Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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La presunzione di innocenza non elargisce all´imputato uno “scudo processuale” che estromette la tutela degli interessi della parte civile (di Carlo Morselli, Docente a contratto – Università LUMSA Roma)


Interessi penali ed extrapenali a confronto, e quelli civilistici si attestano poziori nel telaio interpretativo del diritto convenzionale della Corte e.d.u. 18 novembre 2021. Casus belli: per il romanzo evocativo “Terrazza sul balcone” il suo autore subisce un processo e in primo grado viene assolto in esito al giudizio abbreviato. La libertà di espressione (valore) incrocia il limite della diffamazione (disvalore), al vaglio sia delle categorie penalistiche che civilistiche. Esclusa la latitudine di una presunzione di innocenza che inglobi il dedotto (in primo grado) e il deducibile (in appello e cassazione), vengono invece considerate le ragioni riparatorie della parte civile costituita. Queste, a certe condizioni, escono indenni sia nello scrutinio di merito che, in generale, nel controllo estintivo della prescrizione. Non esistono diritti assoluti-assoluti (esercizio di un diritto, di cronaca e di critica storica), senza barriere, ciò che vale anche per la presunzione di innocenza che non può essere letta, specie in secondo grado, con una lente di ingrandimento che neutralizzi prerogative extrapenali. La Corte di appello emette sentenza di condanna risarcitoria agli effetti civili. Nel giudizio della Corte e.d.u., non c’è stata lesione della garanzia, convenzionale (art. 6 § 2) e costituzionale (art. 27), della presunzione di non colpevolezza e neppure di quella espressiva (art. 10 Conv.). La scelta dell’imputato dell’”abbreviato” lo ha penalizzato per la trattazione di fatti complessi come quelli di Rovetta del 18 aprile 1945 (la fucilazione di prigionieri), ma la condanna civile può essere una “pena nascosta “.

The presumption of innocence does not provide the accused with a “procedural shield” which excludes the protection of the interests of the civil party

Criminal and extra-criminal interests in comparison, and civil interests stand out in the interpretative framework of the conventional law of the e.d.u. November 18, 2021. Casus belli: for the evocative novel “Terrace on the balcony” its author undergoes a trial and is acquitted in the first instance following the shortened trial. Freedom of expression (value) crosses the limit of defamation (disvalue), under scrutiny by both criminal and civil categories. Excluding the latitude of a presumption of innocence that encompasses the deduced (in the first instance) and the deductible (in appeal and cassation), the restorative reasons of the civil party constituted are instead considered. These, under certain conditions, come out unscathed both in the merit scrutiny and, in general, in the extinguishing control of the prescription. There are no absolute-absolute rights (exercise of a right, news and historical criticism), without barriers, which also applies to the presumption of innocence which cannot be read, especially in the second degree, with a magnifying glass that neutralizes extra criminal prerogatives. The Court of Appeal issues a sentence of compensation for civil effects. In the judgment of the edu court, there was no infringement of the guarantee, conventional (art. 6 § 2) and constitutional (art. 27), of the presumption of innocence and not even the expressive one (art. 10 Conv.). The defendant’s choice of “abbreviated” penalized him for dealing with complex facts such as those of Rovetta on April 18, 1945 (the shooting of prisoners), but the civil conviction can be a “hidden penalty”.

