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Scelte funamboliche sulle forme di controllo relative al diniego di messa alla prova per l'imputato adulto
di Carla Pansini
Le Sezioni Unite hanno negato l’autonoma ricorribilità dell’ordinanza reiettiva della richiesta di messa alla prova dell’imputato adulto, affermando che questa sia impugnabile mediante appello unitamente alla sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 586 c.p.p. Il principio espresso ha sicuramente il pregio di offrire una ricostruzione dell’istituto della messa alla prova maggiormente garantista, ma richiede una qualche forzatura del dato letterale e sistematico, scontrandosi con le precipue funzioni dell’istituto.
The Joint Divisions denied the right to challenge a separate appeal against the rejection order concerning the request of probation for an adult defendant, stating that it is contestable by appeal together with the trial judgment, pursuant art 586 c.p.p. This approach has the merit to provide a reconstruction of this legal institution which recognizes more guarantees for the defendant that resorts to such special proceeding, but it needs, however, a stretch of the literal meaning because of going against its main function.
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RIFLESSIONI PRELIMINARI
Le Sezioni Unite sono intervenute a dirimere il contrasto giurisprudenziale sorto in ordine all’autonoma ricorribilità dell’ordinanza di rigetto della richiesta di sospensione del procedimento penale con messa alla prova dell’imputato adulto.
Un approdo ermeneutico atteso, tanto più che la disciplina processuale di questo istituto, introdotto nel contesto del rito penale di genere con la l. 28 aprile 2014, n. 67 [1], già all’indomani della sua entrata in vigore aveva evidenziato enormi criticità interpretative [2], dovute sia alla tecnica legislativa non particolarmente attenta al contesto sistemico [3], sia a vuoti normativi non sempre colmabili in via esegetica [4].
Del resto, tale forma di probation processuale, pur mutuando dall’omonimo istituto previsto in ambito minorile una sfumata ossatura, se ne differenzia quanto a presupposti, caratteristiche e scansioni procedimentali; sicché può risultare difficile e fuorviante il tentativo di colmare le incertezze applicative con il ricorso “per analogia” ad approdi giurisprudenziali raggiunti in quella sede.
Peraltro, non va altresì sottaciuto che le finalità sottese all’introduzione delle due forme di probation coincidono solo in parte . La sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato minorenne è stata introdotta nel sistema processuale minorile al fine di «limitare al massimo oltre che la prisonizzazione del minore, la sua stessa permanenza nel circuito penale», dovendosi attivare «positivamente in un percorso di maturazione e cambiamento» anche in vista di un costruttivo reinserimento nella vita della collettività [5] e a prescindere dalla gravità del reato commesso. Viceversa, l’istituto disciplinato dagli artt. 168-bis, ter, quater c.p. e 464-bisss. c.p.p. ha il precipuo scopo di offrire «un percorso di reinserimento alternativo ai soggetti processati per reati di minore allarme sociale», in uno alla funzione deflattiva dei procedimenti penali «attuata mercé l’estinzione del reato dichiarata dal giudice in caso di esito positivo della prova». In altri termini, «senza essere privo di una “necessaria componente afflittiva” (che ne salvaguarda la funzione punitiva e intimidatrice), la “sospensione con messa alla prova” è chiamata a soddisfare nel contempo istanze specialpreventive e risocializzatrici, mediante l’incentivazione dei comportamenti riparativi indirizzati alla persona offesa dal reato».
Non solo. L’intervento legislativo del 2014 mirava a rendere effettivi un’opera di “de-carcerizzazione” - rispondendo, peraltro, alle sollecitazioni provenienti sul punto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo [6] - e il principio del minor sacrificio possibile per la libertà personale, «incidendo su un contesto caratterizzato dalla “mancata valorizzazione di percorsi alternativi a quelli strettamente processuali per la soddisfazione delle esigenze special-preventive” e da fenomeni di inflazione del carico dei giudizi penali, forieri di incertezza e sfiducia collettiva» [7]. Un doppio binario processuale, insomma, in grado di operare una selezione dei procedimenti da celebrare con il rito ordinario ed implementando, per quelli afferenti a fatti di reato non meritevoli in prima battuta di accertamento dibattimentale, «modalità alternative di definizione degli affari penali» [8].
LA DISCIPLINA DI RIFERIMENTO
Appare utile, allora, prima della disamina della questione sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite, tratteggiare la cornice normativa entro la quale essa si pone. Se l’art. 168-bis c.p. detta le condizioni oggettive (in ragione della gravità del reato, determinata con riguardo all’entità della sanzione edittale ovvero ratione materiae) e soggettive per l’accesso all’istituto, è nel Titolo V-bis del Libro VI del codice di rito penale che vengono delineati gli aspetti processuali di tale nuovo procedimento speciale.
