Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Misure cautelari reali, preclusioni processuali e tutela dei diritti fondamentali (di Stefano Ruggeri)


Le Sezioni Unite tornano a trattare il tema delle preclusioni in materia di cautele reali, con una sentenza che fornisce una preziosa occasione per una riflessione su una costruzione giurisprudenziale sempre più poliedrica, quale quella del ne bis in idem cautelare. L’analisi condotta su categorie essenziali della teoria generale del processo e soprattutto l’esame delle ben differenti ipotesi con riferimento alle quali tale costruzione è adoperata sembrano rafforzare i dubbi circa l’opportunità d’invocare l’esistenza di un giudicato cautelare, fonte di insidie applicative non meno pericolose dei problemi teorici che essa ingenera. In fondo, se il riconoscimento del ne bis in idem cautelare deve la sua ragion d’essere all’esigenza pratica di dare un senso al sistema delle impugnazioni cautelari, non si può mai dimenticare che la fondamentale rilevanza dei diritti in gioco in questa delicatissima materia tende a ripudiare ogni forma di preclusione, almeno lì dove il nuovo controllo giurisdizionale sia attivato in una direzione vòlta a riespandere, in totoo in parte, gli spazi di libertà. Le sollecitazioni argomentative fornite da questa decisione sembrano peraltro portare a due ulteriori importanti conclusioni. La prima è che, nelle ipotesi in cui sia invece in gioco un successivo intervento vòlto a nuovamente incidere su libertà fondamentali mediante un provvedimento avente ad oggetto una misura revocata o annullata in sede di gravame cautelare, ipotizzare l’esistenza di un vincolo solo sul piano motivazionale costituisce probabilmente una garanzia troppo blanda a tutelare chi ha già sofferto limitazioni così gravi, e sembra quindi necessario esigere nuovi dati probatori. Ma tale esigenza, contrariamente a quanto riconosciuto dalla giurisprudenza, non deriva da presunte preclusioni decisorie bensì dalla legge processuale. La seconda è che una prospettiva orientata alla massimizzazione della tutela di diritti fondamentali, riconosciuti sia dalla Costituzione che dalla Convenzione europea, dovrebbe indurre il legislatore con urgenza a riformare la materia cautelare, introducendo – forse più ancora che una molteplicità di controlli generici – meccanismi di monitoraggio periodico e d’ufficio da parte dell’autorità giurisdizionale, che ad oggi nessuno strumento processuale è in grado di assicurare.

* La redazione di questo scritto, nel riportarmi a esaminare il delicato tema del giudicato cautelare dall’angolo visuale delle cautele reali, ha richiesto un’analisi trasversale di complesse questioni relative al sistema delle impugnazioni penali, alla teoria generale del processo e all’argomentazione giuridica. Al fine di affrontare adeguatamente le problematiche sollevate dalla decisione in esame, ho ritenuto quindi indispensabile, come in altri lavori, confrontarmi con amici e colleghi. Un grazie di cuore a Marco Gradi(Università di Messina) per l’utilissimo dialogo e i suggerimenti fornitimi sulle implicazioni teorico-generali del giudicato in sede civile, nonché a Paola Maggio (Università di Palermo) per le preziose indicazioni in tema di preclusioni processuali nel settore delle cautele personali, e ad Alessio Lo Giudice (Università di Messina) per aiutarmi a districarmi nelle spinose questioni concernenti la struttura del giudizio inaudito reo e la motivazione delle decisioni cautelari penali. Di ogni errore o imprecisione che il lettore dovesse rinvenire in questo studio porto ovviamente, come sempre, l’esclusiva responsabilità.