Presunzione di innocenza e condanna agli effetti civili MASSIMA: Non violano la presunzione di innocenza convenzionalmente garantita le sentenze dei giudici italiani – d’appello e di legittimità – che condannano al risarcimento del danno a favore delle parti civili, il ricorrente assolto dal reato di diffamazione in esito al giudizio abbreviato. PROVVEDIMENTO: [Omissis] IN FATTO 2. Il richiedente è nato nel 1938 e vive ad Albinea. Era rappresentato davanti alla Corte da M. Angarano, avvocato di Bergamo. 3. Il governo era rappresentato dal suo ex agente, sig.ra E. Spatafora, e dal suo ex co-agente, sig.ra P. Accardo, della Rappresentanza permanente italiana presso il Consiglio d’Europa. Le circostanze del caso 4. Nel dicembre 2005 il ricorrente ha pubblicato le sue memorie intitolate “Terrazza sul cortile”. I fatti di Rovetta del 28 aprile 1945: ricordi di un bambino”, pubblicato dall’Istituto bergamasco di storia della Resistenza e dell’età contemporanea. 5. In questo libro il ricorrente, che aveva sei anni all’epoca dei fatti, raccontava la sua infanzia e gli eventi che avevano avuto luogo nelle settimane precedenti la caduta della Repubblica Sociale Italiana (“la PVR”), lo Stato creato dai fascisti italiani nell’Italia centrale e settentrionale tra il settembre 1943 e l’aprile 1945. In particolare, ha ricostruito gli eventi che portarono all’esecuzione sommaria di quarantatré prigionieri della RSI che, secondo la sua tesi storica, si erano arresi alle forze della Resistenza (episodio noto come “strage di Rovetta”). Ha sovrapposto il racconto storico a ricordi intimi e personali legati alla sua vita familiare. In particolare, dedica alcune pagine alle tensioni tra i suoi parenti e la famiglia M., che occupava parte della casa di famiglia. Le ragioni del conflitto derivavano dalla differenza di convinzioni politiche tra la famiglia del ricorrente, che era antifascista, e la famiglia M., sostenitrice del regime fascista. 6. Alcune delle espressioni usate dal ricorrente in relazione al signor S.M. e alla signora G.G. sono state percepite come diffamatorie dai loro eredi, che hanno presentato una denuncia (cfr. paragrafo 14 qui di seguito) presso la procura di Bergamo. Il ricorrente è stato perseguito, tra l’altro, per aver scritto che la signora G.G., la moglie, aveva “convinto le autorità a inserire il nome del nonno nella lista dei dieci ostaggi da fucilare in caso di rappresaglie” e che, a seguito di uno scambio teso tra il nonno e la signora G.G., quest’ultima “si era infastidita e aveva rimandato il marito fantoccio [marito fantoccio] in casa e si era ritirata...”. 7. Il 15 ottobre 2007, al termine del procedimento abbreviato richiesto dal ricorrente, il giudice dell’udienza preliminare (di seguito “GUP”) di Bergamo ha assolto [continua..]

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SOMMARIO:

1. La cornice di Cedu 18 novembre 2021 - 2. Il caso e il filtro del giudizio abbreviato - 3. L’appello e la Cassazione - 4. Coordinate normative. Rapporti fra decisione penale ed extrapenale - 5. Il doppio binario, civile-penale. Parte civile - 6. Presunzione di innocenza - 7. Doppia tutela. La “rilevanza della residualità” fissata in un margine processuale - 8. L’impugnazione e il potere di “veto” esercitato - 9. Meritum causae e l’azione civile “in autotutela” in appello. “Conti aperti” - 10. Art. 10 della Convenzione sulla libertà di espressione – Il caso Belpietro (cenno) - 11. La Corte usa la tecnica del “compasso largo”, sostenuto dall’uso dell’exergasia - 12. Abbreviato, con i suoi limiti, e il mancato esame dell’imputato in appello, concluso con la reformatio in peius di una condanna civile (per la prima volta) sostanzialmente punitiva - NOTE