In particolare, il legislatore, dopo aver disciplinato nell’art. 464-bis, comma 2, c.p.p., i termini per la presentazione della richiesta di ammissione alla messa alla prova, prevede, al successivo art. 464 ter, l’ipotesi della istanza formulata nel corso delle indagini; in tale caso l’organo requirente dovrà esprimere un consenso motivato e formulare l’imputazione, per consentire al giudice di provvedere ai sensi del successivo art. 464-quater. Qualora, invece, vi sia dissenso, il pubblico ministero dovrà enunciarne le ragioni. La norma prevede inoltre che, in caso di rigetto della richiesta, l’imputato possa rinnovarla prima dell’apertura del dibattimento di primo grado e il giudice, qualora la ritenga fondata, provvederà ai sensi dell’art. 464-quater c.p.p.
È proprio quest’ultima norma a tracciare i poteri attribuiti al giudice destinatario della richiesta di probation: se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell’art. 129 c.p.p., questi decide con ordinanza nel corso della stessa udienza, sentite le parti, ovvero in un’apposita udienza, in camera di consiglio, fissata ad hoc.
Il comma 7 dell’art. 464-quater c.p.p. stabilisce, poi, che «contro l’ordinanza che decide sull’istanza di messa alla prova poss[a]no ricorrere per cassazione l’imputato e il pubblico ministero, anche su istanza della persona offesa e che l’impugnazione non sospende il procedimento». Il comma 9, infine, prevede che in caso di reiezione dell’istanza, questa potrà essere “riproposta nel giudizio, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento”.
Il quadro normativo descritto si presenta di non facile lettura. Le disposizioni, infatti, non definiscono in maniera chiara i confini applicativi della pur prevista facoltà di impugnazione dell’istanza di messa alla prova, in particolar modo in caso di rigetto; sicché viene rimesso all’interprete accertare se il sistema abbia previsto due rimedi alternativi ovvero tra loro cumulabili.
LA QUESTIONE SOTTOPOSTA LA VAGLIO DELLE SEZIONI UNITE
Il quesito rimesso alle Sezioni Unite [9] riguarda proprio la possibilità che l’ordinanza con la quale il Tribunale rigetti la richiesta dell’imputato di sospensione del procedimento con messa alla prova sia ricorribile in cassazione in via autonoma ovvero impugnabile solo unitamente alla sentenza dibattimentale ai sensi dell’art. 586 c.p.p.
Gli opposti orientamenti che hanno generato il contrasto giurisprudenziale sono sintetizzati con precisione dal Supremo consesso.
Così, secondo una prima ricostruzione [10], l’ordinanza con cui il giudice del dibattimento dovesse rigettare la richiesta di sospensione del processo con messa alla prova sarebbe sottoposta al regime di controllo previsto dal comma 7 dell’art. 464-quater c.p.p., a norma del quale «contro l’ordinanza che decide sull’istanza di messa alla prova possono ricorrere per Cassazione l’imputato e il pubblico ministero, anche su istanza della persona offesa». Tale approccio strettamente letterale risulta rafforzato dalla considerazione secondo la quale il probation giudiziale presuppone lo svolgimento di un iter «alternativo alla celebrazione del giudizio» [11]; alternatività salvaguardata proprio dalla immediata e autonoma ricorribilità in cassazione del rigetto della istanza di sospensiva [12].
Sulla base di tale apparentemente chiaro dictum normativo, nel corso di questi pochi anni di applicazione del nuovo istituto si era andata rafforzando la conclusione per cui ogni provvedimento assunto sulla richiesta di messa alla prova (quindi sia ammissivo che di rigetto) fosse impugnabile - littera legis - unicamente con ricorso per cassazione, costituendo il comma 7 dell’art. 464-quater c.p.p. una delle previste eccezioni all’art. 586 c.p.p., che viceversa impone - salve appunto le eccezioni di legge - l’impugnabilità delle ordinanze endoprocessuali solo congiuntamente alla sentenza definitoria del processo di primo grado.
Tale ricostruzione è stata, però, messa in dubbio da successive pronunce che, appellandosi al principio di tassatività delle impugnazioni, avevano ritenuto prevalente la previsione generale dell’art. 586 c.p.p., limitando, così, l’autonoma ricorribilità per cassazione ai soli provvedimenti di accoglimento dell’istanza di messa alla prova, mentre le ordinanze di rigetto avrebbero potuto essere appellate solo in uno alla sentenza conclusiva del processo.
