Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Scelte funamboliche sulle forme di controllo relative al diniego di messa alla prova per l'imputato adulto (di Carla Pansini)


Le Sezioni Unite hanno negato l’autonoma ricorribilità dell’ordinanza reiettiva della richiesta di messa alla prova dell’imputato adulto, affermando che questa sia impugnabile mediante appello unitamente alla sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 586 c.p.p. Il principio espresso ha sicuramente il pregio di offrire una ricostruzione del­l’istituto della messa alla prova maggiormente garantista, ma richiede una qualche forzatura del dato letterale e sistematico, scontrandosi con le precipue funzioni dell’istituto.

Interpretative reconstructions of any appeal on all measures about “probation”

The Joint Divisions denied the right to challenge a separate appeal against the rejection order concerning the request of probation for an adult defendant, stating that it is contestable by appeal together with the trial judgment, pursuant art 586 c.p.p. This approach has the merit to provide a reconstruction of this legal institution which recognizes more guarantees for the defendant that resorts to such special proceeding, but it needs, however, a stretch of the literal meaning because of going against its main function.

RIFLESSIONI PRELIMINARI Le Sezioni Unite sono intervenute a dirimere il contrasto giurisprudenziale sorto in ordine al­l’au­tonoma ricorribilità dell’ordinanza di rigetto della richiesta di sospensione del procedimento penale con messa alla prova dell’imputato adulto. Un approdo ermeneutico atteso, tanto più che la disciplina processuale di questo istituto, introdotto nel contesto del rito penale di genere con la l. 28 aprile 2014, n. 67 [1], già all’indomani della sua entrata in vigore aveva evidenziato enormi criticità interpretative [2], dovute sia alla tecnica legislativa non particolarmente attenta al contesto sistemico [3], sia a vuoti normativi non sempre colmabili in via esegetica [4]. Del resto, tale forma di probation processuale, pur mutuando dall’omonimo istituto previsto in ambito minorile una sfumata ossatura, se ne differenzia quanto a presupposti, caratteristiche e scansioni procedimentali; sicché può risultare difficile e fuorviante il tentativo di colmare le incertezze applicative con il ricorso “per analogia” ad approdi giurisprudenziali raggiunti in quella sede. Peraltro, non va altresì sottaciuto che le finalità sottese all’introduzione delle due forme di probation coincidono solo in parte . La sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato minorenne è stata introdotta nel sistema processuale minorile al fine di «limitare al massimo oltre che la prisonizzazione del minore, la sua stessa permanenza nel circuito penale», dovendosi attivare «positivamente in un percorso di maturazione e cambiamento» anche in vista di un costruttivo reinserimento nella vita della collettività [5] e a prescindere dalla gravità del reato commesso. Viceversa, l’istituto disciplinato dagli artt. 168-bis, ter, quater c.p. e 464-bisss. c.p.p. ha il precipuo scopo di offrire «un percorso di reinserimento alternativo ai soggetti processati per reati di minore allarme sociale», in uno alla funzione deflattiva dei procedimenti penali «attuata mercé l’estinzione del reato dichiarata dal giudice in caso di esito positivo della prova». In altri termini, «senza essere privo di una “necessaria componente afflittiva” (che ne salvaguarda la funzione punitiva e intimidatrice), la “sospensione con messa alla prova” è chiamata a soddisfare nel contempo istanze specialpreventive e risocializzatrici, mediante l’incentivazione dei comportamenti riparativi indirizzati alla persona offesa dal reato». Non solo. L’intervento legislativo del 2014 mirava a rendere effettivi un’opera di “de-carcerizza­zione” – rispondendo, peraltro, alle sollecitazioni provenienti sul punto dalla Corte europea dei diritti [continua..]

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Fascicolo 1 - 2017