1. La cornice di Cedu 18 novembre 2021

Corte e.d.u., Marinoni vs. Italia, 19 novembre 2021 [1], sul tema della presunzione di innocenza agli effetti civili, evoca e ripercorre la radice dell’incardinato giudizio di primo grado, celebrato con le forme del rito abbreviato. Lo stesso, nel 2007 si è concluso con la sentenza di assoluzione di dichiarata non punibilità per il reato di diffamazione in relazione alle espressioni inserite in un libro: pur se “oggettivamente diffamatorie”, erano proiezione dell’esercizio del diritto di commentare vicende storiche (assoluzione ai fini penali in primo grado). Sempre in ordine alle cc.dd. vie di ricorso interne, appellante la parte civile, nel 2010 la Corte d’appello ha emesso sentenza di condanna ai soli effetti civili, al pagamento dell’importo di euro 16.000 a titolo di risarcimento riconosciuto alle ragioni civili sul presupposto che le osservazioni utilizzate nel libro fossero diffamatorie. Già questo quadro d’esordio inserisce e traccia, all’orizzonte della successiva analisi, la forbice di un divario, per l’idem factum, fra assoluzione e condanna, fra irrilevanza penale e rilevanza civile. Quindi, l’assoluzione non aveva concluso e troncato l’iter giudiziario, residuando l’”appendice” della devoluzione delle doglianze civilistiche alla Corte territoriale penale. Questa, aveva limitato il suo esame alle condizioni del reato, ai relativi elementi costitutivi già oggetto di accertamento in primo grado e richiamati, esulandovi il giudizio di responsabilità civile all’origine del risarcimento dei danni subiti dalla parte civile. E il medesimo vaglio vale per il procedimento della Corte di Cassazione. Le indicate vie interne del ricorso, quelle nazionali, non avevano “sindacato” la dichiarata assoluzione in sede penale, rimasta appunto indenne, con la conseguenza che non avevano arrecato alcuna lesione al rispetto del “diritto del ricorrente a essere presunto innocente in forza della sua assoluzione nel procedimento penale”. Ciò posto, non c’era stata violazione dell’articolo 6 § 2 della Convenzione, al suo dettato: “Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata”. La pronuncia della sentenza della Corte di Strasburgo si esprime sul ricorso n. 27801/12 contro la Repubblica italiana [continua ..]


2. Il caso e il filtro del giudizio abbreviato

Il casus belli è piuttosto risalente: nel dicembre 2005 Nazareno Marinoni ha dato alla stampa le sue memorie con il titolo “Terrazza sul cortile” aventi ad oggetto i fatti di Rovetta del 28 aprile 1945 [2]. Libro di memorie dunque [3] – quello del ricorrente che, all’epoca dei fatti, aveva sei anni e racconta, oltre l’infanzia, specialmente le vicende precedenti la caduta della Repubblica Sociale Italiana (“la PVR”) tra il 1943 e il 1945 – e anche di ricostruzione, dell’esecuzione sommaria di quarantatré prigionieri della RSI (c.d. strage di Rovetta). Qui, nella curva retrospettiva, si inserisce la denuncia alla Procura [4] degli eredi del signor S. M. e della sig.ra G. G. per le espressioni usate dal ricorrente ritenute diffamatorie [5]. Il 15 ottobre 2007, in esito al giudizio abbreviato richiesto dall’imputato in seno all’udienza preliminare, il giudice (g.u.p.) di Bergamo ha ritenuto l’imputato non punibile. Pur “oggettivamente diffamatorie”, le espressioni usate sono risultate neutralizzate ed assorbite dal diritto di cronaca e di critica storica alla fonte dell’art. 51 c.p.[6], escludendosi la penale responsabilità del suo autore (infatti, il giornalista che riporta ad litteram le dichiarazioni lesive dell’altrui reputazione non è punibile per diffamazione [7]). Il libro era anche originale – per avere presentato una versione alternativa della “strage di Rovetta”, riscrivendo il ruolo dei servizi militari britannici – e rispondeva ad un interesse pubblico generale ad avere accesso ad una ricostruzione storica esposta ordinatamente, e senza che le parole potessero suonare come offensive (absit iniuria verbis). Ciò, nel telaio di una base fattuale vera da parte del ricorrente (c. d. exceptio veri), corrispondenti i fatti narrati al vero, appunto. Secondo il richiamo di Corte e.d.u. 19 novembre 2021, nella sentenza n. 34821 dell’11 maggio 2005, la Corte di Cassazione ha affermato che “in materia di diffamazione a mezzo stampa, l’esercizio del diritto di cronaca e di critica storica richiede l’uso del metodo scientifico di indagine, la ricerca esaustiva di materiale utilizzabile, lo studio di varie fonti consultabili e di sicura provenienza, e richiede inoltre che il fenomeno oggetto di studio sia di ampio respiro e considerato da più punti [continua ..]


