Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Decisioni in contrasto (di Paola Corvi)


La rideterminazione della pena in fase esecutiva conseguente ad una declaratoria di incostituzionalità nel caso di integrale esecuzione della pena detentiva (Cass. Sez. I, 17 aprile 2020, n. 13072) La questione esegetica controversa, al centro della sentenza in esame, attiene al tema della rideterminazione della pena in fase esecutiva, conseguente ad una declaratoria di incostituzionalità incidente sulla misura del trattamento sanzionatorio. Le Sezioni unite hanno escluso che la formazione del giudicato possa costituire un ostacolo all’ac­co­glimento di istanze avanzate in fase esecutiva per adeguare il rapporto esecutivo ai mutamenti intervenuti nel titolo di condanna e nella sanzione inflitta. In particolare, in conformità a al disposto dell’art. 30, comma 4 l. n. 87/1953, – secondo cui, quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali – le Sezioni unite hanno riconosciuto al giudice dell’esecuzione il potere di incidere sul rapporto esecutivo anche in caso di declaratoria di incostituzionalità di una norma penale relativa al solo trattamento sanzionatorio, sebbene l’ipotesi non sia contemplata nell’art. 673 c.p.p., affermando che il limite di “impermeabilità e insensibilità del giudicato anche alla situazione di sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale della norma applicata è costituito dalla non reversibilità degli effetti”. La condizione necessaria per rideterminare la pena diviene dunque la verifica della permanenza o, meglio, del non esaurimento del rapporto esecutivo: secondo l’orientamento già espresso dalla Corte Costituzionale (con sentenze n. 127 del 1966 e n. 58 del 1967) e seguito dalle Sezioni unite se l’esecuzione è perdurante, il rapporto esecutivo non può ritenersi esaurito e risente degli effetti della norma dichiarata costituzionalmente illegittima, che dovranno essere rimossi con un intervento del giudice dell’ese­cu­zione; al contrario, qualora non vi sia più un’esecuzione pendente per il suo definitivo esaurimento, l’ordi­namento non consente l’esperimento di alcuna azione o rimedio (Cass. sez. un., 14 ottobre 2014, n. 42858). L’approdo giurisprudenziale confermato dalla giurisprudenza successiva (Cass. sez. IV, 16 marzo 2018, n. 12261; Cass. sez. V, 13 aprile 2016, n. 15362; Cass. sez. I, 22 luglio 2015, n. 32193) non ha impedito che fosse diversamente intesa la condizione necessaria per rideterminare il trattamento sanzionatorio, vale a dire la permanenza del rapporto esecutivo. Secondo un primo orientamento, nel valutare la permanenza del rapporto esecutivo occorre avere riguardo alla sola pena detentiva: il rapporto esecutivo deve ritenersi esaurito con [continua..]

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