Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

06/11/2025 - Corte di giustizia UE,  C798/23,  9 ottobre 2025

argomento: corti europee

Keywords: cooperazione giudiziaria europea - mandato d - rifiuto di consegna - condannati in contumacia - decisioni prese al termine del processo - nozione comprensiva anche della decisione di conversione di una pena accessoria in una pena privativa della libertà

Corte di giustizia UE,  C798/23,  9 ottobre 2025

Parole chiave: cooperazione giudiziaria in materia penale - mandato d’arresto europeo -  rifiuto di consegna - condannati in contumacia  - decisioni prese al termine di un processo - nozione comprensiva anche della decisione di conversione di una pena accessoria in pena privativa della libertà  

La richiesta di pronuncia pregiudiziale proveniente dalla Corte suprema irlandese  è tesa alla corretta individuazione dell’ambito operativo dell’art. 4 bis,  paragrafo 1, della disciplina sul mandato d’arresto europeo (Decisioni quadro 2002/584/GAI e 2009/299/GAI). La disposizione, intitolata «Decisioni pronunciate al termine di un processo a cui l’interessato non è comparso personalmente», riguarda le persone di cui è chiesta la consegna a  seguito di una condanna emessa in contumacia, per le quali, salvo casi tassativamente indicati nella disposizione medesima, lo Stato richiesto della consegna può opporre rifiuto di esecuzione. Tale rifiuto in quanto derogatorio del generale principio di esecuzione del mandato d’arresto, va interpretato in modo restrittivo.   Nel caso esaminato, la circostanza per cui la misura privativa della libertà cui sottoporre la persona ricercata, derivava dalla conversione di un periodo non scontato di pena accessoria di sottoposizione a sorveglianza di polizia, comminata in aggiunta a quella detentiva principale, induce  il giudice del rinvio  a dubitare che il  procedimento  nel quale era stata  disposta la conversione potesse ricondursi  alla nozione di «processo terminato con la decisione», ai sensi dell’art. 4 bis. Per il giudice del rinvio, infatti, il giudice lettone  deliberando senza avere alcun margine di discrezionalità  in ordine al quantum  della pena irrogabile, si è limitato a conteggiare due giorni di sorveglianza di polizia di cui erano state violate le condizioni, come un giorno di privazione della libertà. Di qui la ritenuta  assimilazione di tale decisione alla revoca della sospensione della esecuzione di una pena privativa della libertà inflitta in precedenza, che, come sostenuto dalla Corte del Lussemburgo, esula dall’ambito applicativo dell’art. 4 bis. Secondo la giurisprudenza europea, infatti,  la decisione per essere tale,  deve riguardare la natura della pena  o incidere sulla sua durata, oltre alla possibilità per l’autorità decidente di esercitare una qualche forma di discrezionalità.  Nel caso esaminato - osserva  la Corte di Giustizia - in base al diritto nazionale dello  Stato emittente, la decisione di sottoposizione a sorveglianza di polizia costituisce,  per sua natura, sempre  una pena accessoria a una pena privativa della libertà; di conseguenza, poiché il soggetto era stato precedentemente condannato a una pena detentiva accompagnata da una pena accessoria di sorveglianza di polizia,  cui è stato sottoposto dopo aver scontato interamente la prima, non può ritenersi che la decisione di conversione dei due giorni di sorveglianza non scontati con un giorno di privazione della libertà, riguardi l’esecuzione o l’applicazione della pena detentiva principale irrogata in precedenza. Essa costituisce, al contrario, una nuova decisione che infligge una pena privativa della libertà cui l’interessato non era stato fino a quel momento condannato. Il procedimento relativo alla conversione della pena che ha portato a una  privazione della libertà, benché prevedibile data l’inosservanza delle prescrizioni relative al regime di sorveglianza di polizia, non faceva parte, in quanto tale,  della condanna iniziale tanto da imporre la pronuncia di una nuova condanna che si è sostituita alla prima.  Per queste ragioni si afferma che l’art. 41 bis deve essere interpretato nel senso che la nozione di processo terminato con decisione ricomprende anche il procedimento con cui il giudice nazionale può disporre, data la violazione delle condizioni contemplate dalla pena accessoria inflitta all’interessato in aggiunta a una pena privativa della libertà,    la conversione del periodo non scontato di tale pena accessoria in una pena detentiva.