Le Sezioni Unite hanno optato per questo secondo orientamento.
La soluzione adottata, tuttavia, pur avendo il pregio di offrire una ricostruzione dell’istituto della messa alla prova forse maggiormente garantista per l’imputato che ricorre a tale procedimento speciale, richiede una qualche forzatura del dato letterale e sistematico e si scontra con le precipue funzioni dell’istituto.
IL COMPLESSO SISTEMA DEI CONTROLLI SUI PROVVEDIMENTI DEL GIUDICE
In punta di metodo, allora, vale la pena ripercorrere i tratti fondanti le argomentazioni delle Sezioni Unite che non convincono pienamente o che si prestano a facili smentite. Tanto più che è la stessa Corte ad ammettere, proprio in premessa della parte motiva della sentenza, come la disciplina in materia di controlli sui provvedimenti di messa alla prova risulti «piuttosto scarna» e oggettivamente ambigua nei contenuti, tanto da dar luogo «a letture e applicazioni differenti».
È il comma 7 dell’art. 464-quater c.p.p. ad essere radiografato, laddove genericamente riconosce all’imputato e al pubblico ministero, anche su sollecitazione della persona offesa, la ricorribilità per cassazione «contro l’ordinanza che decide sull’istanza di messa alla prova».
Fuor di dubbio che la norma consenta il ricorso diretto e immediato contro l’ordinanza con la quale il giudice del dibattimento, in accoglimento di una richiesta dell’imputato, abbia disposto la sospensione. Del resto, come puntualmente osservato dallo stesso Supremo Consesso, alle parti diverse dall’imputato «non sarebbe altrimenti consentito alcun rimedio avverso la decisione assunta», subendo inerti le conseguenze connesse all’eventuale esito positivo della prova. Anzi, è lo stesso comma 7 a precisare che la persona offesa può impugnare il provvedimento (ovviamente ammissivo) autonomamente, in caso di omesso avviso dell’udienza o di omessa audizione nel corso dell’udienza stessa, ancorché fosse comparsa.
«Il dubbio attiene all’ipotesi in cui la decisione sia di rigetto». Dubbio alimentato dalla genericità del dettato normativo che espressis verbis - lo si è detto - non opera alcuna distinzione tra provvedimento positivo o negativo emesso dal giudice, legittimando, viceversa, la conclusione che la immediata ricorribilità per cassazione di tale provvedimento rientri a pieno titolo tra le deroghe alla previsione generale della impugnabilità di tutte le ordinanze dibattimentali unitamente alla sentenza di primo grado, secondo quanto disposto dall’art. 586, comma 1, c.p.p. [13]. Difatti, la regola della impugnabilità “differita” sancita nell’articolo da ultimo richiamato si giustifica in quanto persegue esigenze di economia processuale [14], di unitarietà e concentrazione dell’accertamento con riguardo a provvedimenti interlocutori strumentali e sussidiari rispetto alla sentenza conclusiva [15], soddisfacendo la necessità che l’intera materia del contendere venga sottoposta al giudice superiore in quell’unità indispensabile per poter giudicare rettamente. In questa cornice, di contro, la prevista eccezione valorizza l’opposta esigenza «di definire sollecitamente le questioni che sono in grado di essere decise o che richiedono una verifica immediata» [16], tra le quali non sembra illogico comprendere quelle riguardanti la legittimità del rifiuto di far concludere il procedimento penale attraverso la celebrazione del rito alternativo del probation.
Inoltre, nemmeno la struttura e la collocazione sistematica del comma 7 dell’art. 464-quater c.p.p. appare argomentazione sufficiente ad escludere tale conclusione [17]. Se, difatti, è vero - come puntualizza la Corte - che è solo il successivo comma 9 dell’art. 464-quater c.p.p. a occuparsi espressamente della ordinanza reiettiva della messa alla prova, prevedendo la possibilità per l’imputato che si veda respinta la sua richiesta di riproporla «fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento», questo dato topografico finisce per costituire mera norma di chiusura, che segna il termine ultimo per la riproposizione di una istanza di probationprecedentemente rigettata.
Del resto, il ricorso immediato in cassazione non può essere comunque escluso nelle ipotesi di abnormità del provvedimento endoprocessuale. Certo, la previsione di una ricorribilità del provvedimento reiettivo ne limita il controllo alle sole violazioni di legge e alle carenze motivazionali che, però, costituiscono con l’abnormità proprio i principali motivi in ordine ai quali l’imputato potrebbe avere la necessità di un tempestivo riscontro [18].
