Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Il controllo stradale sullo stato di ebbrezza tra garanzie e distorsioni applicative (di Ettore Crippa, Dottore di ricerca in Diritto processuale penale – Università degli Studi di Parma)


Il rilievo che il risultato dell'alcoltest assume nel procedimento penale per guida in stato di ebbrezza rende cruciale il rispetto delle garanzie poste a tutela del conducente. Simile esigenza pare non essere avvertita nella prassi, ove si ravvisano diversi tentativi di aggirare le salvaguardie difensive. L'analisi delle molteplici manovre elusive fa emergere la necessità di valorizzare il canone della legalità processuale, la cui osservanza costituisce una precondizione per l'effettività del diritto di difesa.

Roadside alcohol testing between guarantees and enforcement distortions

The prominence of the alcohol test result in DUI criminal proceedings makes it crucial to respect the safeguards established to protect drivers. Such a need seems to be unperceived in practice, where there are several attempts to circumvent defensive safeguards. The analysis of the multiple circumvention manoeuvres highlights the need to enhance the principle of procedural legality, compliance with which is a precondition for the effectiveness of the right of defence.

SOMMARIO:

1. Le insidie della prassi - 2. L’accertamento alcolemico come atto d’indagine - 3. Il corredo di garanzie difensive - 4. La prassi in tema di mancato avviso ex art. 114 norme att. c.p.p. - 5. L’elusione del dovere di deposito del verbale dell’alcoltest - 6. Gli effetti della violazione dell’art. 366 c.p.p. - 7. Segue: l’oggetto della declaratoria di nullità - 8. Una nuova minaccia per le garanzie difensive - 9. Per un’effettiva tutela della legalità processuale - NOTE


1. Le insidie della prassi

Si sono sempre rivelati insidiosi i tentativi di aggirare le salvaguardie difensive in materia di alcoltest [1]. Al di là di qualche matura presa di posizione [2], quando tocca verificare lo stato di ebbrezza del conducente di un veicolo, nella prassi affiora una scarsa propensione a osservare la disciplina codicistica [3]. Invero, l’inclinazione a svincolarsi dal dato positivo rappresenta una costante all’interno di un ordinamento, sì rigidamente ancorato al canone costituzionale della legalità formale, ma negativamente segnato da una «giurisprudenza legislativa», che si erge a fonte del diritto, e da una «legislazione giurisprudenziale», che ne cristallizza gli approdi [4]. Contrastare l’elusione della normativa codicistica diviene, così, esigenza primaria allorché si proceda per il reato di guida sotto l’influenza dell’alcol (art. 186 c.d.s.): essendo il procedimento «caratterizzato da un’estrema contrazione e spesso ridotto ad un unico atto che si colloca nella fase embrionale», basta misconoscere una sola garanzia per condizionarne l’esito [5].


2. L’accertamento alcolemico come atto d’indagine

Al riguardo, tocca muovere dalla natura dell’accertamento alcolemico effettuato dagli organi di polizia stradale, che, come noto, costituisce la principale modalità attraverso cui dimostrare il superamento delle soglie previste dall’art. 186, comma 2, lett. b e c, c.d.s. [6]. Più precisamente, occorre valutare se l’operazione regolata dall’art. 186, commi 3 e 4, c.d.s. integri un atto d’indagine oppure rivesta un’esclusiva natura amministrativa. Assume rilievo l’acquisizione della notizia di reato, «presupposto al cui verificarsi deve seguire l’ap­plicazione della normativa processuale penale» [7]. A segnare l’avvio delle indagini preliminari è il momento in cui il pubblico ministero o la polizia giudiziaria riceve oppure apprende di propria iniziativa un’informazione che racchiude la «rappresentazione di un fatto, determinato e non inverosimile, riconducibile in ipotesi a una fattispecie incriminatrice» (art. 335, comma 1, c.p.p.) [8]. Lo si desume dall’art. 220 norme coord. c.p.p., là dove impone di osservare le disposizioni del codice di procedura penale qualora, nel corso di attività ispettive o di vigilanza, emergano «indizi di reato» [9]. È vero che dal tenore della previsione in parola non emergono espressi riferimenti alla notitia criminis, comparendo solo il vocabolo “indizio”. Ma ciò si deve alla circostanza che l’informazione concernente un fatto penalmente illecito viene ricercata (rectius, “costruita” [10]) dagli organi ispettivi o di vigilanza e, pertanto, non può che ricavarsi da un elemento dotato di efficacia dimostrativa: per l’appunto, l’indizio [11]. Se, dunque, l’operatività del codice di procedura penale dipende dall’acquisizione della notizia di reato, non può condividersi l’assunto giurisprudenziale, ormai risalente, per il quale il controllo etilometrico ricadrebbe nell’ambito dell’attività di carattere amministrativo [12]. Del pari, presta il fianco a critiche l’orientamento, oggi prevalente, che distingue tra gli accertamenti “preliminari” e quelli eseguiti con strumenti in grado di misurare il tasso alcolemico, riconducendo nell’alveo degli atti d’indagine soltanto questi ultimi [13]. La distinzione non [continua ..]