3. L’appello e la Cassazione

La decisione liberatoria di primo grado [9], resa con le forme del rito abbreviato, veniva impugnata dalla parte civile, al fine di ottenere una declaratoria di civile responsabilità per il reato di diffamazione [10]. Nei motivi di appello [11] depositati [12], l’autore dell’impugnazione criticava il giudice di prima istanza che (sostanzialmente) aveva “elargito” la causa di esclusione della responsabilità, cioè l’aveva dichiarata con passaggi sommari e non ponderati, quasi “sbrigativi”, non sostenuti da elementi di fatto [13]. La tesi che la sig.ra G.G. avesse allestito l’elenco degli ostaggi da uccidere disegnava una riconducibilità o responsabilità spoglia di prova credibile. Il giudice, altresì, aveva trascurato di considerare o valorizzare una corrispondenza indirizzata alla sig.ra G.G., specialmente una lettera composta da un antifascista di critica alla descrizione negativa condotta nel libro, ma l’interessato si era difeso. Accogliendo la richiesta, il 23 marzo 2010 la Corte d’Appello di Brescia ha statuito la condanna del ricorrente al risarcimento dei danni in favore della parte civile, determinandone l’ammontare in 16.000 euro, complessivamente [14]. Alla decisione di merito di secondo livello (o grado) – tenendo presente la permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello [15] – si è interposto ricorso per Cassazione: al riguardo, si è calata una censura sul ragionamento condotto in sentenza in ordine al materiale probatorio usato. Il ricorrente, d’altra parte, ha articolato delle prove documentali dimostrative della veridicità dell’esistenza di liste di ostaggi scritte dalle forze di occupazioni, per vicende consimili a quelle scrutinate. Il 24 ottobre 2011 la Cassazione [16] – il cui accesso deve avvenire senza esorbitanti formalismi secondo un recente pronunciamento della Corte europea [17] – ha confermato la sentenza della Corte d’appello impugnata.


4. Coordinate normative. Rapporti fra decisione penale ed extrapenale

La Corte e.d.u. traccia una rete normativa, citando l’art. 75 c.p.p. e l’art. 652 c.p.p., il quale prevede che la decisione penale di assoluzione non è passata in giudicato nel processo civile se la vittima (il danneggiato) ha intrapreso l’azione davanti al giudice civile ai sensi dell’art. 75 del c.p.c. [18]. Si è stabilito che la previsione di cui all’art. 652 c.p.p. – per la quale la sentenza di assoluzione ha efficacia di giudicato nell’ambito del giudizio civile di danni relativamente all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una legittima facoltà – non è applicabile nel caso in cui la sentenza di assoluzione sia pronunciata per il riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 599 c. p., la quale, escludendo la punibilità dei reati di ingiuria e diffamazione, non ne esclude la natura di illecito civile e l’esistenza dell’obbligazione risarcitoria, ove ne sia derivato un danno, che può essere fatta valere innanzi al giudice civile [19]. Nel mosaico del procedimento penale, l’azione civile rappresenta una tessera accessoria rispetto agli interessi pubblici collegati all’azione penale, che mira ad accertare la responsabilità del reato e a concludere in tempi ragionevoli il procedimento [20]. In tal modo, dal carattere accessorio dell’azione civile [21]deriva che in primo grado il giudice penale decida sulla richiesta della parte civile solo quando pronuncia sentenza di condanna (art. 538 c.p.p). All’opposto, in caso di assoluzione (artt. 529-531 c.p.p.), il giudice non deve “computare” gli effetti civili del reato, escluso. Sui punti di contatto tra i due riti, quello civile e quello penale, l’ordinamento interno è incentrato sul principio di autonomia dell’azione di responsabilità civile nell’ambito della giurisdizione civile e su quello di accessorietà (o dipendenza, potremmo dire) dell’azione civile nel rito penale. Nelle mani della vittima del reato – cioè la persona offesa, e che sia anche danneggiata [22] – è concentrata la scelta tra l’agire civilmente per coltivare la sua pretesa risarcitoria o innestare le ragioni di natura [continua ..]