Sotto quest’ultimo profilo, non sembra condivisibile l’ulteriore passaggio della sentenza che interpreta, forzandolo, il dictum contenuto nell’ultima parte dello stesso art. 464-quater, comma 7, c.p.p., secondo cui «l’impugnazione non sospende il procedimento». Per la Corte, siffatta esclusione avrebbe senso solo se riferita all’ipotesi di ricorribilità del provvedimento di accoglimento, in quanto preclusiva della sospensione del sub-procedimento avente ad oggetto la messa alla prova e non del procedimento di cognizione in corso, mentre la previsione dell’impugnabilità immediata dell’ordinanza di rigetto della richiesta di messa alla prova risulterebbe «“irragionevole”» in presenza della espressa esclusione della sospensione del processo, in attesa della pronuncia della Cassazione.
«La mancata sospensione del processo» - si legge - «nonostante il ricorso immediato, determinerebbe effetti dirompenti nel caso in cui la Cassazione dovesse annullare con rinvio l’ordinanza negativa, provocando situazioni paradossali sul processo, che nel frattempo potrebbe essersi concluso con la condanna dell’imputato, anche al risarcimento dei danni in favore della persona offesa costituita parte civile».
Né più né meno, verrebbe da dire, di quanto non possa accadere quando l’ordinanza reiettiva venga impugnata unitamente alla sentenza, che presumibilmente sarà di condanna, altrimenti l’imputato avrebbe scarso interesse ad impugnarla, quantomeno in parte qua. Salvo a non voler riconoscere maggior tempo alla fissazione di un ricorso diretto in cassazione rispetto al passaggio in giudicato di una sentenza di condanna in un procedimento ordinario.
L’ERRATA ANALOGIA CON IL RITO MINORILE
In ultimo, non possono essere trascurate alcune considerazioni sulla interpretabilità delle disposizioni di genere alla luce di quelle previste nel contesto minorile. La Suprema Corte, difatti, affermando che l’ordinanza dibattimentale che decide negativamente sull’istanza di messa alla prova debba essere impugnata con la sentenza di primo grado, ritiene tale conclusione «in linea di continuità con il sistema vigente in materia di controllo sulle richieste di messa alla prova per i minorenni». Proprio il tenore letterale della disciplina prevista per questi ultimi induce, viceversa, ad attribuire a quella prevista per i maggiorenni valenza diversa.
La disciplina dettata per il processo penale a carico di imputati minorenni dall’art. 28, comma 3, d.p.r. n. 448 del 1988 - in forza del quale «contro l’ordinanza possono ricorrere per cassazione il pubblico ministero, l’imputato e il suo difensore» - deve essere interpretata alla luce del precedente comma 2, che ha ad oggetto esclusivamente l’ordinanza che dispone la sospensione. Tale correlazione tra i due commi indicati è stata letta dalla giurisprudenza ormai costante nel senso di ritenere l’ordinanza con la quale il Tribunale per i minorenni rigetti l’istanza di messa alla prova dell’imputato, con contestuale sospensione del procedimento ai sensi dell’art. 28, d.p.r. 22 settembre 1988 n. 448, non impugnabile in via autonoma, ma solo congiuntamente alla sentenza che definisce il giudizio [19]. Peraltro, non si deve dimenticare che nel sistema minorile la sospensione con messa alla prova può essere disposta con ordinanza anche d’ufficio, ancorché previa audizione delle parti. La diversa strutturazione delle disposizioni di riferimento in tema di probation per gli adulti fa ritenere, quindi, vanificato il fondamento di qualunque analoga interpretazione sistematica, in quanto l’ampio tenore letterale del comma 7 dell’art. 464 -quater c.p.p., la diversità di procedura e di scopi sottraggono l’ordinanza reiettiva dell’istanza di sospensione del processo per la messa alla prova alla disciplina generale di cui all’art. 586 c.p.p.