3. Il corredo di garanzie difensive

Come noto, le norme codicistiche applicabili a entrambi i segmenti in cui è scandito il controllo alcolemico assicurano effettività al diritto di difesa e sono, perciò, presidiate da apposite invalidità. Procedendo con ordine, è evidente il carattere non solo irripetibile ma anche indifferibile dell’alcol­test, poiché l’oggetto da analizzare patisce alterazioni repentine, che non permettono di attendere l’in­ter­vento del pubblico ministero [21]. Tra l’altro, al momento della sua esecuzione, l’organo dell’accusa non ha ancora ricevuto la comunicazione della notizia di reato acquisita (art. 347 c.p.p.) e, di conseguenza, non può aver già assunto la direzione delle indagini [22]. Dunque, pur avendo natura non coattiva bensì «obbligatoria» [23], il controllo disciplinato dall’art. 186, commi 3 e 4, c.d.s. costituisce un accertamento urgente sulle persone compiuto dalla polizia giudiziaria (art. 354, comma 3, c.p.p.) [24]. Così, se, da un lato, l’atto è destinato a confluire nel fascicolo del dibattimento, dall’altro, scattano – per l’appunto – indefettibili salvaguardie difensive. Occorre, anzitutto, informare l’indagato della facoltà di farsi assistere, durante l’accertamento, da un difensore di fiducia (art. 114 norme att. c.p.p.), malgrado quest’ultimo non debba essere previamente avvisato né la polizia giudiziaria debba attenderne l’arrivo (art. 356 c.p.p.) [25]. Inoltre, le attività compiute e i relativi esiti devono essere documentati (art. 357, comma 2, lett. e, c.p.p.); il verbale va depositato nella segreteria del pubblico ministero entro il terzo giorno successivo all’accertamento; l’avviso di deposito dev’essere immediatamente notificato al difensore, che ha facoltà di esaminare ed estrarre copia della documentazione (art. 366, commi 1 e 2, c.p.p.) [26]. La normativa processuale penale, poi, tutela l’indagato anche a fronte di manovre oblique. Così, qualora la polizia giudiziaria, dietro lo schermo dei test preliminari ex art. 186, comma 3, c.d.s., ponga domande al conducente per assumere informazioni, troverà applicazione l’art. 350 c.p.p.: le dichiarazioni rilasciate senza osservare le forme previste per l’interrogatorio non saranno [continua ..]


