Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Il sistema delle pene sostitutive e il favor libertatis (di Andrea Abbagnano Trione, Professore aggregato di Diritto Penale Commerciale – Università degli Studi del Molise)


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Il quadro delle pene sostitutive attorno alle quali ricalibrare le soluzioni alternative al carcere nel giudizio di cognizione è stato ampiamente rivisto dal d.lgs. n. 150/2022 ed è definito dalla semilibertà sostitutiva, dalla detenzione domiciliare sostitutiva, dal lavoro di pubblica utilità sostitutiva e dalla pena pecuniaria sostitutiva. L'applicazione e la scelta delle pene sostitutive sono informate da prospettive di minimizzazione della privazione della libertà personale e dagli scopi rieducativi. La riforma Cartabia ha introdotto un'udienza ad hoc nel corso della quale il giudice della cognizione, con l'ausilio dell’ufficio di esecuzione penale esterno, definisce il piano punitivo sostitutivo.

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The system of substitution punishments and the favor libertatis

The framework of substitute punishments around which to recalibrate the alternatives to prison in cognitive judgements was extensively revised by legislative decree 150/22 and is defined by substitute semi-freedom, substitute home detention, substitute work of public utility and substitute pecuniary punishment. The application and choice of substitute punishments are informed by prospects of minimising deprivation of personal liberty and by re-educational aims. The Cartabia reform introduced an ad hoc hearing at which the judge of cognition, with the assistance of the external penal enforcement office, defines the substitute punishment plan.

SOMMARIO:

1. La mutazione delle sanzioni sostitutive in pene sostitutive [1] - 2. Passato e presente delle pene sostitutive - 3. Il profilo identitario delle pene sostitutive - 4. La prospettiva di scopo: mitezza e individualizzazione delle pene sostitutive - 5. Le singole pene sostitutive: la semilibertà sostitutiva - 6. (Segue) La detenzione domiciliare sostitutiva - 7. (Segue) Il lavoro di pubblica utilità sostitutivo - 8. (Segue) La pena pecuniaria sostitutiva - 9. Le prescrizioni comuni alle pene sostitutive - 10. La discrezionalità nella commisurazione delle pene sostitutive - 11. Il sentencing giudiziario - 12. I limiti soggettivi alla sostituzione delle pene detentive - 13. La revoca e la conversione delle pene sostitutive - 14. L’interazione tra le pene sostitutive, la sospensione condizionale della pena e le misure alternative alla detenzione - 15. Le fattispecie di reato generate dall’inosservanza delle pene sostitutive - NOTE


1. La mutazione delle sanzioni sostitutive in pene sostitutive [1]

Con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 è stata data attuazione alla l. 27 settembre 2021, n. 134, di delega al Governo per la modifica del codice penale e per la semplificazione e la razionalizzazione del processo penale [2]. Il testo legislativo innerva nel complesso il sistema della giustizia penale, con puntiformi modifiche del codice sostanziale, di quello processuale e delle discipline che ne sono di complemento [3]. A permeare la riforma concorre l’impegno del Governo al raggiungimento degli obiettivi del “Piano nazionale di ripresa e resilienza” ovvero, la definizione tempestiva dei processi penali [4]. Obiettivo che si intende raggiungere anche tramite il riassetto delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, riqualificate come pene sostitutive delle pene detentive brevi e ampiamente riviste negli spazi, nella specie e nei contenuti [5]. La riforma della disciplina procede nella direzione di restituire effettività alle pene sostitutive anche attraverso una loro maggiore articolazione e una migliore tempistica applicativa, così intendendosi favorire la certezza della pena. Il micro-sistema delle pene sostitutive appare attraversato da un convinto afflato umanistico [6], nel quale l’idealismo rieducativo è anteposto al concorrente paradigma dell’efficienza dell’apparato giustizia. La riforma delle pene sostitutive – è stato sottolineato [7] – promette effetti positivi anche sul piano della deflazione processuale e penitenziaria. La prospettiva teleologica che fa da sfondo alla parte di “diritto sostanziale” è centrata sull’erosione del modello carcerocentrico [8]. Una riforma di “diritto sostanziale collegata al processo” [9], animata dall’idea che il “rito” non potrà mai dirsi efficiente se inefficiente ne è la sua esecuzione penale [10]. Il dato fondativo della riforma Cartabia è che la pena detentiva [11] non debba più costituire la pietra angolare sulla quale puntellare il sistema sanzionatorio. Il carcere reca un effetto gravemente disgregante dei legami sociali, favorisce l’assimilazione della cultura desocializzante ed è, in definitiva, un costo sociale piuttosto che una risorsa. Nello specifico, con il varo della novella fa ingresso nel codice penale l’art. 20-bis, dal titolo: pene sostitutive [continua ..]