5. Il doppio binario, civile-penale. Parte civile

Il processo penale ospita, essenzialmente, un doppio accertamento, uno “naturale”, cioè indefettibile, che riguarda il suo oggetto, lo scrutinio sulla postulata accusa, l’altro dispensabile e che si celebra e interviene (senza automatismi applicativi) per l’innesto di una domanda risarcitoria del danno generato dal reato. La seconda ipotesi è integrata, soggettivamente, dal danneggiato che, nella scena del processo penale, diviene parte attraverso un atto d’impulso che lo accredita, facendo ingresso nel rito con la sua pretesa patrimoniale. Tale è la c.d. parte civile [36], la cui figura nasce in Francia con l’Ordonnance criminelle del 1670 [37]. Rispetto all’imputato è espressione di una lis minor e “rimane” [38] parte eventuale (necessaria il primo): costituendosi nel processo penale attesta il suo diritto leso [39]. Anche il nuovo impianto codicistico, nel solco di una lunga tradizione, seguita ad ammettere il potere d’esercizio dell’azione civile in sede penale, nella forma riparatoria: tra la netta separazione fra azione civile e penale e il relativo cumulo, ha scelto un “processo a due teste”, volendo assicurare l’economia del giudizio e la coerenza dei giudicati [40]. L’accertamento, però, così, risulta “complicato” (proiettato nei due versanti, penale e civile), anche dal punto di vista temporale e della speditezza dei lavori istruttori (la categoria costituzionale evocabile è quella della “ragionevole durata” dettata dall’art. 111, II p.) [41]. Al riguardo, infatti, non si sottovaluti, ai fini ricostruttivi, la disposizione dettata all’art. 187 c.p.p.: 3. Se vi è costituzione di parte civile, sono inoltre oggetto di prova i fatti inerenti alla responsabilità civile derivante dal reato. D’altro canto, il carattere plurioffensivo dell’idem factum vulnera o mette in pericolo il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice di parte speciale e impone le restituzioni [42] ai sensi dell’art. 185 c.p.[43](che rappresenta il vertice o la fonte normativa dei due obblighi di facere e dare, rispettivamente “alle restituzioni” e del “danno … al risarcimento”; v. il pedissequo richiamo dell’art. 74 c.p.p.), sul presupposto della doppia illiceità. Però il processo [continua ..]


6. Presunzione di innocenza

La Direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, al considerando 16 prevede: “la presunzione di innocenza sarebbe violata se dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche o decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza presentassero l’indagato o imputato come colpevole fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata. Tali dichiarazioni o decisioni giudiziarie non dovrebbero rispecchiare l’idea che una persona sia colpevole” [47]. Della stessa materia si occupa l’art. 6 § 2 della Convenzione, della cui violazione si duole il ricorrente (sottolineata dalla severità e gravità della sanzione pari a 16.000 euro), della sua prerogativa alla presunzione di non colpevolezza, che nel dettato normativo è così resa: 2. Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata [48]. Questo capitolo della sentenza Corte e.d.u. 2021 potrebbe, paradossalmente, intitolarsi, come si fa nella stessa sentenza: “sulla presunta violazione della presunzione d’innocenza convenzionalmente sancita“ [49]. Al riguardo, il Governo ha sostenuto che non si sia integrata la predetta violazione e che quindi il richiamo risulti non pertinente e inadeguato in quanto è carente il presupposto della intervenuta condanna, per il reato di diffamazione [50]. Piuttosto, si considerino l’assoluzione del g.u.p. non impugnata dal P.M. e l’autonomia della responsabilità extrapenale, quella civile, cosicché la doglianza appare inammissibile. Neppure l’interesse processuale del ricorrente si riesce a cogliere, chiaramente.    La Corte, con un lessico elevato apprezzabile, definisce la Convenzione “strumento di protezione degli esseri umani”, precisando che le relative disposizioni devono essere “intese e applicate in modo da rendere le loro esigenze concrete ed efficaci (si veda, in particolare, Soering c. Regno Unito, 7 luglio 1989, § 87, serie A n. 161, e Al-Skeini e altri c. Regno Unito [GC], n. 55721/07, § 162, CEDU 2011)”, ciò che vale “per il diritto ai sensi dell’articolo 6 § 2 (si veda, per [continua ..]


