Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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La messa alla prova per adulti 'resiste' al vaglio della Corte costituzionale (Corte costituzionale, sentenza 27 aprile 2018, n. 91)


Corte costituzionale, sentenza 27 aprile 2018, n. 91 – Pres. e Red. Lattanzi

Il giudice della messa alla prova, in fase di delibazione preliminare, può recuperare gli atti di indagine contenuti nel fascicolo del pubblico ministero mediante l'interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 135 disp. att. c.p.p. Il consenso dell’imputato – quale condizione necessaria per accedere al rito della messa alla prova – salva la tenuta costituzionale del principio di presunzione di innocenza, mediante un bilanciamento degli interessi che pone come prerogativa il diritto di difesa. La legittimità dell'istituto della messa alla prova é, altresì, confermata dalla natura non penale del trattamento di programma, ancorato, in un giudizio senza accertamento e senza condanna, alla centralità del consenso.

[Omissis] RITENUTO IN FATTO – Con ordinanza del 16 dicembre 2016 (r.o. n. 81 del 2017), il Tribunale ordinario di Grosseto, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 111, sesto comma, 25, secondo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 464-quater, comma 1, del codice di procedura penale, «nella parte in cui non prevede che il giudice del dibattimento, ai fini della cognizione occorrente ad ogni decisione di merito da assumere nel [procedimento speciale di messa alla prova], proceda alla acquisizione e valutazione degli atti delle indagini preliminari restituendoli per l’ulteriore corso in caso di pronuncia negativa sulla concessione o sull’esito della messa alla prova». Con la medesima ordinanza, il giudice a quo ha sollevato, in riferimento all’art. 25, secondo comma, Cost., una questione di legittimità costituzionale dell’art. 168-bis, secondo e terzo comma, del codice penale, «in quanto prevede la applicazione di sanzioni penali non legalmente determinabili», nonché, in riferimento agli artt. 97, 101 e 111, secondo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 464-quater, comma 4, cod. proc. pen., «nella parte in cui prevede il consenso dell’imputato quale condizione meramente potestativa di efficacia del provvedimento giurisdizionale recante modificazione o integrazione del programma di trattamento». Il Tribunale rimettente ha infine sollevato, in riferimento all’art. 27, secondo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale degli artt. 464-quater e 464-quinquies cod. proc. pen., «in quanto prevedono la irrogazione ed espiazione di sanzioni penali senza che risulti pronunciata né di regola pronunciabile alcuna condanna definitiva o non definitiva». Il giudice a quo premette di aver già sollevato le medesime questioni di legittimità costituzionale con tre ordinanze del 10 marzo 2015 di identico contenuto (r.o. n. 157, n. 158 e n. 159 del 2015), questioni che sono state però dichiarate manifestamente inammissibili con l’ordinanza n. 237 del 2016 di questa Corte, per insufficiente descrizione della fattispecie e, conseguentemente, per difetto di motivazione sulla loro rilevanza nei giudizi a quibus. «In ossequio ai dettami della Corte» e al fine di sopperire ai precedenti profili di inammissibilità, il Tribunale rimettente chiarisce di essere investito, «in funzione di giudice della cognizione in primo grado», di sette procedimenti penali riuniti, indicando specificamente i reati per cui procede a carico di ciascun imputato e le condotte contestate. Il giudice a quo poi specifica di essere pervenuto «allo stadio della pronuncia sul merito di ciascuna istanza di messa alla prova ritualmente presentata» dagli [continua..]

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Fascicolo 6 - 2018