2. Passato e presente delle pene sostitutive

L’introduzione delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, con la l. 24 novembre 1981, n. 689, portava a compimento il disegno legislativo già declinato nell’ordinamento penitenziario dalle misure alternative alla detenzione (l. 26 luglio 1975, n. 354). La conversione delle pene detentive di breve durata si riprometteva di scongiurare i ben noti effetti desocializzanti del carcere. Lo schema legislativo era addensato su di una sequenza di soluzioni extra-carcerarie a disposizione del giudice e su di un corrispondente incremento dei relativi poteri discrezionali. Nel modello originario, le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi orbitavano attorno alla semidetenzione, alla libertà controllata ed alla pena pecuniaria. Il giudice, quando irrogava una pena detentiva entro il limite di sei mesi, poteva convertirla in una qualsiasi delle sanzioni sostitutive; per le pene superiori a sei mesi ma non eccedenti l’anno, poteva sostituirla con la semidetenzione o con la libertà controllata [15]; quando la pena superava l’anno, ma non i due, aveva a disposizione la misura della semidetenzione [16]. Le criticità dell’assetto disciplinare [17], anche in rapporto alla frequente sovrapposizione delle sanzioni sostitutive con la concorrente misura della sospensione condizionale della pena, rendevano indifferibili “radicali correzioni di rotta” [18]. La riforma Cartabia, «lasciando in piedi il contenitore ed intervenendo profondamente sul contenuto» [19], dà ingresso a strumenti inquadrati in altre aree dell’apparato sanzionatorio dove è stata offerta prova di migliore riuscita. Il restyling delle sanzioni sostitutive alle pene detentive brevi ha preso le mosse dalla soppressione della semidetenzione e della libertà controllata, dal recupero funzionale della pena pecuniaria [20], ed è innervato, come detto, da tre nuove misure: la semilibertà, la detenzione domiciliare e il lavoro di pubblica utilità, nello spazio operativo reso più capiente, dall’in­nal­za­mento fino a quattro anni delle pene sostituibili, dando corpo ad un pluralismo punitivo che appare astrattamente funzionale a realizzare, oltre che esigenze di proporzione, il finalismo rieducativo della pena [21]. La novella normativa non ha introdotto alcun filtro selettivo sui tipi di reato ai quali [continua ..]


3. Il profilo identitario delle pene sostitutive

Alle pene sostitutive viene accordata una nuova fisionomia sul piano formale. Le stesse fanno ingresso nel codice penale, con l’inserimento dell’art. 20-bis, dopo le pene principali e le pene accessorie. Trattandosi di pene applicabili alla generalità dei reati il legislatore ha ritenuto opportuno che alla stesse venisse garantita collocazione nella parte generale del codice penale. Anche la nuova denominazione di pene sostitutive, intende sottolinearne la natura di pene “vere e proprie”  [23]. Di questo avviso era già la giurisprudenza che tendeva ad accordare alle sanzioni sostitutive natura di pene principali ed autonome, piuttosto che considerarle modalità esecutive delle pene sostituite [24]. Rimane il fatto che le pene sostitutive non assurgono a pena edittale delle singole fattispecie incriminatrici. Le pene sostitutive, è stato osservato, operano sul fronte secondario della degradazione giudiziaria o “secondaria” della risposta punitiva edittale, piuttosto che su quello principale della degradazione legislativa o “primaria” [25]. E così, la questione della loro “identità” richiede di essere risolta in rapporto alla peculiare procedura applicativa che, tuttora, ne scolpisce il volto, restituendone i caratteri di misure indirette, di stretta derivazione dalle pene principali di tipo detentivo [26]. A condizionarne la fisionomia concorre la circostanza che (fatta eccezione per la pena pecuniaria) le pene sostitutive, stante il chiaro dettato letterale dell’art. 545-bis, sono applicabili previa acquisizione del consenso del condannato: «ne viene fuori un sistema sanzionatorio sostitutivo anomalo o quantomeno singolare, che perde i caratteri tradizionali sia delle pene edittali che delle sanzioni sostitutive per acquisire quelli delle misure alternative» [27]. Ė opinione da noi condivisa che le pene sostitutive introdotte avrebbero potuto costituire “pene principali a carattere non detentivo”. Attribuire alle stesse carattere sostitutivo di quelle principali, perpetua l’intendimento che la mitigazione del rigore repressivo debba essere affidata alla discrezionalità giudiziale, così ribadendo in qualche misura il primato del carcere [28].


