Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Giudizio civile di rinvio e procedura penale rescindente: autonomia e interferenze (di Federica Centorame)


Nello stabilire che la declaratoria di inutilizzabilità della prova emessa in fase di annullamento della sentenza, ai sensi dell’art. 622 c.p.p., ha effetto vincolante per il giudice civile di rinvio, la Corte di cassazione estende l’“efficacia riflessa” dell’accertamento penalistico, senza, però, curarsi delle risultanti combinazioni operative fra regole processuali diversificate, nelle due sedi, penale e civile.

Referral for civil effects only and criminal judgment of annulment: autonomy and interferences

By establishing that the exclusion of evidence declared within the criminal judgment of annulment, pursuant to Article 622 of the Code of Criminal Procedure, shall be binding on the civil referral judge, the Court of cassation extends the “reflex effect” of the criminal ascertainment, but without any thought for the resulting combinations of different procedural rules under the two, criminal and civil, trials.

SOMMARIO:

Coordinate normative e prodromi della questione - Il procedimento di rinvio ai soli effetti civili, tra “efficacia riflessa” dell’accertamento penale e vincolatività ultra moenia del principio di diritto - Inutilizzabilità della prova penale, giudizio civile ad quem e (ir)ragionevoli combinazioni tra regole processuali diversificate - NOTE


Coordinate normative e prodromi della questione

Con la pronuncia in commento, la Corte di cassazione è tornata a farsi carico del delicato compito di modulare i rapporti di interferenza tra processo penale e giudizio civile, dallo specifico angolo visuale dell’intreccio fra le rispettive discipline probatorie, nell’ipotesi di annullamento della sentenza ai soli effetti civili, ai sensi dell’art. 622 c.p.p. [1]. In tal caso, come noto, la disposizione appena richiamata stabilisce che, «fermi gli effetti penali della sentenza», la Corte di cassazione rinvia la causa «al giudice civile competente per valore in grado di appello anche se l’annullamento ha per oggetto una sentenza inappellabile». Si realizza, così, uno “sdoppiamento” della res iudicanda che «dà luogo a differenti decisioni potenzialmente in contrasto tra loro» [2], dovendo il giudice civile ad quem pronunciarsi, sia pure incidentalmente, sul fatto reato presupposto dell’azione risarcitoria. Appunto facendo leva su questo effetto di scissione [3] tra le due vicende, penale e civile, determinato dall’annullamento a norma dell’art. 622 c.p.p., si coglie subito la singolarità del principio di diritto enucleato dalla sentenza che si annota, in forza del quale la declaratoria di inutilizzabilità della prova e­messa nel corso della fase penale rescindente deve ritenersi vincolante anche rispetto al (separato) giudizio di rinvio dinanzi all’organo giurisdizionale civile. In particolare, la regula iuris stabilita dalla Corte di cassazione trae origine da un’impugnazione di legittimità, esperita dalla difesa dell’imputata, con cui si deduceva, fra l’altro, la violazione dell’art. 195, comma 4, c.p.p., il quale, come risaputo, vieta agli ufficiali di polizia giudiziaria di testimoniare sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni. Nello specifico, si lamentava che, in spregio al divieto probatorio sancito dalla disposizione da ultimo richiamata, la prova penale della responsabilità in ordine al delitto contestato fosse stata ricostruita proprio sulla base della deposizione di un operatore di polizia giudiziaria, avente ad oggetto informazioni accusatorie dallo stesso apprese da persona informata sui fatti. Accogliendo in parte qua le doglianze difensive, i giudici di legittimità hanno, per un [continua ..]


Il procedimento di rinvio ai soli effetti civili, tra “efficacia riflessa” dell’accertamento penale e vincolatività ultra moenia del principio di diritto

