Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo leggi articolo leggi fascicolo


Minima immoralia: le ultime modifiche alla disciplina delle impugnazioni (di Cristiana Valentini)


Il contributo analizza le novità introdotte con d.lgs. 6 febbraio 2018, n 11. Si tratta di modifiche minime, ora riproduttive di precedenti pronunzie giurisprudenziali, ora vocate a migliorare aspetti schiettamente organizzativi dell’in­cedere del processo. Restano inalterati i gravi problemi del giudizio d’appello, in particolare, e delle impugnazioni in generale.

Minima immoralia: the changes to the discipline of the procedures in appeal

The study focuses on legislative changes introduced by Legislative Decree No. 11 of 2018. There are minimal innovations: they reproduce previous jurisprudential pronunciations and tidy up some purely organizational aspects of the trial progress. The most serious problems of appeal proceedings remain unaltered.

 
LO SPIRITO DELLA RIFORMA Il decreto legislativo intitolato “Disposizioni di modifica della disciplina in materia di giudizi d’impugnazione” è inteso a completare la riforma avviata con la l. 23 giugno 2017, n. 103. Come si rammenterà, proprio il provvedimento in esame aveva delegato il Governo ad adottare decreti legislativi per la riforma della disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni e dei giudizi di impugnazione nel processo penale, come pure per la riforma dell’ordina­mento penitenziario, sulla scorta di principi e criteri direttivi contestualmente enunciati; al comma 84, lett. da f) ad m), il legislatore delegante aveva elencato i criteri direttivi concernenti per l’ap­pun­to la materia delle impugnazioni [1]. In particolare, mentre la prima parte della riforma delle impugnazioni era stata operata direttamente dalla l. n. 103 del 2017, tramite novazione di una cospicua serie di disposizioni codicistiche, mirate ad incidere sulla disciplina generale delle impugnazioni e sul giudizio di cassazione, con la delega il legislatore ha inteso lavorare prioritariamente sulla disciplina dell’appello [2]. Peraltro, già la lettura delle direttive rendeva evidente la natura infinitesimale del novum, ben lontano dalle esigenze di ristrutturazione dell’istituto reiteratamente manifestate dagli studiosi. D’altra parte, la vocazione al mutamento era espressa con toni assai differenti: a chi enunciava l’incongruità fisiologica della sostituzione di un giudizio sulle carte ad un giudizio orale di primo grado, plaudendo altresì alla eliminazione del divieto di reformatio in peius [3], facevano eco le parole di quanti descrivevano i difetti di un vaglio d’appello ostinatamente restio a porsi quale reale rimedio nei confronti delle sciatterie ricostruttive del primo grado [4]. In sostanza, all’interno dello stesso dibattito dottrinale appariva incerta persino la vocazione dell’appello, tutt’ora equivocamente chiamato a librarsi tra fase di controllo e novum iudicium [5]. L’APPELLO COME “IMBUTO” Le Relazioni tenute dal primo Presidente della Cassazione per l’inaugurazione di ogni anno giudiziario sono spesso meritevoli di attenta lettura: in quella dedicata alla valutazione dell’anno giudiziario 2013, il primo Presidente Santacroce identificava nella fase di giudizio d’appello «il vero imbuto» del circuito delle impugnazioni, bisognoso di «indifferibili interventi organizzativi e normativi» [6]. Occorre, peraltro, ricordare pure il perché l’appello avesse meritato questa efficace metafora: secondo la Relazione, la durata media del giudizio d’appello, calcolata su base nazionale, era di 844 giorni [continua..]

» Per l'intero contenuto effettuare il login

inizio


Fascicolo 4 - 2018