4. La prospettiva di scopo: mitezza e individualizzazione delle pene sostitutive

Il laboratorio della riforma, che – come è noto – ha preso le mosse dai lavori della Commissione Lattanzi, è apparso sin da subito schierato verso gli obiettivi della “integrazione sociale”. Il legislatore delegante (art. 17, lett. c, l. n. 134/2021) ha indicato al Governo di prevedere che le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi fossero vincolate a concorrere alla rieducazione del condannato, assicurando, anche attraverso opportune prescrizioni, la prevenzione del pericolo della commissione di altri reati. Proprio al fine di valorizzare questa chiara opzione teleologica è stato irrobustito il ruolo dell’UEPE [29] e sono stati resi flessibili i meccanismi di conversione e di revoca delle pene sostitutive, superando gli originari automatismi, per effetto dei quali – nel passato – immancabilmente discendeva dalla violazione di una qualsiasi “prescrizione”, la caducazione delle sanzioni sostitutive. Le linee di riforma sono state diffusamente illustrate dalla Prof.ssa Cartabia, all’epoca Ministro della Giustizia, la quale ha puntato dichiaratamente sull’arricchimento delle soluzioni sostitutive, sulla loro diversificazione in base alla gravità dei reati e alla pericolosità degli autori, sulla risocializzazione e sulla riconciliazione, da rendere effettive attraverso strutture organizzate e personale formato e specializzato [30]. Coerentemente alle indicazioni appena segnalate, il Governo è stato anche incaricato di riscrivere la norma sulla discrezionalità [31] (art. 17, lett. c, l. n. 134/2021) e, nel fare ciò, ha affidato al giudice il compito di colmare il “vuoto nei fini” [32], vincolandolo al rispetto di indici di scopo [33]. Dall’assetto emergente all’esito della delega e, segnatamente, dalla previsione di cui al secondo comma dell’art. 58, si apprezza il “manifesto ideologico” della riforma: tra le pene sostitutive il giudice sceglie quella più idonea alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato con il minor sacrificio della libertà personale, indicando i motivi che giustificano l’applicazione della pena sostitutiva e la scelta del tipo. La commisurazione viene ridisegnata in una chiave ben più aderente all’individuo in un contesto complessivo di mitezza applicativa e di favor libertatis. La [continua ..]


5. Le singole pene sostitutive: la semilibertà sostitutiva

La pena detentiva può essere sostituita dalla semilibertà sostitutiva quando il giudice irroga una condanna alla reclusione o all’arresto entro il limite dei quattro anni. Dalla trama normativa la semilibertà sostitutiva si staglia come la misura estrema cui far ricorso. Depone in tal senso il riferimento al favor libertatis di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 58, nella parte in cui viene indicato al giudice di specificare le ragioni per le quali, nell’applicare la semilibertà o la detenzione domiciliare, non ha ritenuto idonee le misure del lavoro di pubblica utilità o della pecuniaria. La medesima ratio si apprezza nella trama disciplinare della revoca (artt. 66 e 71). Come si vedrà meglio infra, l’inosservanza delle “prescrizioni” se, per un verso, comporta la revoca della pena sostitutiva accordata, al tempo stesso non attiva necessariamente la conversione della stessa nella pena sostituita, potendosi in alternativa ricorrere a pene sostitutive più gravi. Da ultimo, l’art. 70, comma 4, in tema di esecuzione delle pene sostitutive indica l’ordine progressivo della loro espiazione, con la specificazione che le pene sostitutive vengano eseguite dopo le pene detentive e, nell’ordine, la semilibertà vada eseguita prima della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità. Anche nel raccogliere l’indicazione proveniente dal legislatore [art. 17, lett. f)], il Governo ha sì mutuato la disciplina da quanto oggi previsto dall’ordinamento penitenziario per la misura alternativa alla detenzione di cui all’art. 48, l. n. 354/1975, ma con un grado di assimiliazione tendenziale e costantemente tesa a contenere le componenti afflittive. E ciò a partire dai commi 1 e 3, dell’art. 55, l. n. 689/1981, nel prevedere che la semilibertà sostitutiva obbliga a trascorrere almeno otto ore al giorno in un istituto di pena [36] e a svolgere, per la restante parte del giorno, attività di lavoro, di studio, di formazione professionale o comunque utili alla rieducazione ed al reinserimento sociale, secondo il programma di trattamento predisposto dall’ufficio di esecuzione penale esterna ed approvato dal giudice. Come è evidente, la semilibertà sostitutiva è strutturata in maniera più flessibile sia rispetto alla “semidetenzione”, di cui ha preso il [continua ..]


