Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Corte costituzionale, sent. 20 maggio 2019, n. 132 – Pres. Lattanzi, Rel. Viganò

L’esperienza maturata in trent’anni di vita del vigente codice di procedura penale restituisce una realtà assai lontana dal modello ideale immaginato dal legislatore. I dibattimenti che si concludono nell’arco di un’unica udienza sono l’eccezione. In una simile situazione, il principio di immediatezza rischia di divenire un mero simulacro. Inoltre la dilatazione dei tempi processuali che deriva dalla necessità di riconvocare i testimoni produce costi significativi, in termini tanto di ragionevole durata, quanto di efficiente amministrazione della giustizia penale. Si ritiene pertanto doveroso sollecitare l’adozione di rimedi strutturali attraverso la previsione legislativa di ragionevoli deroghe alla regola dell’identità tra giudice avanti al quale si forma la prova e giudice che decide. Al riguardo occorre considerare che il diritto alla nuova audizione di fronte al mutato collegio «non è assoluto, ma “modulabile” (entro limiti di ragionevolezza) dal legislatore».

[Omissis]   RITENUTO IN FATTO   1. – Con ordinanza del 12 marzo 2018 il Tribunale ordinario di Siracusa, sezione unica penale, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 511, 525, comma 2, e 526, comma 1, del codice di procedura penale, chiedendo a questa Corte di valutare «se i medesimi siano costituzionalmente illegittimi in relazione all’art. 111 della Costituzione, se interpretati nel senso che ad ogni mutamento della persona fisica di un giudice, la prova possa ritenersi legittimamente assunta solo se i testimoni già sentiti nel dibattimento, depongano nuovamente in aula davanti al giudice-persona fisica che deve deliberare sulle medesime circostanze o se invece ciò debba avvenire solo allorquando non siano violati i principi costituzionali della effettività e della ragionevole durata del processo». L’ordinanza di rimessione è stata pronunciata nel processo penale a carico di P.S. V., B. S., G. S. e F. S., dirigenti aziendali imputati dei delitti di cui agli artt. 416 (associazione per delinquere), 340 (interruzione di ufficio, servizio pubblico o servizio di pubblica necessità) e 629 (estorsione) del codice penale (quest’ultimo – nella prospettiva accusatoria – commesso in danno di diversi lavoratori dipendenti). 2. – In punto di rilevanza delle questioni, il giudice rimettente espone anzitutto: – che nel processo a quo, dopo la costituzione delle parti civili, avvenuta alle udienze del 6 dicembre 2007 e del 12 giugno 2008, l’istruzione dibattimentale si è svolta, mediante escussione dei testimoni, alle udienze del 17 giugno 2010, del 18 novembre 2010, del 26 maggio 2011, del 29 settembre 2011 e del 26 gennaio 2012; – che, dopo un primo mutamento della composizione del collegio giudicante, stante il mancato consenso dei difensori degli imputati alla lettura, ai sensi dell’art. 511 cod. proc. pen., dei verbali delle deposizioni testimoniali già assunte in dibattimento, si è reso necessario disporre la rinnovazione dell’escussione testimoniale; – che altri testimoni sono stati sentiti alle udienze del 18 marzo 2013, del 13 maggio 2013 e del 27 gennaio 2014; – che è poi intervenuto un ulteriore mutamento della composizione dell’organo giudicante, così che l’escussione dei testimoni è stata ripetuta all’udienza del 16 marzo 2015; – che, successivamente, la composizione del collegio è mutata più volte, con conseguente necessità di rinnovare – fino a sei volte – l’escussione dei testimoni. Osserva a questo punto il giudice a quo che, a seguito dell’ennesimo mutamento dell’organo giudicante, e dell’opposizione dei difensori degli imputati – espressa all’udienza del 5 febbraio 2018 – alla lettura delle dichiarazioni testimoniali [continua..]

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Fascicolo 1 - 2020