Seizures of assets, procedural bars and fundamental rights protection

In the judgment under examination, the Joint Sections of the Supreme Court were called upon to deal with the problem of procedural bars in the field of seizures of assets. This ruling provides an interesting opportunity for analysing a doctrine with multiple features, namely that of ne bis in idem in the field of pre-trial measures. This examination of essential categories of general theory of procedural law, as well as of the different situations to which case-law usually applies this doctrine, raises serious doubts as to appropriateness of invoking a theoretical construction, which is not less dangerous for its practical implications than from a dogmatic viewpoint. Doubtless, the acknowledgment of such ne bis in idem is due to the need to justify the system of legal remedies in the field of pre-trial measures, while avoiding the reiteration of judicial checks on the same issues and the same materials. Nevertheless, one should never forget that the utmost importance of the fundamental rights at stake in this very delicate context tends to reject any form of procedural bars to the re-examination of the lawfulness of pre-trial measures, particularly in those situations in which the new judicial oversight is activated to strengthen the protection of individual freedoms. At any rate, the arguments brought about by this decision may seem to two further important conclusions. The first one is that, where the new judicial examination aims at affecting fundamental rights by renewing a measure revoked or repealed by the competent court for appeal in the field of pre-trial measures, the sole limit of compliance with the reasoning of the appeal decision is a too weak safeguard to protect a person who already suffered from such grave restrictions, and there is thus a need for further materials justifying a further interference with his freedoms. Yet this requirement does not seem to be the result of procedural bars but derives from the law, which requires a current risk for the proceedings to justify the adoption of pre-trial measures affecting personal freedom as well as property and the free availability of assets. The second conclusion is that a perspective oriented towards the enhancement of human rights protection, as promoted by both constitutional and ECHR law, should lead the Italian lawmakers to carry out in-depth reform of pre-trial measures, in order to ensure, perhaps more than several tools of control of their initial lawfulness, a constant monitoring by an independent authority.

SOMMARIO:

Premessa - La dicotomia tra controllo genetico e vaglio successivo della legalità delle cautele penali. L’insostenibilità di un gravame necessariamente originario - Mancata proposizione del gravame e poteri di controllo del giudice procedente. L’ine­si­stenza di preclusioni processuali sul deducibile e il perenne fascino del giudicato cautelare - Novum probatorio e vincoli motivazionali. Una prospettiva costituzionalmente orientata - Il sindacato della legalità genetica e la necessità di un monitoraggio costante della situazione cautelare. La normativa processuale a confronto col diritto costituzionale e il sistema CEDU - Conclusioni - NOTE


Premessa

Con la sentenza in esame le Sezioni Unite hanno risolto il contrasto giurisprudenziale sorto intorno alla questione se la mancata proposizione del riesame avverso una misura cautelare reale determini l’inammissibilità del successivo appello vòlto a vagliare la legalità genetica di tale misura. Così posta, la questione poteva certo apparire in palese contrasto col carattere residuale dell’appello relativo alle cautele reali, strumento costruito, analogamente al corrispondente appello in tema di cautele personali, col dichiarato scopo di porre rimedio a “casi” diversi rispetto a quelli coperti dal riesame [1], quale mezzo di controllo della legalità genetica dell’intervento cautelare. Sennonché l’interrogativo posto dalla III Sezione non riguardava il rapporto tra riesame e qualsivoglia appello cautelare ma più specificamente tra il riesame mai richiesto e l’appello proposto avverso il provvedimento con cui il giudice procedente aveva rigettato l’istanza di revoca di una misura cautelare reale sulla base di dati non sopravvenuti. In quest’ottica la questione si trasferiva sul piano del rapporto tra riesame e revoca, spianando così la strada a una risposta di ben diverso segno, in quanto supportata da un dato legislativo non meno significativo: che cioè anche il sequestro, al pari di quanto avviene per le misure personali, debba essere “immediatamente revocato […] quando risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità” per esso stabilite [2]. Una risposta quindi prevedibile e che in buona misura si può condividere nella sostanza, quella delle Sezioni Unite. Se non esiste alcuna preclusione legislativa alla richiesta di revoca fondata su circostanze originarie, né tale preclusione discende – per il modo in cui è oggi diffusamente inteso il ne bis in idem cautelare – dalla loro mancata deduzione per la via del riesame, e se la decisione del giudice investito di tale richiesta, quale che ne sia il segno, è appellabile, ne consegue che anche l’appello non può che essere in linea di principio ammissibile, a meno che non ricorrano cause d’inammissibilità definite dalla legge. Assai più interessante appare l’argomentazione adottata dalla sentenza, che offre una proficua occasione per tornare a [continua ..]