6. (Segue) La detenzione domiciliare sostitutiva

La detenzione domiciliare sostitutiva, disciplinata dall’art. 56, è spendibile, al pari della semilibertà sostitutiva, in relazione alle condanne che non superano i 4 anni di pena detentiva. Il legislatore ha indicato in dettaglio i luoghi dove potrà essere espiata la misura, attraverso i riferimenti contenuti al primo comma e, segnatamente, all’abitazione, ai luoghi di privata dimora, ai luoghi di cura pubblici o privati, ai luoghi di assistenza o di accoglienza ovvero alla comunità o alle case famiglia protette; ed anche alle soluzioni abitative “comunitarie” quando il condannato non ha la disponibilità di un domicilio idoneo (art. 56, comma 4). L’opportuna previsione tiene conto delle tante realtà di soggetti privi di fissa dimora e che, diversamente, non potrebbero godere di questo tipo di pena sostitutiva. La soluzione potrebbe impattare efficacemente in termini di deflazione penitenziaria, tenuto conto dei tanti detenuti, perlopiù immigrati, che non sono in grado di indicare un idoneo domicilio [39]. Una condizione posta dal legislatore è che la detenzione domiciliare non venga espiata presso un immobile occupato abusivamente, intendendosi così contrastare condotte censurabili e distoniche rispetto ad una prognosi di recupero sociale. In costanza di legge delega, avevamo espresso la preoccupazione che la tendenziale neutralità contenutistica della detenzione domiciliare non ne consentisse l’opportuna sintonizzazione con le esigenze di prevenzione e di risocializzazione che animano il progetto di rinnovamento delle pene sostitutive [40]. Il legislatore delegato ha smentito questo genere di preoccupazione andando ad arricchire di contenuto il regime di detenzione domiciliare sostitutivo. Già il consistente rinvio ai possibili luoghi di esecuzione della detenzione domiciliare sostitutiva mostra l’attitudine della misura ad adattarsi alle mutevoli esigenze del condannato «in vista non solo del suo recupero sociale, ma anche di eventuali esigenze legate alla salute, all’assistenza, alla condizione sociale o familiare, compresa la maternità» [41]. Le esigenze di reinserimento sociale sono garantite poi dal fatto che il detenuto ai domiciliari possa disporre fino a dodici ore al giorno di libertà per assolvere a esigenze familiari, di studio, di formazione professionale, di lavoro o di [continua ..]


7. (Segue) Il lavoro di pubblica utilità sostitutivo

Il portato ideologico fatto proprio dal nuovo sistema delle pene sostitutive raggiunge il suo apice con il lavoro di pubblica utilità sostitutivo, reputato strumento versatile e trasversale «per la sua genetica predisposizione a incarnare, meglio di ogni altro strumento punitivo, le più autentiche istanze di rieducazione, intesa come sintesi tra il percorso di recupero compiuto dal condannato e la sua ri-accettazione “a pieno titolo” nel tessuto sociale» [43]. Il lavoro di pubblica utilità sostitutivo, disciplinato dall’art. 56-bis, è la misura alla quale il giudice potrà fare ricorso quando la pena detentiva irrogata nel caso concreto non superi il limite di 3 anni [44]. Come è noto, l’imposizione coercitiva di una prestazione di facere passa necessariamente per una espressione di adesione da parte del destinatario, specie quando si intende promuovere un percorso virtuoso di risocializzazione. L’art. 545-bis c.p.p. dà espresso rilievo, anche per l’applicazione del lavoro di pubblica utilità, al consenso del condannato. Nel caso di specie, il legislatore delegato sembrerebbe essersi spinto anche oltre, ritenendo “necessario” che il “consenso” assuma “forme” assimilabili a quelle previste per la rinuncia all’impugnazione dal codice di rito, così ascrivendo rilevanza al fatto che la condanna al lavoro sostitutivo comporta anche la inappellabilità della sentenza. La necessità di raccogliere il consenso del condannato con particolare rigore discende anche dal fatto che il condannato a pena sostitutiva deve essere consapevole che è destinato a vedersi privato della possibilità di accedere alle misure alternative alla detenzione, vista la preclusione di cui all’art. 67 [45]. La legge delega [art. 17, lett. f)] ha indicato al Governo di adottare, ove compatibile, la disciplina sostanziale e processuale del lavoro di pubblica utilità di cui al d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, dettata per l’omonima pena (principale) irrogabile dal giudice di pace. Come si vedrà, l’omologazione è avvenuta solamente in parte. Il lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione di attività in favore della collettività, da svolgere – gratuitamente – presso lo Stato, le Regioni, le Province, le Città [continua ..]