4. La prassi in tema di mancato avviso ex art. 114 norme att. c.p.p.

È, tuttavia, profonda l’erosione che un simile e articolato corredo di garanzie subisce in sede applicativa. Lo sguardo è immediatamente rivolto agli orientamenti giurisprudenziali in ordine al mancato avviso circa la facoltà di farsi assistere dal difensore [27]. Naturalmente, la Cassazione non ha mai misconosciuto l’integrazione di una nullità a regime intermedio (art. 178, comma 1, lett. c, c.p.p.), posto che la previsione violata – l’art. 114 norme att. c.p.p. – concerne l’assistenza difensiva. Numerose pronunce, però, ritenevano applicabile l’esiguo termine di deduzione stabilito dall’art. 182, comma 2, primo periodo, c.p.p., in quanto consideravano integrata l’ipotesi in cui la «parte […] assiste» al verificarsi della violazione. La nullità, perciò, avrebbe dovuto essere dedotta dal conducente prima dell’alcoltest o – se ciò non fosse stato possibile – immediatamente dopo, altrimenti incorrendosi in una decadenza [28]. Scontato rimarcare come la persona sottoposta al controllo, sprovvista del difensore, non avesse le necessarie competenze per poter dedurre tempestivamente il vizio. Così, in forza della pretesa “sanatoria” [29], i risultati di accertamenti invalidamente compiuti avrebbero potuto essere utilizzati per la decisione e fondare la condanna. Soltanto nel 2015 le Sezioni unite sono intervenute per escludere l’operatività dell’art. 182, comma 2, primo periodo, c.p.p., in forza della condivisibile premessa secondo cui il riferimento alla «parte che assiste all’atto» allude al soggetto munito delle «conoscenze tecnico-processuali idonee ad apprezzare una violazione della legge processuale», ossia il difensore [30]. Il termine ultimo di deduzione della nullità è stato, così, correttamente individuato nella deliberazione della sentenza di primo grado (art. 180 c.p.p.) [31]. In generale, però, emerge ancora l’inclinazione a trascurare il rilievo delle forme processuali [32]. Secondo un recente indirizzo, l’avviso previsto dall’art. 114 norme att. c.p.p., ove non rivesta un’ef­fettiva utilità per l’indagato, potrebbe essere omesso senza generare la nullità dell’alcoltest. Più precisamente, il conducente che si trovi [continua ..]


5. L’elusione del dovere di deposito del verbale dell’alcoltest

Il diritto all’assistenza difensiva si proietta pure dopo il controllo alcolemico, in forza del dovere di depositare il relativo verbale nella segreteria del pubblico ministero (art. 366 c.p.p.). Nemmeno qui, però, mancano surrettizi aggiramenti del tenore normativo. Secondo un orientamento giurisprudenziale, ancora condiviso, l’obbligo di deposito non troverebbe applicazione, poiché l’alcoltest non rientrerebbe nell’alveo degli atti cui il difensore ha «diritto» di assistere ex art. 366 c.p.p.: per gli accertamenti urgenti svolti dalla polizia giudiziaria l’assistenza difensiva si configurerebbe come una mera «facoltà» (art. 356 c.p.p.) [38]. L’altro argomento portato a sostegno è di ordine pratico: nell’e­ventualità in cui il conducente non nomini alcun difensore, non si potrebbe assicurare la conoscibilità del verbale, difettando il destinatario dell’avviso di deposito [39]. Agevole la replica. Anzitutto, va osservato che, in rapporto all’assistenza difensiva durante l’atto garantito, il codice adopera i vocaboli “facoltà” e “diritto” alla stregua di sinonimi [40]. In generale, se può apparire eccessivo ritenere che «la facoltà [sia soltanto] una manifestazione del diritto soggettivo» [41], neppure vi sono solide ragioni per contrapporre i due concetti [42]. Non basta, dunque, far leva sulla lettera dell’art. 356 c.p.p. per estromettere l’alcoltest dalla categoria degli atti cui il difensore ha «diritto» di assistere ex art. 366 c.p.p. [43]. Né la peculiare condizione dell’indagato privo del difensore di fiducia può, poi, essere invocata per abbassare il livello di tutela, escludendo l’operatività del dovere di deposito: al contrario, emerge un dubbio di legittimità costituzionale della trama normativa risultante dagli art. 354, comma 3, 356 e 366, c.p.p. e 114 norme att. c.p.p., per contrasto con gli art. 3 e 24, comma 2, Cost., nella parte in cui non prevede, per l’indagato che non abbia nominato un difensore di fiducia, la designazione di un difensore d’ufficio, al quale notificare l’avviso di deposito del verbale dell’atto [44].