La dicotomia tra controllo genetico e vaglio successivo della legalità delle cautele penali. L’insostenibilità di un gravame necessariamente originario

La pronuncia in esame sembra a primo acchito fornire una puntuale ricognizione della giurisprudenza in tema di ne bis in idem cautelare, senza apportare significativi elementi di novità rispetto alle soluzioni elaborate in tema di cautele personali dalla sent. Buffa [3], di qui trapiantate nell’ambito delle cautele reali dalla sent. Romagnoli [4]. Allontanandosi dall’impostazione adottata dalle stesse Sezioni Unite nella sent. Galluccio [5], tali pronunce già contestarono la configurazione di giudicato cautelare, diffusasi nei primi anni successivi all’emanazione del nuovo codice, circoscrivendo l’applicazione a­nalogica del ne bis in idem alle sole ipotesi di esaurimento delle impugnazioni incidentali e respingendo così l’idea che una preclusione potesse derivare dal mancato ricorso alle impugnazioni cautelari. Onde la conclusione espressa nel noto brocardo curialesco secondo cui solo il dedotto, non già anche il deducibile, sarebbe coperto dall’area di tale preclusione. È probabile che tale soluzione, ben più ragionevole rispetto ai primi approdi giurisprudenziali in tema di giudicato cautelare, fosse in linea con un antico precedente nella tradizione storica del sistema italiano di giustizia penale [6]. È peraltro interessante notare che, trasferito tale brocardo in materia penale e nello specifico ambito delle misure cautelari, il dedotto e il deducibile non si riferiscono al giudizio vòlto all’emanazione del provvedimento cautelare bensì al giudizio di controllo in sede impugnatoria. Il che evidenzia un primo elemento differenziale rispetto al giudicato penale e al suo effetto tipico di ne bis in idem, che può scaturire tanto dalla decisione sulla responsabilità penale quanto dalla decisione del giudice dell’impugnazione. Torneremo sulla questione nel prosieguo di questo scritto. Qui importa riflettere sulla distinzione, che la sentenza in esame mostra di condividere, tra rimedî impugnatori e provvedimento di revoca, e in definitiva tra controllo del giudice dell’impugnazione e vaglio dell’organo competente per la questione cautelare, sia esso lo stesso giudice che ha emanato il provvedimento o il giudice competente per una successiva fase o grado del procedimento. Tale distinzione, apparentemente imperniata attorno alla differenza tra controllo della [continua ..]


Mancata proposizione del gravame e poteri di controllo del giudice procedente. L’ine­si­stenza di preclusioni processuali sul deducibile e il perenne fascino del giudicato cautelare