8. (Segue) La pena pecuniaria sostitutiva

Con la revisione compiuta dalla riforma Cartabia, la pena pecuniaria sostitutiva è l’unica misura che sopravvive al passato. Nella logica di recuperarne effettività e proporzione [54], la disciplina della pena pecuniaria sostitutiva, in precedenza collocata nell’art. 53, comma 2, l. n. 689/1981, oggi trova il proprio spazio autonomo in seno all’art. 56-quater, ed ha introdotto una serie di modifiche e di temperamenti. Sul piano funzionale, è oggettivamente improbo aggregare la pena pecuniaria sostitutiva alla logica di prevenzione speciale positiva che informa il nuovo sistema delle pene sostitutive, non possedendo - la stessa - attitudini alla rieducazione [55]. È altrettanto vero che sono stati compiuti dei passi avanti per sintonizzare la pena pecuniaria sostitutiva sui principi penalistici costituzionalmente fondati. In prospettiva di “non desocializzazione” va letto il raddoppio del precedente raggio di operatività: la pena pecuniaria sostitutiva potrà essere applicata quando il giudice ritiene di dovere comminare la pena detentiva entro il limite di un anno. Quanto all’esigenze di “proporzionalità”, la delega al Governo indicava la necessità che il giudice tenesse conto della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare, evitando pene pecuniarie eccessivamente onerose. Nelle more, come è noto, con la sent. n. 28 del 1° febbraio 2022, la Corte costituzionale ha dichiarato parzialmente incostituzionale l’art. 53, comma 2, della l. n. 689/1981, riportando il tasso minimo giornaliero, sulla base del quale calcolare la conversione della pena detentiva, all’importo di 75 euro [56]. La Corte, nell’occasione, ha sottolineato come il coefficiente di conversione di 250 euro avesse finito per determinare una drastica compressione della sostituzione della pena pecuniaria e che, per converso, era necessario che il giudice avesse sempre la possibilità di adeguare la pena pecuniaria alle reali condizioni economiche del reo, ritenendo l’importo di 250 euro un indebito privilegio per i soli condannati abbienti. Concludeva la Corte: «resta ovviamente ferma la possibilità che nell’esercizio della menzionata delega di cui alla l. n. 134 del 2021 vengano individuate soluzioni diverse, e in ipotesi ancor più adeguate, a garantire la piena [continua ..]


9. Le prescrizioni comuni alle pene sostitutive

L’art. 56-ter, comma 1, è la disposizione dedicata alle “prescrizioni” comuni a complemento degli obblighi e dei doveri che discendono in via ordinaria dall’applicazione delle pene sostitutive della semilibertà, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità. Dette prescrizioni, di portata generale, sono a carattere obbligatorio e vanno a cumularsi a quelle che il giudice intende applicare, a norma dell’art. 58, in ragione delle esigenze di difesa sociale palesate dal caso concreto esaminato. All’art. 56-ter, comma 2, è prevista invece una “prescrizione” a carattere discrezionale, legata al pericolo di reiterazione di “reati contro la persona”, e che accorda al giudice la possibilità di imporre il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, con le modalità indicate dall’art. 282-ter c.p.p. Le prescrizioni prese in considerazione dall’art. 56-ter sono tutte contrassegnate dall’obiettivo di prevenire la commissione di ulteriori reati, proiettate come sono a disinnescare le condizioni che ordinariamente ne costituiscono il terreno di coltura, i.e. la detenzione di armi e la frequentazione di pregiudicati. Sono previsti limiti alla circolazione che, “di regola”, è limitata su base regionale e restrizioni nel possesso dei documenti validi per l’espatrio. Qualche riserva desta la previsione di cui al n. 3 dell’art. 56-ter, a proposito del divieto di frequentare abitualmente, oltre ai pregiudicati o persone sottoposte a misure di sicurezza, a misure di prevenzione, anche “coloro che espongano concretamente il condannato al rischio di commissione di reati”. Non vi è chi non veda come l’indicazione normativa difetti sul piano della determinatezza e si presti alle più possibili interpretazioni, esponendo al rischio di revoche arbitrarie delle pene sostitutive. Tra le opportune novità introdotte dalla riforma, va sottolineata la soppressione della prescrizione relativa alla sospensione della patente di guida, contemplata nel passato per la libertà controllata e la semidetenzione. La soluzione è in sintonia con l’esclusione dell’operatività dell’art. 120 d.lgs. n. 285/1992, concernente la sospensione della patente di guida, che il legislatore riporta in calce alle tre più gravi pene [continua ..]