6. Gli effetti della violazione dell’art. 366 c.p.p.

Posta l’indefettibilità del deposito della documentazione, permangono scogli giurisprudenziali da superare. Anche il filone che riconosce l’applicazione dell’art. 366 c.p.p. ne ostacola, poi, l’effettività quando ravvisa nell’inosservanza della norma una mera irregolarità [45]. La premessa è che il tempestivo deposito e la notificazione del relativo avviso si collocano in un momento successivo all’accertamento alcolemico. La relativa omissione, dunque, non potrebbe inficiare, ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. c, c.p.p., un atto già validamente compiuto, per il quale non è neppure imposta l’assistenza del difensore [46]. Inoltre, poiché alla conclusione delle indagini preliminari è comunque assicurato il diritto di prendere visione della documentazione di tutte le attività svolte ex art. 415-bis c.p.p., nessun vulnus potrebbe discendere dal mancato espletamento degli incombenti di cui all’art. 366 c.p.p. [47]. Da simili argomenti occorre immediatamente discostarsi. Per integrare una nullità, giova ribadirlo, basta che la violazione sia astrattamente idonea a compromettere l’interesse protetto ex lege e differire arbitrariamente il deposito del verbale dell’alcoltest, al più tardi, alla fine delle indagini è condotta senz’altro in grado di ledere le prerogative difensive, non permettendo al difensore di orientare la ricerca di elementi a discarico già nel corso della fase investigativa [48]. È, poi, erroneo far leva sulla non obbligatorietà dell’assistenza difensiva durante il controllo alcolemico per considerare “innocua” la violazione dell’art. 366 c.p.p. [49]: il deposito del verbale e la notificazione del relativo avviso sono proprio volti a “compensare” la mancata partecipazione del difensore al compimento dell’atto urgente [50]. Quanto al resto, è ovvio che l’art. 366 c.p.p. non tuteli il diritto di difesa rispetto all’attività documentata. Tuttavia, il concetto di «assistenza» ex art. 178, comma 1, lett. c, c.p.p. include ogni «poter[e], facoltà e diritt[o] [attribuito al] difensore» [51], ivi comprese le «garanzi[e] post actum» (come quelle contemplate dall’art. 366 c.p.p.), strumentali al successivo e consapevole [continua ..]


7. Segue: l’oggetto della declaratoria di nullità

Poiché l’omessa discovery del verbale dell’alcoltest determina una menomazione del patrimonio conoscitivo che «si irradia su tutto il successivo iter procedimentale» [55], ci si è chiesti se considerare affetto da nullità l’elemento di prova al quale la difesa non ha potuto avere accesso (per l’appunto, i risultati del controllo alcolemico) costituisca davvero un rimedio appropriato [56]. Come alternativa, si è prospettato di privare di validità non già l’accertamento sullo stato di ebbrezza, bensì gli atti susseguenti alla violazione dell’art. 366 c.p.p. [57]. La soluzione, però, non convince. Anzitutto, risulta incompatibile con la logica della derivazione, che si fonda su un rapporto – oltreché di successione cronologica – di strumentalità tra l’adempimento non effettuato e l’atto che si assume nullo [58]. Ma permarrebbero criticità quandanche s’intendesse circoscrivere l’estensione della nullità ai soli atti che, in forza di un nesso di causalità necessaria, risultano dipendenti dall’osservanza dell’art. 366 c.p.p.: il rispetto delle formalità ivi previste non funge da presupposto per il compimento di altri atti [59]. Inoltre, la regressione del procedimento al momento in cui andava effettuato il deposito del verbale (o notificato il relativo avviso) e la conseguente rinnovazione dell’adempimento non paiono idonee a salvaguardare la ratio dell’art. 366 c.p.p., che sta nel garantire non la mera ostensione ma la tempestiva conoscibilità della documentazione [60]. Che la nullità per mancato (o tardivo) deposito del verbale dell’alcoltest (o per omessa notifica del relativo avviso) investa a posteriori l’accertamento validamente compiuto dalla polizia giudiziaria può forse apparire una forzatura. Considerare nullo tale accertamento rimane, però, l’unica via per non lasciare l’art. 366 c.p.p. senza una sanzione adeguata e, quindi, sguarnito di effettività [61]. Né vale obiettare che – così opinando – s’impedirebbe alla difesa di beneficiare dell’eventuale esito favorevole del controllo alcolemico: trattandosi di una nullità a regime intermedio, per sanare il vizio basta che l’indagato o il difensore [continua ..]