RILIEVI CONCLUSIVI
A fronte delle conclusioni a cui sono giunte le Sezioni Unite, il testo dell’art. 464 -quater c.p.p., letto anche alla luce delle finalità deflattive proprie del procedimento speciale, fa propendere, invece, per la ricorribilità autonoma per cassazione di qualsiasi decisione adottata dal giudice sulla richiesta di messa alla prova: è innegabile, difatti, che un controllo tempestivo, ancorché solo di legittimità, sull’accesso al rito speciale sia maggiormente in linea proprio con le suindicate finalità e con le scelte processuali dell’imputato. Milita in questo senso anche il tenore letterale del comma 7 dell’art. 464-quater c.p.p., laddove indica, oltre al pubblico ministero, tra i soggetti legittimati a proporre ricorso immediato in cassazione “contro l’ordinanza che decide sull’istanza di messa alla prova […..proprio] l’imputato”. Quest’ultimo, difatti, avrebbe scarso interesse a impugnare in cassazione - quindi per soli motivi di legittimità - l’ordinanza con la quale il giudice del dibattimento ha accolto la sua richiesta.
Resta qualche perplessità, in un’ottica garantista, sui limiti del sindacato di legittimità che discende da questa ricostruzione. Alla difesa dell’imputato, difatti, resterebbero precluse censure riguardanti il merito del rigetto, come quelle concernenti l’an e il quomodo dell’istituto della messa alla prova. Epperò, questo aspetto potrebbe restare sullo sfondo, costituendo conseguenza diretta della scelta di ricorrere al procedimento speciale, così come la scelta di “patteggiare” o richiedere il giudizio abbreviato porta con sé una implicita rinuncia a determinate garanzie.
Viceversa, si potrebbe immaginare, in una prospettiva de iure condendo, un sistema dei controlli contro l’ordinanza del giudice dibattimentale di accesso alla messa alla prova più complesso e articolato, che tenga maggiormente conto delle caratteristiche del procedimento speciale de quo, delle esigenze di tutte le parti processuali e delle garanzie difensive dell’imputato. Un sistema in base al quale l’ordinanza con la quale il giudice dibattimentale decide sulla richiesta di accesso al probation possa essere impugnata sia attraverso ricorso immediato per cassazione (sulla base del disposto degli artt. 464-quater, comma 7, 568 e 586, comma 1, c.p.p.), per motivi di mera legittimità [20], sia mediante appello congiuntamente alla sentenza di primo grado [21] qualora si voglia impugnare il provvedimento reiettivo nel merito delle determinazioni assunte dal giudice dibattimentale nell’esercizio dei propri poteri discrezionali: si pensi alla decisione reiettiva basatasi sul numero insufficiente o sulla tipologia degli obblighi e prescrizioni contenute nel programma di trattamento allegato ovvero sul giudizio prognostico negativo di recidiva, ovvero alla incongruità delle prescrizioni rispetto al fatto di reato commesso. Va da sé che, qualora l’istanza dell’imputato venga rigettata nel corso dell’udienza preliminare, questa possa essere riproposta nel successivo giudizio, prima dell’apertura del dibattimento e non autonomamente impugnata [22].
Un sistema, insomma, un po’ macchinoso, basato su rimedi alternativi, di fatto oggi non percorribile in quanto in contrasto con il principio di tassatività dei mezzi d’impugnazione sancito dall’art. 568 c.p.p. e con la previsione dell’art. 586, comma 1, c.p.p.
Sarebbe, allora, auspicabile un correttivo del legislatore che introduca un controllo più tempestivo e incisivo del provvedimento di accesso al probation che concerna anche - e soprattutto - il merito della decisione del giudice dibattimentale.
L’auspicato intervento sarebbe anche l’occasione per colmare un’ulteriore lacuna normativa concernente i controlli sul provvedimento di rigetto o accoglimento della richiesta di proroga della scadenza della misura sospensiva per gravi motivi, nonché sul provvedimento con cui il giudice integra o modifica il programma di trattamento.
Un dato, però, non può nascondersi e non andrebbe trascurato: come puntualmente osservato [23], sul piano sistemico, la moltiplicazione delle impugnazioni durante siffatta procedura risulta chiaramente in conflitto con le recenti iniziative legislative dirette a deflazionare il carico soprattutto della Corte di cassazione [24].
[1] Tale istituto, com’è noto, non è sconosciuto all’ordinamento italiano ma trova il suo archetipo nel probation giudiziale concedibile agli imputati minorenni, disciplinato dagli artt. 28 e 29, d.P.R n. 448 del 1988. Sull’omologo istituto minorile v., fra i tanti, M. Bouchard, voce Processo penale minorile, in Dig. pen., vol. X, Torino, 1995, p. 152 ss.; L. Caraceni, voce Processo penale minorile, in Enc. del dir., vol. IV, Agg., Milano, 2000, p. 1038 ss.; M. Colamussi, Una risposta alternativa alla devianza minorile: la “messa alla prova”. Profili controversi della disciplina, in Cass. pen., 1996, p. 2809 ss.; S. Giambruno, Il processo penale minorile, Padova, 1997; L. Pepino, voce Sospensione del processo con messa alla prova, in Dig. pen., vol. XIII, Torino, 1997, p. 481 ss.