10. La discrezionalità nella commisurazione delle pene sostitutive

L’esercizio della discrezionalità del giudice nella commisurazione delle pene sostitutive, come nel passato, è disciplinato dall’art. 58. Nella versione varata dalla “Cartabia”, il maggiore spessore della “discrezionalità” è rimarcato dal titolo dell’articolo: «potere discrezionale del giudice nell’applicazione e nella scelta delle pene sostitutive». Il giudicante è chiamato a sagomare dapprima la fase applicativa della pena sostitutiva e poi il diverso crinale concernente la scelta del “tipo” più congruo tra le quattro disponibili [60]. I margini operativi della discrezionalità sono delimitati dai limiti oggettivi e soggettivi di cui agli artt. 20-bis c.p. e 59, dai criteri di commisurazione della pena definiti dall’art. 133 c.p. e dagli scopi rieducativi. Chi giudica infine dovrà tener conto di eventuali alert di pericolosità sociale del reo, la cui comparsa non comporterà necessariamente la rinuncia ad avvalersi dei percorsi sostitutivi, semmai la schermatura attraverso specifiche “prescrizioni” volte a infrenare il rischio di recidiva. Il giudicante dovrà procedere ad una valutazione comparativa tra i risultati attesi in termini di recupero sociale: ove la pena sostitutiva risulti in concreto “più idonea” alla rieducazione del condannato dovrà senz’altro trovare applicazione. Delibazione quella affidata al giudice che appare alquanto scontata, posto che è inverosimile ipotizzare che la pena detentiva – sic stantibus rebus – possa sortire in chiave prognostica esiti rieducativi più fecondi della condizione “meta-carceraria” assicurata dalle attuali quattro sanzioni sostitutive. La novella attribuisce rilievo anche a esigenze di difesa sociale a fronte della possibilità di sostituire pene detentive per tipologie di reato segnate anche da consistente gravità. L’indagine sull’idoneità della pena sostitutiva dovrà essere parametrata sul pericolo di possibili recidive, anticipando alla sede cognitiva quanto normalmente viene affidato al tribunale di sorveglianza nel decidere delle misure alternative alla detenzione [61]. Le “prescrizioni” non sono quelle obbligatorie comuni di cui all’art. 56-ter, comma 1, ma obblighi e divieti che potranno assumere [continua ..]


11. Il sentencing giudiziario

L’ampia gamma di soluzioni sostitutive gemmate dal progetto Cartabia, l’approfondita visualizzazione delle problematicità individuali, l’adeguata definizione delle soluzioni trattamentali, anche di indole terapeutica, rivendicavano “tempi e spazi processuali” specifici. Il legislatore, nel rispondere a tale domanda, ha introdotto – con l’art. 545-bis c.p.p. – una fase di giudizio espressamente rivolta a “processare” le pene suscettibili di sostituzione. La disposizione stabilisce che, al ricorrere delle condizioni per la conversione della pena detentiva in una o più delle pene sostitutive, il giudice informi le parti, onde verificare l’interesse dell’imputato alla sostituzione della pena detentiva, eventualmente sospendendo il processo e fissando un’udienza ad hoc. Raccolta l’adesione del condannato [70], la fase di cognizione è dedicata alla raccolta di quante più informazioni possibili sulla persona, onde costruire un programma realmente sintonizzato sulle relative esigenze individuali. Così, ai sensi del comma 2 dell’art. 545-bis c.p.p., al fine di decidere sulla sostituzione della pena detentiva e sulla scelta del “tipo”, nonché ai fini della determinazione degli obblighi e delle prescrizioni da impartire, il giudice potrà acquisire dall’UEPE tutte le informazioni ritenute necessarie in relazione alle “condizioni di vita personale, familiare, sociale, economica e patrimoniale dell’im­putato”, per confezionare un prodotto speculare alla finalità di recupero e di reinserimento sociale. Muovendo dall’esperienza della giustizia penale minorile, da quella raramente battuta del giudice penale di pace e ancora, da quella della sospensione del processo con la messa alla prova (art. 168-bis c.p.) – istituti avvinti dallo scopo di flettere la risposta al reato in funzione della personalità e del contesto di vita del reo – prende corpo in Italia il c.d. “modello processuale bifasico” [71]. Di certo i “tempi e gli spazi processuali” necessari per rispondere in maniera adeguata alla “filosofia” che informa il modello sostitutivo di nuovo conio, rischiano di rallentare, e non di poco, l’incedere della fase giudiziale. In quanto tale, il cd. sentencing finisce per entrare in contrasto con le concorrenti [continua ..]