7. Doppia tutela. La “rilevanza della residualità” fissata in un margine processuale

Il ricorrente reputa che sia avvenuta una lesione del suo diritto alla presunzione di innocenza e la Corte accende un focus sulla denuncia secondo l’art. 6 § 2 della Convenzione. Esplorando il sistema italiano, mette in luce l’allestimento di una doppia tutela: la vittima di un reato [55] può scegliere per ottenere, una restituzione o una riparazione, o la via civilistica oppure l’innesto l’azione civile nel processo penale. La prima si intraprende principaliter, la seconda ha carattere accessorio [56] e il rapporto le due vie è regolato, fondamentalmente, dall’art. 75 c.p.p. Tale tutela della parte civile non è solo monolivello, che si ferma cioè alla “prima cognizione (prima cognitio) del giudice inferiore sul delitto” [57], bensì nel linguaggio della Corte e.d.u. tale parte può “ricorrere in appello contro la sentenza di assoluzione in primo grado. Il procedimento continua così in appello davanti al “giudice penale” ma solo per gli effetti civili del reato”. A questo punto la Corte e.d.u. cita, avvalendosi della relativa incidenza, le giurisdizioni superiori [58]: “secondo la Corte costituzionale, il giudice d’appello è tenuto a stabilire la responsabilità civile riesaminando gli elementi del reato ... la Corte di Cassazione ha affermato che il ricorso della parte civile non può avere altro significato che quello di una constatazione incidentale limitata agli effetti civili e che la pretesa della parte civile non pregiudica la parte penale della decisione di assoluzione passata in giudicato”. Nel filtro del Giudice delle leggi, all’orizzonte del secondo livello di giurisdizionalità sul controllo degli atti formati dal giudice della prima cognitio, emerge una sorta di “rilevanza della residualità”: una volta assolto l’imputato, in una zona di marginalità al Giudice d’appello compete l’ufficio di stabilire se il fatto, come incardinato nel ceppo dell’imputazione, integri una vicenda dannosa (danno contra ius) che obbliga il responsabile a provvedere a risarcire la vittima, soddisfatte le altre condizioni. L’attitudine e la latitudine del ricorso della parte civile sono riordinate dalla disposizione dettata all’art. 622 c.p.p. [59]. Detta norma stabilisce la regola secondo cui nell’ipotesi in [continua ..]


8. L’impugnazione e il potere di “veto” esercitato

Il libro IX del codice di procedura penale designa in esordio il suo oggetto (Impugnazioni) e, oltre ai mezzi ordinari d’impugnazione, prevede il mezzo straordinario della revisione. Ma tale libro non esaurisce la gamma dei mezzi di impugnazione, la quale comprende la richiesta di riesame dei provvedimenti in materia di misure cautelari personali o reali (art. 309 c.p.p., a cui si affianca il successivo art. 310 c.p.p., sull’appello, cambiando il raggio della devoluzione della cognizione), la richiesta di revoca della sentenza di non luogo a procedere ex art. 428 c.p.p., l’opposizione a decreto penale di condanna (art. 461 c.p.p.) [72]. L’impugnazione nell’ambito della materia convenzionale può riportarsi all’art. 2, par 1, VIII Protocollo aggiunto Cedu (Diritto a un doppio grado di giudizio in materia penale), 1. Ogni persona dichiarata colpevole da un tribunale ha il diritto di far esaminare la dichiarazione di colpevolezza o la condanna da una giurisdizione superiore. L’esercizio di tale diritto, ivi compresi i motivi per cui esso può essere esercitato, è disciplinato dalla legge. Un testo non dissimile si trova all’art. 14 par. 5, p. i. d. c.p.(Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici), secondo cui “ogni individuo condannato per un reato ha diritto a che l’accertamento della sua colpevolezza e la condanna siano riesaminati da un tribunale di seconda istanza in conformità della legge” [73]. Nel diritto interno spicca l’art. 111 Cost., comma 7, “contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale”. L’esercizio del mezzo di impugnazione è espressione di un potere d’interdizione [74]: mira a rendere reversibile il provvedimento giurisdizionale oggetto di (e soggetto a) gravame attraverso la sua riforma o il suo annullamento, in una logica di efficienza e nei limiti della ragionevolezza temporale [75]. Il corrispondente atto d’impulso è intestato ad un soggetto legittimato ed interessato che così esprime il suo potere di veto e chiede “un riesame della decisione” [76] . Nel caso di specie, il giudizio di primo grado si è celebrato con le forme di uno dei riti speciali, cc.dd. alternativi [77].