[2] Per una recente sintesi delle problematiche interpretative relative alle scelte processuali della disciplina della sospensione del processo con messa alla prova v. L. Annunziata, Prime criticità applicative in tema di sospensione del processo con messa alla prova, in Dir. pen. e proc., 2016, p. 101 ss.; R. Bartoli, La sospensione del procedimento con messa alla prova: una goccia deflattiva nel mare del sovraffollamento?, in Dir. pen. e proc., 2014, p. 661 ss.; N. Triggiani, Poteri del giudice e controlli nella messa alla prova degli adulti, in Questa rivista, 2016, (1), p. 137 ss. Cfr., inoltre, G. Spangher, Considerazioni sul processo “criminale” italiano, Torino, 2015, p. 61; F. Viganò, Sulla proposta legislativa in tema di sospensione del procedimento con messa alla prova, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2013, p. 1300-1306, in cui si paventa un conflitto del nuovo istituto con l’art. 27 Cost.; negli stessi termini, F. Caprioli, Due iniziative di riforma nel segno della deflazione: la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato maggiorenne e l’archiviazione per particolare tenuità del fatto, in Cass. pen., 2012, p. 7-18; A. Sanna, L’istituto della messa alla prova: alternativa al processo o processo senza garanzie?, in Cass. pen., 2015, p. 1262; A. Scalfati, La debole convergenza di scopi nella deflazione promossa dalla legge n. 67/2014, in N. Triggiani (a cura di), La deflazione giudiziaria: messa alla prova degli adulti e proscioglimento per tenuità del fatto, Torino, 2014, pp. 1-11.
[3] Si veda, per tutte, la tematica delle conseguenze della riattivazione dell’iter procedimentale - a seguito di revoca o di esito negativo della prova - rispetto alla possibilità di sancire l’inutilizzabilità per la decisione sulla regiudicanda delle informazioni acquisite ai fini e durante il procedimento di messa alla prova, Sul punto, v. N. Triggiani, Poteri del giudice e controlli nella messa alla prova degli adulti, cit.
Sotto differente profilo si è segnalato come il nuovo istituto, in ragione dei limiti oggettivi previsti all’art. 168 bis c.p., copra approssimativamente l’ambito applicativo delle misure alternative alla detenzione e della sospensione condizionale della pena, con una conseguente sovrapposizione di istituti. V. Fiorentin, Preclusioni e soglie di pena riducono la diffusione, in Guida al dir., 2013, (21), p. 68 ss.; A. Marandola, La messa alla prova dell’imputato adulto: ombre e luci di un nuovo rito speciale per una diversa politica criminale, in Dir. pen. e proc., 2014, p. 677; L. Pulito, Messa alla prova per adulti: anatomia di un nuovo modello processuale, in questa Rivista, 2015, p. 103 ss.
[4] Ci si riferisce in primis alla rilevata assenza di una disciplina transitoria, che ha comportato la rimessione della questione alle Sezioni Unite (Cass. Sez. IV, 9 luglio 2014, n. 30559) e a un intervento chiarificatore della Corte costituzionale (C. cost. sent., 26 novembre 2015, n. 240). In dottrina, sul punto, M. Amoroso, Il regime dell’impugnazione delle ordinanze decisorie sull’istanza di messa alla prova, in Dir. pen. cont., 2016; V. Bove, Messa alla prova per gli adulti: una prima lettura della L. 67/2014, in Dir. pen. cont., 25 giugno 2014; F. Picchiché, Alle Sezioni Unite la questione dell’applicabilità del nuovo istituto della messa alla prova ai processi in corso, nota a Cass, sez. IV, 9 luglio 2014, n. 30559, Dir. pen. cont., 21 ottobre 2014.