12. I limiti soggettivi alla sostituzione delle pene detentive

Il quadro dei presupposti di indole soggettiva per la sostituzione delle pene detentive, di cui all’art. 59, è stato notevolmente modificato all’esito della revisione normativa. Il dato di maggior rilievo proviene dalla soppressione, quale condizione ostativa alla sostituzione delle pene, della rilevanza dei precedenti penali e, segnatamente, l’aver riportato condanne a più di tre anni di pena detentiva alle quali fosse seguita entro cinque anni la commissione di un nuovo reato. I fattori ostativi sono piuttosto collegati alla commissione del reato entro tre anni dalla revoca di pene sostitutive già concesse, ovvero alla commissione di un delitto non colposo durante l’esecuzione delle medesime pene sostitutive [cfr. lett. a), art. 59]. La pena detentiva non potrà essere poi convertita in pena pecuniaria sostitutiva per i condannati ad una pena pecuniaria sostitutiva che sono risultati insolventi nei cinque anni precedenti. In questi casi, la pena sostitutiva non potrà essere applicata per il nuovo reato secondo un modello di disciplina previsto per le misure alternative alla detenzione, dall’art. 58-quater, comma 2 e 3, ord. penit. [72]. Altro fattore ostativo alla concessione delle pene sostitutive è associato al ricorrere delle condizioni per applicare una misura di sicurezza personale [ex art. 59, lett. c)], coerentemente alla prognosi insita nella situazione di pericolosità sociale del condannato. La preclusione soggettiva di cui alla lett. d) dell’art. 59 assicura, infine, il coordinamento con le condizioni ostative previste dall’ordinamento penitenziario all’accesso alle misure alternative alla detenzione, di cui all’art. 4-bis l. n. 354/1975. Le preclusioni definite dall’art. 59 non operano per gli imputati minorenni, in armonia con un rigore che ragionevolmente scema nei casi in cui l’impegno rieducativo dello Stato va implementato e la prognosi di recupero sociale della persona è ordinariamente più favorevole.


13. La revoca e la conversione delle pene sostitutive

Nella originaria disciplina, l’inosservanza anche di una soltanto delle prescrizioni imposte al condannato comportava – in modo inflessibile – la conversione del residuo di pena sostitutiva nella pena detentiva sostituita. Apprezzabili correzioni di rotta si registrano nella revisione che la “Cartabia” ha messo in campo per avversare le inosservanze trattamentali. La disciplina in argomento è compendiata nei novellati artt. 66, 71 e 72. L’inosservanza delle modalità esecutive definite dalle disposizioni sulla semilibertà sostitutiva, sulla detenzione domiciliare sostitutiva e sul lavoro di pubblica utilità sostitutivo, ovvero la violazione – che dovrà assumere i caratteri della gravità o della reiterazione – degli obblighi e delle prescrizioni ad esse inerenti, danno ragione della revoca del relativo beneficio (art. 66). Innovando rispetto al passato, il legislatore ha tuttavia previsto che la parte residua di pena da espiare potrà essere convertita tanto nella pena detentiva sostituita, quanto in un’altra pena sostitutiva, seppure più grave di quella oggetto di revoca. Qui, ancor più che altrove, si coglie l’afflato libertatis che pervade la riforma delle pene sostitutive. La soluzione a favore di un’“afflizione in libertà” (o in parziale libertà) rimane aperta persino nel caso in cui il condannato abbia trasgredito i precetti imposti dal giudice, parzialmente disattendendo l’origi­naria prognosi di meritevolezza formulata in sede di conversione della pena detentiva. La possibilità di accordare una diversa pena sostitutiva, in luogo dell’automatica riconversione nell’originaria pena detentiva, intende anche schermare il fenomeno, manifestatosi con dati concreti ed allarmanti in altri ordinamenti giuridici, della congestione carceraria “di ritorno”. A norma poi dell’art. 72, comma 3, anche la consumazione di uno dei delitti connessi alla violazione degli obblighi e dei doveri insiti nelle pene sostitutive della semilibertà, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità, tipizzati ai commi 1 e 2 dell’art. 72, comporta la revoca della pena sostitutiva, salvo che il fatto sia di lieve entità (art. 72, comma 3). Dalla trama disciplinare delle ipotesi di revoca e di conversione delle pene sostitutive spicca ancora [continua ..]