8. Una nuova minaccia per le garanzie difensive

Gli approdi raggiunti sono resi instabili da una nuova prassi che rischia di minare in profondità le garanzie previste per l’accertamento sullo stato di ebbrezza [63]. È ormai consolidata l’affermazione secondo cui l’avviso circa la facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia non necessiterebbe di essere inserito nel verbale dell’alcoltest [64]. A supporto, s’invoca la mancata previsione, da parte dell’art. 114 norme att. c.p.p., dell’obbligo di fornire l’avviso in forma scritta [65]. Si evidenzia, poi, l’impossibilità di rinvenire nel sistema una causa di nullità o di inutilizzabilità per l’incompleta documentazione degli atti indicati dall’art. 357, comma 2, c.p.p., ivi compreso il controllo alcolemico (riconducibile alla relativa lett. e) [66]. In breve, quando non ne sia stata fatta menzione nel verbale, il corretto adempimento dell’obbligo informativo sancito dall’art. 114 norme att. c.p.p. potrebbe essere dimostrato mediante la testimonianza dell’ufficiale o dell’agente di polizia giudiziaria che ha effettuato l’accertamento [67]. È chiaro, però, che, in tal caso, l’esame verterebbe su un fatto idoneo a far scattare la responsabilità disciplinare del dichiarante, ove il testimone ammetta di aver svolto l’alcoltest senza fornire l’avviso ex art. 114 norme att. c.p.p. Così, si fa concreto il rischio che l’operatore affermi di aver dato oralmente l’avviso anche qualora ciò non corrisponda al vero, tenuto conto che, sovente, «a fare da contraltare alla [sua] versione [vi è soltanto] […] la voce del conducente sottoposto ad accertamento» [68]. A tal punto, ottenere la declaratoria di nullità dell’alcoltest per mancata informazione ex art. 114 norme att. c.p.p. investirebbe la difesa di un’impresa titanica. La diffusione della prassi qui criticata si deve, in larga parte, alla debolezza degli argomenti spesi sul fronte opposto. La deposizione dell’operatore di polizia giudiziaria volta a “surrogare” l’omessa documentazione dell’avviso riguardante l’assistenza difensiva è stata ritenuta contrastante col divieto di testimonianza indiretta previsto dall’art. 195, comma 4, c.p.p. [69]. È evidente, tuttavia, come [continua ..]


9. Per un’effettiva tutela della legalità processuale

Il panorama giurisprudenziale tratteggiato, benché circoscritto ai soli controlli alcolemici eseguiti “sulla strada” [79], fa emergere con nitore la necessità di elaborare soluzioni di maggior respiro: l’in­sorgere di prassi viepiù insidiose rischia di render vano l’impegno di ricavare ogni volta dalla disciplina codicistica appositi rimedi in grado di reprimerle. Occorre abbandonare quell’esasperato efficientismo che conduce il diritto vivente a far prevalere l’obiettivo sui mezzi e a svincolarsi dal dato normativo [80]. In proposito, è bene sgombrare il campo da equivoci. L’efficienza processuale va valutata esclusivamente in relazione all’attitudine della giurisdizione penale a soddisfare il proprio scopo [81], che consiste nel «garantire i diritti individuali, che nella Costituzione trovano il loro principale riconoscimento» [82]. E l’indispensabile precondizione per l’effettiva tutela delle garanzie sta nel rispetto della legalità processuale, che pone al riparo il presunto innocente dall’arbitrio dell’autorità [83]. Aggirare le «forme» significa, dunque, svilire «valori» di rilievo costituzionale [84]: di ciò la giurisprudenza deve maturare al più presto consapevolezza, mantenendola intatta anche quando tocca compiere un atto urgente, come l’alcoltest, e le esigenze di celerità divengono pregnanti. Gli auspici, però, non bastano. È tempo di conferire linfa al canone della legalità formale, elevandolo ad autonomo parametro di legittimità costituzionale [85]. A prescindere dalla lesione di altri principi o diritti fondamentali di rango costituzionale, le norme processuali plasmate dalla creatività contra legem giurisprudenziale si pongono in insanabile frizione con l’art. 111, comma 1, Cost. Il procedimento penale, difatti, smette di essere «regolato dalla legge», quando «l’applicazione giudiziale introduce varianti spurie non corrispondenti alla descrizione tipica del precetto legale» [86]. Il sentiero è in decisa salita [87] ma, in assenza di altre vie per garantire effettività alla legalità processuale, resta doveroso intraprenderlo.


NOTE