È proprio quest’ultimo asserto a colpire l’attenzione. Nel giustificare l’operatività, anche ai fini civili, della declaratoria di inutilizzabilità della prova assunta in sede penale aggirando il divieto imposto dall’art. 195, comma 4, c.p.p., i giudici di legittimità hanno inteso far leva essenzialmente sulla sussistenza di un vero e proprio vincolo gnoseologico fra il pregresso accertamento penalistico e l’instaurando procedimento civile. Come se, in altre parole, que­st’ultima procedura giurisdizionale dovesse subire l’“efficacia riflessa” del sindacato compiuto nella fase penale rescindente, «secondo regole e forme diverse da quelle proprie» [4]. Il tutto, a fronte di un giudicato – quello ormai cristallizzatosi sui capi penali in virtù della pronuncia cassatoria della Corte di legittimità – che avendo, nel caso di specie, contenuto proscioglitivo per estinzione del reato [5], esula notoriamente dalle ipotesi tassative cui gli artt. 651 ss. c.p.p. condizionano l’incidenza delle risultanze penali divenute irrevocabili [6] rispetto alla cognizione della vicenda civilistica. Si tratta di soluzione esegetica densa di spunti di riflessione, dal momento che la linea ermeneutica seguita nella pronuncia in commento sembra porsi in controtendenza con la sistematica attuale dei rapporti fra le due giurisdizioni, penale e civile, improntati al principio di autonomia e separazione dei rispettivi giudizi [7]. Evidente, invero, il mutamento di prospettiva rispetto al sistema processuale previgente [8]. Que­st’ul­timo, sul duplice presupposto della unità della funzione giurisdizionale e della netta preminenza assiologica del giudizio penale su quello civile, sanciva normativamente il principio di pregiudizialità necessaria dell’accertamento penale (art. 3 c.p.p. 1930) con sospensione obbligatoria del processo civile (art. 24 ss. c.p.p. 1930), onde assicurarne una risoluzione sempre coerente con l’esito cognitivo penalistico. L’attuale assetto ordinamentale, per contro, è orientato proprio ad assicurare la reciproca indipendenza delle azioni, penale e civile, e ad evitare, quindi, pregiudizialità di sorta tra le due vicende [9]. Un dato, infatti, appare inequivoco: la sospensione del giudizio civile, in attesa dell’epilogo definitivo [continua ..]


Inutilizzabilità della prova penale, giudizio civile ad quem e (ir)ragionevoli combinazioni tra regole processuali diversificate

Una volta evidenziati gli ostacoli di ordine sistematico che si frappongono all’istituzione a carico del giudizio di rinvio ai sensi dell’art. 622 c.p.p. di un vero e proprio vincolo gnoseologico discendente dal pregresso accertamento penalistico, si tratta di comprendere se il limite probatorio imposto dalla pronuncia in esame in capo all’organo civile ad quem possa, tuttavia, giustificarsi alla luce di una diversa chiave di lettura, intesa ad ampliare l’ambito di operatività della inutilizzabilità penale ben oltre i confini tracciati dal processo penale stesso. In quest’ordine di idee, merita soffermarsi sulla recisa affermazione del Collegio di legittimità, secondo cui, nel caso di specie, al giudice civile non è consentita l’utilizzazione di una prova dichiarata inutilizzabile nel processo penale, «perché assunta in violazione di un espresso divieto probatorio» [30]. Così formulata, infatti, l’opzione interpretativa prescelta dalla sentenza in commento sembra porsi perfettamente in linea con l’autorevole insegnamento impartito, nel 2010, dalle stesse Sezioni Unite della Cassazione [31], le quali, sia pure con specifico riferimento alla “portabilità”, in seno al procedimento di prevenzione, delle conseguenze sanzionatorie previste dal citato art. 191 c.p.p. per le prove acquisite nel processo penale in violazione di un divieto stabilito dalla legge, ebbero a rimarcare l’esistenza di un collegamento di tipo funzionale tra la previsione di divieti probatori in materia penale e la tutela di valori costituzionalmente protetti. Sottolineandosi, per tale via, che «la stessa ragione “storica” che ha indotto il legislatore a sancire la inutilizzabilità degli atti compiuti in violazione di divieti probatori, impedisce di ritenere utilizzabili quegli stessi atti nell’ambito di “altri” procedimenti giurisdizionali, giacché, ove così non fosse, la prova, vietata per tutelare (…) altri valori costituzionalmente preservati, troverebbe una inammissibile reviviscenza, eludendo la stessa ragion d’essere della inutilizzabilità» [32]. Di primo acchito, invero, appare innegabile che simili enunciati possano costituire, in parte qua, un formidabile argomento a sostegno della soluzione patrocinata dalla decisione in discorso. Se, [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2019