Una volta appurato che nessuno fra gli strumenti di controllo della legalità dei sequestri può rigidamente fotografare il quadro cautelare esistente al momento dell’emanazione del provvedimento cautelare, ignorando l’evoluzione dell’indagine in corso, si tratta ora di verificare se e in che misura sia sostenibile una pluralità di rimedî vòlti a realizzare un vaglio originario di misure invasive su diritti fondamentali a titolo cautelare o investigativo. Si è osservato che l’assestamento della nozione di ne bis in idem cautelare da parte delle Sezioni Unite a metà degli anni novanta portò la giurisprudenza a interpretare alla luce di questa costruzione i riferimenti normativi, già introdotti dal codice Vassalli e irrobustiti dalla riforma del 1995, alla possibilità di operare la revoca delle misure restrittive tanto della libertà personale quanto della libera disponibilità dei beni sulla base di fatti non sopravvenuti. Il risultato è stato un netto contenimento dei poteri di controllo originario, limitato a tutte le questioni diverse da quelle dedotte in sede impugnatoria e decise dal giudice dell’impugnazione cautelare. Già questa sintetica conclusione evidenzia non pochi profili problematici, che concernono anzitutto la scarsa attinenza del riferimento processualcivilistico a quanto concretamente dedotto in sede di gravame, dato che il vincolo, se pur esiste, non proviene dall’iniziativa del ricorrente ma dalla decisione del giudice dell’impugnazione, i cui poteri decisorî non coincidono con quelli risultanti dalla devoluzione di specifici punti o questioni. Nel caso del riesame, poi, la devoluzione copre l’intera questione cautelare, e all’intero spettro della situazione cautelare si estendono quindi i poteri decisori dell’organo competente, sicché riconoscere al giudice procedente un potere di controllo della legalità genetica della misura, che solo si arresta di fronte al giudicato cautelare così configurato, significa di fatto negare la premessa, visto che l’intera questione cautelare è ‘dedotta’ in sede di riesame e, quale che sia la decisione del tribunale della libertà, essa presuppone appunto il riesame di tutta la situazione cautelare. D’al­tra parte, se la formazione del giudicato cautelare presuppone la [continua ..]


Novum probatorio e vincoli motivazionali. Una prospettiva costituzionalmente orientata

Ciò posto, dopo avere esposto i dubbi che concernono l’esistenza di una preclusione legata alle questioni dedotte o decise in sede impugnatoria, resta da esaminare se i poteri decisori in materia cautelare del giudice procedente e la conseguente possibilità di revoca della misura adottata subiscano un vincolo di diverso genere, legato alla necessità che intervenga un’evoluzione del quadro probatorio. Certo meritevole di tutela è l’esigenza di porre un freno a istanze vòlte a una riconsiderazione al­l’in­finito senza elementi di novità delle medesime questioni già affrontate dall’autorità giurisdizionale, esigenza avvertita in diversi ordinamenti, seppur con soluzioni differenziate. Ad esempio, in Inghilterra e Galles, per rimediare alla soluzione codificata col Bail Act del 1976, che consentiva all’imputato in stato di remand detention di richiedere il bail anche sulla base degli stessi elementi ogniqualvolta comparisse davanti all’autorità giudiziaria (ovvero una volta alla settimana, di regola, fino all’instaurazione del trial), il Criminal Justice Act del 1988, recependo una prassi già consolidata, circoscrisse la possibilità di bail applications a due volte salvo un cambio sostanziale di circostanze [28]. Che tale mutamento sostanziale debba tradursi nell’allegazione di ulteriori elementi di prova non costituisce tuttavia una necessità logica, né è scontato che sia tale anche in Italia, in relazione a tutte le ipotesi cui è tradizionalmente ricondotto il fenomeno del giudicato cautelare. Così appare degno di nota il fatto che l’esigenza di un mutamento della situazione fattuale abbia trovato maggiore condivisione da parte della dottrina [29] e persino tra studiosi che hanno avanzato dubbî sulla necessità di far ricorso alla nozione di giudicato cautelare [30], proprio con riguardo all’ipotesi di reiterazione di un’ordinanza annullata in via impugnatoria. È peraltro significativo che la letteratura processualistica non identifichi tale mutamento delle circostanze fattuali nella necessità di nuove prove, dovendo l’“evoluzione del quadro fattuale [...] essere in concreto dimostrata con diretto riferimento alla motivazione” [31]. Tale [continua ..]


Il sindacato della legalità genetica e la necessità di un monitoraggio costante della situazione cautelare. La normativa processuale a confronto col diritto costituzionale e il sistema CEDU