14. L’interazione tra le pene sostitutive, la sospensione condizionale della pena e le misure alternative alla detenzione

Il d. lgs. n. 150/2022, in ottemperanza alla delega, ha preso posizione sul tema della sospensione condizionale delle pene sostitutive, lungamente dibattuto dalla giurisprudenza e dalla dottrina [74]. A norma dell’art. 61-bis, le disposizioni relative alla sospensione condizionale della pena non trovano applicazione in caso di conversione della pena detentiva in pena sostitutiva: «la riforma Cartabia libera dunque le pene sostitutive dal mortale abbraccio della sospensione condizionale della pena» [75]. Si tratta di una soluzione lungamente attesa, necessaria a restituire effettività all’intero sistema delle pene sostitutive, evitando che le stesse continuino ad essere ‘fagocitate’ dalla sospensione condizionale, con la quale non sono mai riuscite a creare un appropriato collegamento sistematico [76]. Del resto, l’“effettività” della pena sostitutiva appare una scelta coerente con l’avvenuta “mitigazione”, come precisato dalla stessa Corte costituzionale – con sentenza n. 47/2014 – in occasione dell’esclusione della illegittimità costituzionale dell’art. 60 d.lgs. n. 274/2000, che sottrae le pene irrogate dal giudice di pace penale dalla possibilità di essere condizionalmente sospese. Nelle ipotesi di una condanna a pena detentiva che per entità risulti suscettibile di essere sostituita ex l. n. 689/1981, o di essere sospesa a norma dell’art. 163 c.p., dovrà essere risolto il nodo del “concorso di norme”. Il giudice, con motivazione adeguata, deciderà se disporre la sospensione condizionale della pena – eventualmente subordinata agli obblighi di cui all’art. 165 c.p. – ovvero propendere per la conversione della pena detentiva in una delle sanzioni sostitutive. Ed è del tutto verosimile che fin dove la sospensione condizionale della pena si potrà spingere, continuerà “a farla da padrona” [77]. Ci si è chiesto se la prognosi sfavorevole sui presupposti soggettivi di applicabilità della sospensione condizionale possa essere destinata a condizionare il giudizio circa la sostituzione della pena. L’inidoneità al beneficio della misura sospensiva rischia di orientare per l’incongruenza anche del trattamento sanzionatorio sostitutivo [78]. Tuttavia, il legislatore, con la sequenza lessicale [continua ..]


15. Le fattispecie di reato generate dall’inosservanza delle pene sostitutive

Il d.lgs. n. 150/2022 ha rivisto l’assetto delle fattispecie di reato legate alla violazione degli obblighi relativi alle pene sostitutive della semilibertà, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità, mutuandolo da quanto attualmente previsto dagli artt. 47-ter e 51, l. n. 354/1975 e dall’art. 56, d.lgs. n. 274/2000, inerente i reati di competenza del giudice penale di pace. La dimensione di tipicità delle fattispecie è calibrata sul fatto del condannato alla pena sostitutiva della semilibertà o della detenzione domiciliare che per più di dodici ore, senza giustificato motivo, sia rimasto assente dall’istituto di pena ovvero si sia allontanato da uno dei luoghi indicati nell’art. 56, comma 1. Per l’effetto del rinvio operato dall’art. 72 al comma 1 dell’art. 385 c.p. (evasione), il soggetto è punito con la reclusione da uno a tre anni. Ai fini della consumazione del reato di evasione, l’assenza dal domicilio per più di dodici ore, già presa in considerazione per la detenzione domiciliare speciale (art. 47-sexies, comma 2, ord. penit.), ma non per le altre forme di detenzione domiciliare (art. 47-ter, comma 8, ord. penit.), viene ora riferita a tutti i condannati alla detenzione domiciliare sostitutiva [81]. Ė prevista poi la reclusione fino a un anno per colui che senza giusto motivo non si reca nel luogo in cui deve svolgere il lavoro di pubblica utilità o che lo abbandona. Il rinvio operato dall’art. 72, comma 2, all’art. 56, in questo caso è destinato a generare un’incertezza interpretativa. Il legislatore ha utilizzato l’inciso «il condannato alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità che, senza giustificato motivo, non si reca nel luogo in cui deve svolgere il lavoro ovvero lo abbandona è punito ai sensi dell’articolo 56 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274». La formula prescelta orienta per un rinvio effettuato solamente quod poenam, e non alle modalità della condotta che tipizzano il reato previsto dall’art. 56, d.lgs. n. 274/2000. L’art. 72, comma 2 punisce il fatto di non recarsi nel luogo di lavoro ovvero l’abbandono del luogo di lavoro, mentre l’art. 56, d.lgs. n. 274/2000 individua, quali modalità di consumazione del reato, le due condotte precedentemente individuate, oltre [continua ..]


NOTE