Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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Le Sezioni unite tracciano i confini delle nuove contestazioni nel giudizio abbreviato: una lettura finalmente conforme alla littera e alla ratio legis (di Barbara Lavarini, Professore associato – Università degli Studi di Torino)


Le Sezioni unite chiariscono definitivamente che nuove contestazioni sono ammesse, nel giudizio abbreviato, nei soli limiti in cui scaturiscano dalle prove integrative acquisite, a norma degli artt. 438, comma 5, e 441, comma 5, c.p.p. nello stesso giudizio, e non – di conseguenza – ove si fondino su una mera rivalutazione del compendio probatorio già in atti al momento della conversione del rito. Tale soluzione, oltre a risultare pienamente conforme alla littera legis – laddove vieta l’emendatio libelli quando il rito non sia “probatoriamente integrato” – è pienamente coerente con la composita ratio alla base del divieto stesso. Alcuni dubbi interpretativi permangono, tuttavia, in ordine alle situazioni che – per la Cassazione – sfuggono al divieto.

The joint Chambers of the Court of cassation identify the limits to new charges in the summary trial: an interpretation which finally complies with the letter and the rationale of the law

According to the joint Chambers of the Court of cassation, in the summary trial the prosecutor can add new charges only if they arise from new evidence not if they depend on a different evaluation of pre-existing evidence. This interpretation complies both with the letter of the law – which forbids new charges when no new evidence is entered into the summary trial – and with the complex rationale of the law. However, some questions concerning the limits of such ban remained unanswered.

Nel giudizio abbreviato sono ammesse soltanto nuove contestazioni "fisologiche" Nel giudizio abbreviato “condizionato” ex art. 438, comma 5, c.p.p., o in cui sia stata disposta un’integrazione probatoria a norma dell’art. 441, comma 5, c.p.p., è possibile procedere alla modifica dell’imputazione o a contestazioni suppletive solo in relazione a fatti che emergano dal supplemento istruttorio. [Omissis]   RITENUTO IN FATTO 1. All’esito di indagini seguite alla denuncia della scomparsa di S.B. la polizia giudiziaria arrestava H.A. che, dopo avere ammesso il proprio coinvolgimento nella vicenda omicidiaria, indicava, nell’immediatezza il luogo ove aveva occultato il corpo della vittima, spiegando le ragioni del delitto e fornendo una personale ricostruzione del fatto. Il Pubblico Ministero, ritenuta la evidenza della prova procedeva con giudizio immediato formulando la seguente imputazione: “a) del delitto di cui all’art. 575 c.p., perchè cagionava la morte di S.B., causata da multiple fratture della volta cranica-anteriore e della fossa cranica anteriore con conseguente sfacelo cranio-encefalico. “b) del delitto di cui all’art. 423 c.p., perchè cagionava l’incendio del veicolo targato (…) di proprietà di S.B., con l’aggravante di cui all’art. 61 n. 2 c.p. per avere commesso il fatto per assicurarsi l’impunità del reato sub a); Fatti commessi in Terni il 18.5.2016” Introdotto il giudizio immediato ex art. 455 c.p.p., seguiva la richiesta dell’imputato di procedere con il rito abbreviato condizionato al compimento di accertamenti peritali sui telefoni cellulari e all’audizione di un testimone; il giudice ammetteva le prove richieste, disponendo di ufficio anche l’audizione del consulente medico del pubblico ministero; quest’ultimo contestava poi, all’imputato, in via suppletiva, l’ulteriore reato di occultamento di cadavere (art. 412 c.p.), nonchè, con riferimento al delitto di omicidio, le circostanze aggravanti dei motivi abbietti (art. 61, comma 1, n. 1, c.p.), di avere adoperato sevizie (art. 61, comma 1, n. 4, c.p.) e di avere agito con premeditazione (art. 577, comma 1, n. 3, c.p.). La difesa denunciava ex art. 441-bis c.p.p. l’inammissibilità della contestazione suppletiva argomentando che nel corso del giudizio abbreviato non era emersa alcuna circostanza nuova ed ulteriore rispetto a quanto già noto al pubblico ministero al momento della formulazione dell’imputazione originaria. Con ordinanza del 24 ottobre 2016 il giudice respingeva le censure della difesa, disponeva la prosecuzione del giudizio anche in relazione alle nuove contestazioni formulate dalla pubblica accusa e, esclusa la aggravante di cui all’art. 61 n. 4 c.p. e derubricato il delitto di cui al capo b) in danneggiamento aggravato [continua..]