La complessità del sistema di controlli giurisdizionali della legalità cautelare, sia pur nei diversi termini previsti in materia di cautele reali e personali, conduce infine a domandarsi se ed entro che limiti la molteplicità degli strumenti di controllo della legalità cautelare, quali costruiti dalla normativa processuale, sia in linea col quadro costituzionale e col sistema CEDU. Quanto al sindacato della legalità genetica, e ferme restando le considerazioni problematicamente svolte in questo scritto, si potrebbe argomentare che la previsione di una duplicità di meccanismi di controllo, da parte del giudice del gravame e del giudice procedente, non costituisca una soluzione obbligata sul piano sia costituzionale sia convenzionale. Finanche quando sono in gioco misure invasive della libertà personale, la Convenzione europea non impone che vengano assicurati più sistemi di controllo originario della legalità dell’arresto o della detenzione. Né ciò sembra ricavarsi dalla previsione dell’obbligo d’immediata traduzione davanti all’autorità giurisdizionale, quale garanzia distinta rispetto al diritto all’habeas corpus [41]. In effetti, la giurisprudenza di Strasburgo ha delimitato il diritto all’habeas corpus in forza della c.d. ‘doctrine of incorporation’ [42], mediante la quale essa ha inteso escludere, fin dal noto ‘Vagrancy case’ del 1970, il diritto a richiedere un controllo giurisdizionale nelle ipotesi di misure privative della libertà personale disposte da, o già sottoposte alla revisione di, una corte [43]. Mediante tale impostazione, il controllo sulla legalità genetica andrebbe quindi circoscritto ai casi di arresto o detenzione disposti da autorità amministrativa, rimanendo invece assorbito nel vaglio originario operato dall’autorità giudiziaria. E sebbene la Corte europea abbia progressivamente ammorbidito tale impostazione, in sé criticabile sotto più riguardi [44], l’attenuazione del vincolo dell’assorbimento è avvenuta precipuamente al fine di assicurare un vaglio della legalità della detenzione, quand’anche ordinata dall’autorità giurisdizionale, alla luce dell’evo­luzione del quadro fattuale e probatorio. Quanto all’obbligo di traduzione nel più breve [continua ..]


Conclusioni

Quest’ennesimo intervento delle Sezioni Unite sul giudicato in materia di cautele reali fornisce una preziosa occasione per una riflessione su una costruzione giurisprudenziale sempre più poliedrica, quale quella del ne bis in idem cautelare. Considerazioni tecniche legate a categorie basilari della teoria generale del processo e un attento esame delle differenti ipotesi alle quali tale costruzione è usualmente adoperata sembrano rafforzare i dubbi circa l’opportunità di continuare a invocare l’esistenza di un giudicato cautelare, fonte di insidie applicative non meno pericolose dei problemi teorici che essa ingenera. In fondo, se il riconoscimento del ne bis in idem cautelare deve la sua ragion d’essere all’esigenza pratica di dare un senso al sistema delle impugnazioni cautelari, evitando che esso giri a vuoto come una vite spanata, non si può mai dimenticare che la fondamentale rilevanza dei diritti in gioco in questa delicatissima materia tende a ripudiare ogni forma di preclusione, almeno lì dove il nuovo controllo giurisdizionale sia attivato in una direzione vòlta a riespandere, in toto o in parte, gli spazî di libertà. In questa prospettiva la conclusione cui pervengono le Sezioni Unite, seppur condivisibile nel risultato, sembra confermare la validità della costruzione del giudicato cautelare, e con essa quell’“anelito ad una sorta d’immutabilità, sia pur rebus sic stantibus, della decisione cautelare” [48], che ha fatto da file rouge a tutta la giurisprudenza maturata nell’arco di quasi un trentennio. Sennonché, quand’anche il gravame sia stato proposto e specifiche questioni siano state dedotte, nessun vincolo di giudicato può essere invocato per precludere iniziative difensive vòlte a rafforzare il godimento di libertà fondamentali, e l’unico obbligo per il giudice dell’impugnazione, così come per il giudice procedente investito del controllo della legalità genetica, si traduce nel dovere di confrontarsi con la struttura argomentativa del provvedimento a­vente ad oggetto la misura in atto. Le sollecitazioni argomentative fornite da questa decisione sembrano peraltro portare a due ulteriori importanti conclusioni. La prima è che, nelle ipotesi in cui sia invece in gioco un successivo intervento [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2019