9. Meritum causae e l’azione civile “in autotutela” in appello. “Conti aperti”

La doglianza del ricorrente è specifica: di censura del riconoscimento della responsabilità civile, successivamente al riconoscimento di non avere registrato una penale responsabilità per il medesimo fatto (scriminato ex art. 51 c.p.[78], trattandosi di diritto di cronaca storica e di critica), il quale così viene valutato due volte e con esiti opposti o contraddittori. La prima declaratoria, poiché attinente alla macro-sfera penale, doveva ritenersi assorbente o poziore, cioè prevalente [79] e non svalorizzata (l’esimente dell’art. 5 cit.) per carenza probatoria di avere attribuito alla signora G.G. la responsabilità per avere inserito il nome del nonno nella lunga lista degli ostaggi destinati alla fucilazione in ipotesi di rappresaglie. A giudizio della Corte e. d. u 2021, la presunzione di innocenza di cui all’art. 6 § 2 rappresenta uno strumento di “salvaguardia procedurale nel contesto del processo penale”, a partire dall’habitus che, senza reticenze, devono avere i giudici penali rispetto all’accusa [80]. Quando questa non è sfociata in una condanna, secondariamente, il trattamento della persona assolta non può essere di residuale colpevolezza, ancorché ufficialmente non dichiarata [81], ciò che deve essere effettivamente garantito, specialmente quando è intervenuto il carattere definitivo dell’assoluzione [82] (la Corte distingue tra giudizio definitivo ed interrotto [83]). Al riguardo perfino la terminologia adottata dal decidente riveste una fondamentale importanza [84], per misurarne la compatibilità con l’art. 6 § 2, insieme alla linearità o meno della tessitura del ragionamento allestito. Il modello di un processo equo, d’altra parte, traccia la specularità di un’adeguata disamina delle richieste e dei rilievi delle parti e di una congrua e corrispondente motivazione delle decisioni giudiziarie [85], estesa al versante del materiale probatorio, della sua provvista [86]. In linea di sviluppo diacronico, solo erroneamente può ritenersi che l’iter processuale si sia concluso e definito avanti il g.u.p. di Bergamo. L’esercizio di un potere uguale e contrario a quello difensivo si è inserito con tutta la sua forza d’interdizione, rappresentata dalla parte civile che ha appellato la decisione di [continua ..]


10. Art. 10 della Convenzione sulla libertà di espressione – Il caso Belpietro (cenno)

L’autore del libro e ricorrente ha ritenuto e sostenuto che le decisioni della giurisdizione interna, che lo hanno giudicato responsabile civilmente, abbiano violato il suo diritto alla libertà di espressione, di cui è precisa manifestazione l’esercizio del suo diritto di cronaca e di critica storica. Ha invocato, quale scudo del suo dire, l’art. 10 della Convenzione: 1. Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Il reclamo non è ritenuto dalla Corte inammissibile, ai sensi dell’articolo 35 della Convenzione. Muovendo dal prepostulato che non esistono diritti assoluti-assoluti, senza confini e limiti prefissati cioè [90], quella libertà esercitata trascina con sé e attrae doveri e responsabilità ancor prima dell’in­ter­vento di restrizioni, compressioni e sanzioni esterne. Quindi, la stessa libertà nasce già come figura autolimitata, e ciò intrinsecamente a prescindere da presidi correttivi e repressivi, in funzione dell’auto­gestione potendo la parola nella sua estensione arrecare offesa e nocumento (primum non nocere). Piuttosto, la libertà di manifestazione di pensiero e libertà di coscienza è un indice denotativo e di riconoscimento degli ordinamenti democratici di tipo occidentale, il suo imprinting. Ma è la tessera, e per quanto assai importante, di un mosaico costituito dalla poliedricità della società democratica, i cui ordinamenti devono essere garanti della tenuta della sicurezza nazionale, della pubblica sicurezza, dello sviluppo ordinato dei rapporti interpersonali, prevenendo conflitti e reati e proteggendo la morale e la memoria (le due “m”). La reputazione e la riservatezza (le due “r”) [91], la dignità personale, il proprio patrimonio extraeconomico intessuto di onore e decoro, possono essere minacciati dalla libera divulgazione e dall’incontrollata circolazione di notizie. La libertà di espressione, per quanto di fonte costituzionale (art. 11), non può essere interpretata o intesa come uno scudo per celare e neutralizzare le distorsioni comunicative contra veritatem, l’abuso tipico del turpiloquio e dell’esposizione al pubblico ludibrio, e nel tempo dei social, nel cui circuito, sempre spesso più rissoso, sembra prevalere Epos su Ethos. Nel merito, il ricorrente ha precisato che [continua ..]