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SOMMARIO:

1. Premessa: una questione interpretativa che non avrebbe avuto ragione di porsi - 2. L’iter argomentativo delle Sezioni unite - 3. La ratio del divieto di nuove contestazioni, fra tutela del diritto di difesa, esigenza di “lealtà processuale” del pubblico ministero e premialità - 4. Qualche incertezza sui limiti del divieto - NOTE


1. Premessa: una questione interpretativa che non avrebbe avuto ragione di porsi

Apparivano sin dall’origine chiarissimi, sulla base della littera legis e di elementari canoni di interpretazione logico-sistematica, i presupposti per legittimamente procedere, nel giudizio abbreviato “novellato” dalla l. 16 dicembre 1999, n. 479 (e dal di poco successivo d.l. 7 aprile 2000, n. 82, conv. in l. 5 giugno 2000, n. 144 [1]), alla modifica dell’imputazione o a contestazioni suppletive. Dato il rapporto di regola/eccezione fra il divieto di nuove contestazioni sancito, sul piano generale [2], dall’art. 441, comma 1, c.p.p. [3], e la possibilità di effettuarle, invece, nei casi disciplinati dagli artt. 438, comma 5, e 441, comma 5, c.p.p. – stante la clausola di salvaguardia, rispetto all’applicabilità del­l’art. 423 c.p.p., inclusa in queste ultime disposizioni [4] –, non sembrava potersi dubitare – come rilevato dalla pressoché unanime dottrina dell’epoca [5] – del fatto che il supplemento istruttorio, seguente a richiesta “condizionata” dell’imputato o disposto dal giudice d’ufficio, dovesse «rappresentare la causa, non la mera occasione della nuova contestazione» [6], da intendersi consentita, quindi, solo se “fisiologica”, cioè scaturente dal novum probatorio. Se, al contrario, nel giudizio speciale “probatoriamente integrato” si fossero ammesse anche contestazioni “patologiche” – cioè fondate su una rivalutazione del materiale cognitivo preesistente alla conversione del rito – [7], la scelta, di vietare interventi sul­l’im­putazione fuori dei casi di supplemento istruttorio, sarebbe rimasta del tutto inspiegabile [8]. Ciononostante la prevalente giurisprudenza, mutuando acriticamente gli orientamenti seguiti – in tema di nuove contestazioni “patologiche” – con riguardo all’udienza preliminare e al dibattimento [9], si orientava proprio in questa seconda direzione [10], spingendosi talora ad affermare – addirittura –, da un lato, la legittimità di siffatte contestazioni anche a fronte della mera ammissione della prova integrativa, non seguita dalla relativa acquisizione [11], dall’altro – in palese spregio della littera legis e del diritto di difesa – [continua ..]


2. L’iter argomentativo delle Sezioni unite

A detta della Cassazione la regola, ex art. 441, comma 1, c.p.p., che vieta nel giudizio abbreviato le nuove contestazioni di cui all’art. 423 c.p.p. – a pena di nullità generale a regime intermedio, ex artt. 178 lett. c) e 180 c.p.p., della sentenza che definisce il rito [21] –, rappresenta, «unitamente alla rinuncia da parte dell’imputato alla formazione della prova in contraddittorio» in cambio di una riduzione sanzionatoria, «il tratto distintivo proprio del rito abbreviato», presente ab origine nella relativa disciplina, e in più occasioni reputato conforme a Costituzione [22]. Una limitata possibilità di superare il divieto è stata introdotta, dal legislatore del 1999, solo allorché il rito speciale ha perso l’originaria rigidità, prestandosi – attraverso i “canali” ex artt. 438, comma 5, e 441, comma 5, c.p.p. – a limitati ampliamenti della base cognitiva: ciò sul presupposto, appunto, che proprio dall’«immissione di materiale istruttorio “nuovo” rispetto a quello già presente in atti» possa nascere l’esigenza di “varianti imputative”. Secondo le Sezioni unite, è dunque dalla lettura sistematica di tutte le norme sopracitate che può trarsi la soluzione della questione. Sebbene possa sostenersi, infatti, che la lettera dell’art. 423 c.p.p. – legittimando la modifica dell’imputazione quando un fatto diverso, un reato concorrente o una circostanza aggravante emerga «nel corso dell’udienza» – di per sé non precluda una nuova contestazione “patologica”, deve prendersi atto che tale via esegetica, percorribile – e percorsa – per l’udienza preliminare [23], non regge all’impatto con la disciplina del giudizio abbreviato, ciò che impone una diversa interpretazione della disposizione, conforme «alle peculiarità del rito». In questa prospettiva, occorre in primo luogo considerare che l’opzione dell’imputato per il giudizio speciale è frutto di una valutazione dello «stato degli atti», del quale è parte integrante proprio il tenore dell’imputazione elevata dal pubblico ministero. Ciò, a prescindere dal fatto che la [continua ..]