Complessa da subito è apparsa anche l’individuazione dei criteri di computo della pena funzionali ad estrapolare il catalogo dei reati per i quali è ammesso l’accesso all’istituto nonché la verifica della possibilità di una fruibilità “parziale” della probation nei casi di plurime contestazioni. Cfr. F. Bardelle, Primi arresti della cassazione sulla messa alla prova. Cass., sez. VI, 13 febbraio 2015, n. 6483 sul computo della pena. Cass., sez. II, 4 maggio 2015, n. 18265 sulla disciplina transitoria. Criticità e spunti per un’applicazione retroattiva dell’istituto, in Dir. pen. cont. 10 giugno 2015; A. Marandola, Il criterio quantitativo della pena per l’ammissione alla messa alla prova, in Giur. it., fasc. 10/2015, p. 2224. V. anche, sulla specifica tematica della sospensione “parziale” J. Della Torre, La Cassazione nega l’ammissibilità della messa alla prova ‘parziale’ in nome della rieducazione ‘totale’ del richiedente, in Dir. pen. cont., 12 maggio 2015, nonché V. Bove, Messa alla prova per gli adulti, cit., p. 18 s.; G. Fanuli, L’istituto della messa alla prova ex lege 28 aprile 2014, n. 67. Inquadramento teorico e problematiche applicative, in Arch. nuova proc. pen., 2014, p. 427 ss.; M.L. Galati, L. Randazzo, La messa alla prova nel processo penale. Le applicazioni pratiche della legge n. 67/2014, Milano, 2015, p. 84 s.
[5] Cfr. in questi termini P. Martucci, sub art. 28 d.P.R. n. 448/1988, in A. Giarda, G. Spangher (a cura di), Codice di procedura penale commentato. Leggi speciali e complementari, IV Ed., Milano, Ipsoa, 2010, p. 9024. V. anche R. Bartoli, La sospensione del procedimento con messa alla prova: una goccia deflattiva nel mare del sovraffollamento?, cit., p. 664; A. Marandola, La messa alla prova dell’imputato adulto: ombre e luci di un nuovo rito speciale per una diversa politica criminale, cit., p. 674 ss.
[6] Il riferimento è, in particolare, alla sent. CEDU, 8.01.2013, Torregiani c. Italia, in Cass. pen., 2013, p. 11 ss. In dottrina, G. Della Morte, La situazione carceraria italiana viola strutturalmente gli standards sui diritti umani (a margine della sentenza Torregiano c. Italia), in Dir. um. dir. int., 2013, (1), p. 147 ss.; M. Dova, Torregiani c. Italia, un barlume di speranza nella cronaca del sistema sanzionatorio, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, p. 948 ss.; F. Viganò, Sentenza pilota della Corte EDU sul sovraffollamento delle carceri italiane: il nostro Paese chiamato all’adozione di rimedi strutturali entro il termine di un anno, in www.penalecontemporaneo.it.
[7] Così R. Piccirillo, Prime riflessioni sulle nuove disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili - Relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di cassazione n. III/07/2014, Novità legislative: legge 28 aprile 2014, n. 67, in www.cortedicassazione.it.
[8] F. Fiorentin, Rivoluzione copernicana per la giustizia riparativa, in Guida al dir., 2014, p. 67 ss.
[9] Cass., sez. un., 31 marzo 2016, n. 33216.
[10] Cfr., tra le tante, Cass. sez. V, 20 ottobre 2015, n. 4586, in CED Cass., n. 265627; Cass. sez. V, 23 marzo 2015, n. 24011, in CED Cass., n. 263777; Cass. sez. VI, 30 giugno 2015, n. 36687, in CED Cass., n. 264046.
[11] Così Cass., sez. fer., 31 luglio 2014, n. 35717 in CED Cass., n. 259935 e Cass., sez. fer., 9 settembre 2014, n. 42318, in CED Cass., n. 261096.
[12] Cass., sez. VI, 9 dicembre 2014, n. 6483.
[13] Sull’ambito di operatività di questa disposizione v. A. Marandola, Le disposizioni generali, in G. Spangher (a cura di), Le impugnazioni, V (Trattato di procedura penale diretto da G. Spangher), Torino, 2009, p. 138 ss.
[14] Così G. Tranchina, voce Impugnazione (dir. pen. proc.), in Enc del dir., Agg., II, p. 397.
[15] R. Giustozzi, Le impugnazioni, in AA.VV., Manuale pratico del processo penale, Padova, 2007, p. 1175.
[16] G. Spangher, voce Impugnazioni penali, in Dig. pen., VI, p. 228: La giurisprudenza aveva già sottolineato come «l’istituto della messa alla prova previa sospensione del procedimento sia stato costruito dal legislatore come opportunità possibile esclusivamente in radicale alternativa alla celebrazione di ogni tipologia di giudizio di merito, già dal primo grado» e quindi non applicabile la regola generale dell’art. 586, comma 1, c.p.p.: Cass., sez. fer., 31 luglio 2014, n. 35717.
