunta riqualificazione giuridica del fatto non celi, nell’ordine di imputazione coatta, una modifica fattuale dell’imputazione, che sottragga al contraddittorio elementi non già ricompresi nella richiesta di archiviazione e che incida sui diritti difensivi dell’indagato. Ebbene, se la modifica del titolo del reato si risolve nella modifica del fatto; se, cioè cambiando la fattispecie incriminatrice di riferimento il fatto descritto nell’imputazione muta la dimensione effettuale, è pacifico che muta inevitabilmente il thema probandum (art. 187 c.p.p.) – punto d’aggancio del rapporto tra diritto e processo, da un lato, e tra ricerca della prova e prova, dall’altro [continua ..]


Conclusioni

Ora, a prescindere dalla differenziazione tra le ipotesi di “riqualificazione del fatto” o di “riqualificazione dell’addebito”, il principio che può trarsi dalla sentenza in commento è quello secondo cui nel procedimento di archiviazione rileva non solo il diritto del pubblico ministero a non essere invaso nelle sue prerogative di esercizio dell’azione penale dal giudice, ma anche – soprattutto – il diritto dell’im­putato di conoscere e di interloquire sul contenuto dell’accusa. Il principio è affermato a livello sovranazionale sia all’art. 48 della Carta di Nizza [59] (che garantisce il rispetto della presunzione di innocenza e i diritti della difesa nel processo) sia nella direttiva 2012/13/UE [60], che delinea le regole proprie della fase procedimentale in cui si trova il procedimento, entrambe fonti poste a garanzia del giusto processo di cui il diritto di difesa dell’indagato è elemento essenziale, quanto il rapporto intercorrente tra la giurisdizione ed il pubblico ministero. Se non può negarsi che l’ordinanza di imputazione coatta contenga un “comando” del giudice diretto al pubblico ministero, è altrettanto indubbio che sia lo stesso legislatore a riconoscere all’interessato un rimedio nel caso in cui quell’“ordine” scaturisca da una non regolare e non partecipata udienza di archiviazione (v. nuovo art. 410-bis c.p.p.) [61]. A fortiori, non può escludersi l’interesse a impugnare dell’indagato quando, come nella fattispecie in esame, il provvedimento del giudice rappresenti l’epilogo di un contesto dialettico in cui si è discusso sull’archiviazione di reati diversi da quelli poi specificati nell’ordine di imputazione coatta, trattandosi di un atto dagli effetti pregiudizievoli non altrimenti impugnabile, in quanto avulso dagli schemi normativi. Alla luce delle argomentazioni esposte, è fin troppo evidente l’assai concreto interesse di cui è portatore l’indagato, cioè quello secondo cui l’azione penale sia esercitata nei suoi confronti nel pieno rispetto delle regole costituzionali, relative non solo al riparto dei poteri tra pubblico ministero e giudice nella fase delle indagini preliminari ma anche e soprattutto alla tutela del “contraddittorio” nel pieno [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2019