3. La ratio del divieto di nuove contestazioni, fra tutela del diritto di difesa, esigenza di “lealtà processuale” del pubblico ministero e premialità

La sentenza annotata mette definitivamente in luce come il divieto di nuove contestazioni nel rito speciale risponda ad una ratio articolata. Va innanzitutto notato come l’innegabile legame fra il divieto e la natura (tendenzialmente) “allo stato degli atti” del giudizio abbreviato – confermato dall’allentamento della preclusione solo a fronte dei supplementi istruttori ex artt. 438, comma 5, e 441, comma 5, c.p.p. – non dipenda – come si è rilevato da tempo in dottrina – da una sorta di incompatibilità “ontologica” fra nuove contestazioni e fissità del compendio probatorio [26], né – quantomeno a seguito delle “novelle” del 1999 e del 2000 – dal fatto che la struttura del rito speciale sia radicalmente preclusiva della possibilità, per l’imputato, di integrare la difesa rispetto alle varianti imputative. Il divieto si radica, piuttosto, nell’esigenza di tutelare in modo rafforzato le strategie difensive sottese all’opzione per il giudizio abbreviato – anche elevando il grado di “lealtà processuale” richiesto al pubblico ministero –, nonché di ampliare – sia pure parzialmente e indirettamente – il corredo premiale del rito, in funzione “incentivante” del relativo accesso. Sotto il primo profilo, è significativo che le Sezioni unite – sulla scia, peraltro, di un’ormai consolidata giurisprudenza costituzionale [27] – ricomprendano l’imputazione, nei termini delineati dall’organo di accusa – non importa se corretti, e a prescindere dalla riconoscibilità dell’eventuale errore –, in quello “stato degli atti” che spinge l’imputato alla specifica scelta deflativa, per trarne la conclusione che qualunque variante, ascrivibile ad un “ripensamento” del pubblico ministero anziché a mutamenti del materiale di cognizione, alteri irrimediabilmente le basi di quell’originaria opzione e con esse le garanzie difensive. Potrebbe obiettarsi che, a scongiurare un pregiudizio degli interessi difensivi, siano sufficienti i rimedi apprestati, in via alternativa, dall’art. 441-bis c.p.p., naturalmente sul presupposto – finora messo in discussione dalla giurisprudenza prevalente [28] – che se ne [continua ..]


4. Qualche incertezza sui limiti del divieto

Alcune riflessioni sono opportune, infine, in ordine alle situazioni – sopra ricordate – che per le Sezioni unite «sfuggono» al divieto di nuove contestazioni. Se appare condivisibile – ed anzi superflua, alla luce dell’art. 443 c.p.p. – la precisazione per cui il divieto non coinvolge il potere giurisdizionale di riqualificare il fatto [48], l’annotata sentenza è di più difficile decifrazione laddove riconosce all’organo d’accusa – a prescindere, parrebbe, dal fatto che il rito speciale sia o meno “probatoriamente integrato” – un limitato potere di “rettifica” dell’imputazione. Sembra oltremodo scivoloso, infatti, il crinale – individuato dalle Sezioni unite – fra la correzione di «imprecisioni contenute nell’atto di accusa e che non incidano sugli elementi essenziali dell’addebito» alla base delle scelte difensive, e la vera e propria modifica dell’imputazione, vietata ex art. 441, comma 1, c.p.p. È noto che, con riguardo all’udienza preliminare, la giurisprudenza riconosce al pubblico ministero – direttamente o su sollecitazione del giudice – ampi margini di precisazione della c.d. imputazione generica, sull’assai dubbio presupposto che tale situazione non concreti alcuna nullità dell’atto d’accusa, ma vada risolta attraverso un’applicazione estensivo/analogica dell’art. 423 c.p.p., che coprirebbe – secondo questa lettura – non soltanto il caso in cui il fatto risulti diverso da quello compiutamente descritto «in forma chiara e precisa» nell’imputazione, ma anche l’ipotesi in cui siffatta descrizione sia carente di chiarezza e precisione [49]. È allora possibile che le odierne Sezioni unite alludano proprio a quest’ultima eventualità, al quale proposito, però, ci paiono necessarie alcune puntualizzazioni. In primo luogo, la c.d imputazione generica – sulla cui emendabilità da parte del pubblico ministero può discutersi – va chiaramente distinta dall’imputazione soltanto apparente, per tale intendendosi – secondo una condivisibile giurisprudenza in linea con la prevalente dottrina – quella che ometta integralmente l’«enunciazione del fatto in relazione alla condotta tipica del [continua ..]


NOTE
Fascicolo 5 - 2020