[17] In giurisprudenza si era già affermato che il comma 9 dell’art. 464-quater c.p.p. avesse la funzione di prevedere la disciplina del rigetto, mentre i commi precedenti regolassero l’accoglimento. La collocazione del 7 comma, quindi, viene ritenuta elemento determinante per ammettere, nei soli casi di accoglimento dell’istanza, il ricorso in Cassazione. Cfr. Cass. sez. V, 17 giugno 2015, n. 25566.
[18] Sotto quest’ultimo profilo, va ricordato che la stessa Corte costituzionale, sancendo l’illegittimità della previsione dell’art. 28, quarto comma del d.p.r. n. 448 del 1988 nella sua formulazione originaria - che precludeva l’accesso alla messa alla prova dell’imputato che avesse chiesto il giudizio abbreviato o il giudizio immediato -. si era incidenter tantum soffermata sulla previsione dell’impugnazione per cassazione proponibile anche dall’imputato e dal suo difensore avverso l’ordinanza dispositiva della messa alla prova, spiegando che detto rimedio poteva investire tutti i possibili vizi di legittimità o di motivazione dell’ordinanza, il più significativo dei quali doveva essere individuato nel difetto di «un giudizio di responsabilità penale che si sia formato nel giudice»; giudizio che veniva qualificato come «presupposto concettuale essenziale» del provvedimento, la cui carenza imporrebbe il proscioglimento. C. Cost., 5 aprile 1995, n. 125.
[19] In tal senso, v. Cass., sez. IV, 18 giugno 2003, in Cass. pen., 2005, p. 905; Cass., sez. I, 8 luglio 1999, in Riv. pen., 1999, p. 1100; Cass., sez. I, 24 aprile 1995, in Cass. pen., 1997, p. 165; Cass., sez. I, 30 giugno 1992, ivi, 1994, p. 1302. Contra, Cass., sez. I, 20 novembre 1992, in Arch. pen., 1994, p. 49. In ordine a tale ultimo pronunciato cfr., volendo, le perplessità espresse in C. Pansini, Impugnabilità delle ordinanze in tema di messa alla prova, ivi.
[20] In dottrina, diversi sono i sostenitori della tesi per la quale sarebbero impugnabili direttamente in Cassazione le ordinanze reiettive della messa alla prova rese in dibattimento C. Cesari, La sospensione del processo con messa alla prova: sulla falsariga dell’esperienza minorile, nasce il probation processuale per gli imputati adulti, in Leg. pen., 2014, p. 544; A. Diddi, La fase di ammissione della prova, in N. Triggiani (a cura di), La deflazione giudiziaria. Messa alla prova degli adulti e proscioglimento per tenuità del fatto, cit., p. 129 s.; Fanuli, op. cit., p. 438; E. Montagna, Sospensione del procedimento con messa alla prova e attivazione del rito, in C. Conti, A. Marandola, G. Varraso, Le nuove norme sulla giustizia penale., Padova, 2014, p. 409; Picciché, Il ricorso per Cassazione dell’imputato contro l’ordinanza di rigetto dell’istanza di messa alla prova per gli adulti: due opinioni a confronto, in www.questionegiustizia.it, 29 luglio 2015; Id., Messa alla prova, rimessa alle Sezioni Unite la questione dell’impugnazione dell’ordinanza dibattimentale di rigetto della richiesta, in www.questionegiustizia.it, 26 gennaio 2016; Piccirillo, op cit. p. 19; N. Triggiani, Poteri del giudice e controlli nella messa alla prova degli adulti, cit., p. 146.
[21] Arrivano a simili conclusioni anche L. Annunziata, Prime criticità applicative in tema di sospensione del processo con messa alla prova, cit., p. 108; M.L. Galati, L. Randazzo, La messa alla prova nel processo penale. Le applicazioni pratiche della legge n. 67/2014, cit., p. 94; Tabasco, La sospensione del procedimento con messa alla prova degli imputati adulti, in Arch. pen., 2015, 1, p. 34.
[22] È indubbio che l’imputato non possa ricorrere per cassazione contro le decisioni negative qualora la richiesta di sospensione sia ulteriormente reiterabile prima della dichiarazione di apertura del dibattimento ex artt. 464-ter, comma 4, o 464- quater , comma 9, c.p.p. Analogamente G. Spangher, I procedimenti speciali, in AA.VV., Procedura penale, Torino, 2014, p. 605.
[23] N. Triggiani, Poteri del giudice e controlli nella messa alla prova degli adulti, cit., p. 149.
[24] M. Bargis, Primi rilievi sulle proposte di modifica in materia di impugnazioni nel recente d.d.l. governativo, in Dir. pen. cont., 2015, 1, p. 4 ss.