11. La Corte usa la tecnica del “compasso largo”, sostenuto dall’uso dell’exergasia

La Corte ricostruisce il corso delle dinamiche narrative ed evocative del libro “incriminato” (ma non al pari di “processo letterario”) [97] tracciato con un disegno “a fisarmonica”, condotto e sviluppato “a compasso largo” [98] che corre nell’ampia tessitura. Esemplificativamente, i passi sulla presunzione di non colpevolezza e sugli spazi anche autonomi riservati dai compilatori del nuovo codice di procedura penale alla parte civile specialmente dopo il giudizio di merito di primo grado, sul “marito fantoccio”, sull’inserimento in lista dei proscritti, destinati alla fucilazione, anaforicamente, sono ripresi e ripetuti più volte, secondo lo schema dell’exergasia [99]. Un impianto espositivo a trama circolare, a pendolo, che procede, in molteplici occasioni, con i calchi delle riprese pedisseque sfociate nella condanna [100].


12. Abbreviato, con i suoi limiti, e il mancato esame dell’imputato in appello, concluso con la reformatio in peius di una condanna civile (per la prima volta) sostanzialmente punitiva

Il processo penale incardinato in primo grado è stato celebrato secondo i tipi dei procedimenti speciali, precisamente con il primo inserito nell’elenco codicistico del libro VI, all’art. 438, denominato “giudizio abbreviato” nel binomio del sostantivo accoppiato con l’aggettivo, per ribadire la specialità del rito. Si tratta di una scelta necessariamente dell’imputato (espressione di un processo di parti), il quale monopolizza l’udienza che deve abbandonare la sua tipica destinazione di c.d. udienza filtro per diventare giudizio di merito anticipato su base dispositiva. Con l’aperta direzione del rito, l’imputato accetta di essere giudicato “allo stato degli atti” [101]. L’accusato [102] presta il consenso ad un giudizio contratto, (se non dimezzato) sul piano della prova e del conseguente accertamento inserito in un circuito accelerato o semplificato. Si tratta dell’instaurazione di un rito alternativo (tale) rispetto al paradigma del processo ordinario. Il riduzionismo riguarda l’iter e il suo epilogo, quoad poneam. La rinuncia al contraddittorio dibattimentale (ed anche a talune eccezioni) [103], come è noto, provoca l’amputazione di una fase (“bloccata” a quella intermedia dell’udienza preliminare, che non filtra l’imputazione ma la definisce in sentenza, di merito). Salta il dibattimento, di stampo accusatorio, che contiene il nucleo istruttorio. Vero è che ogni scelta processuale deve essere attentamente vagliata dall’imputato con il proprio avvocato penalista [104] in base al caso concreto, ma gli effetti ricadono esclusivamente sulla parte. Orbene, tale scelta è stata probabilmente inesatta o inadeguata in un rapporto tra “testo” (latitudine della “discolpa”, anche per l’appendice degli effetti civili e una possibile relativa condanna) e “contesto” (la platea degli strumenti difensivi avuto riguardo alla ricostruzione storica di una strage e degli antecedenti), per il risultato a cui tendeva dell’assoluzione piena. Alla stessa l’imputato pretendeva di aspirare con un rito, già in partenza, ridotto, appunto, dovendo “gestire” fatti complessi. L’elezione della categoria processuale in cui incanalare il meritum causae sembra aver penalizzato il risultato di una piena “liberatoria”, [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2022