Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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Repetita iuvant: una difesa concreta ed effettiva deve essere assicurata anche nel giudizio direttissimo (di Simone Lonati, Professore associato di Procedura penale – Università Bocconi di Milano)


La Corte costituzionale ha dovuto ribadire quanto già contenuto nell'ordinanza n. 254/1993, in tema di termine a difesa e preclusione nell’accesso ai riti alternativi nell'ambito del giudizio direttissimo, decisione apertamente disattesa dalla consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione sviluppatasi negli ultimi trenta anni. Con la pronuncia in commento il Giudice delle leggi ha riaffermato la centralità delle essenziali esigenze difensive dell'im­putato, non sacrificabili sull'altare della speditezza dei tempi processuali connaturata al rito alternativo.

Repetita iuvant: a concrete and effective defence must be ensured also in the giudizio direttissimo

The Constitutional Court had to reaffirm what had already been established in Ordinance No. 254 of 1993, regarding term of defence and preclusion of access to alternative proceedings in the context of the giudizio direttissimo, a decision openly ignored by the consolidated case law of the Court of Cassation developed over the past thirty years. With this ruling, the Constitutional Court has reaffirmed the centrality of the defendant’s essential rights that cannot be sacrificed on the altar of the expeditiousness of trial time inherent in the giudizio direttissimo itself.

Giudizio direttissimo: termine a difesa e richiesta di riti alternativi MASSIMA: È dichiarata l’illegittimità costituzionale degli artt. 451, commi 5 e 6, e 558, 7 e 8, c.p.p., in quanto interpretati nel senso che, nell’ambito del giudizio direttissimo, la concessione del termine a difesa preclude all’imputato di formulare, alla prima udienza successiva allo spirare del suddetto termine, la richiesta di giudizio abbreviato o di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 c.p.p. PROVVEDIMENTO: (Omissis) RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 13 maggio 2021, iscritta al n. 169 del registro ordinanze del 2021, il Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 451, commi 5 e 6, e 558, commi 7 e 8, del codice di procedura penale «nella parte in cui prevedono il diritto ad un termine a difesa soltanto a seguito dell’apertura del dibattimento, invece di prevedere la possibilità di accedere ai riti alternativi anche all’esito del termine a difesa eventualmente richiesto», in riferimento agli artt. 3, 24 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 3, lettera b), della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e all’art. 14, paragrafo 3, lettera b), del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881. 1.1. Il rimettente riferisce di doversi pronunciare, nel procedimento a carico di G. P. per il reato di cui all’art. 497-bis del codice penale, sulla richiesta di applicazione della pena a norma dell’art. 444 cod. proc. pen., formulata dal difensore dell’imputato all’udienza fissata per la prosecuzione del giudizio direttissimo a seguito della concessione del termine a difesa in esito alla precedente udienza di convalida dell’arresto. 2. Secondo l’ordinanza di rimessione, le disposizioni censurate sarebbero costituzionalmente illegittime, per contrasto con i riferiti parametri, nella parte in cui prevedrebbero che, nel giudizio direttissimo, il termine a difesa venga concesso all’imputato solo a seguito dell’apertura del dibattimento, con la conseguente preclusione per la richiesta di riti alternativi nella prima udienza successiva al suddetto termine. 2.1. In punto di rilevanza, l’ordinanza di rimessione ritiene che tali disposizioni potrebbero essere «in astratto» interpretate in modo conforme ai principi costituzionali in materia di diritto di difesa, sulla scorta di quanto affermato da questa Corte nell’ordinanza n. 254 del 1993 in relazione al rito allora vigente di fronte al pretore, nella sostanza coincidente con quello oggi disciplinato per i procedimenti dinnanzi al tribunale in composizione [continua..]

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SOMMARIO:

1. L’ordinanza della Corte costituzionale n. 254/1993 così come disattesa dalla (prevalente) giurisprudenza di legittimità successiva - 2. Il giudizio direttissimo tra esigenze di celerità e diritto di difesa - 3. La concessione del termine a difesa nel giudizio direttissimo non preclude la richiesta di riti premiali - NOTE


1. L’ordinanza della Corte costituzionale n. 254/1993 così come disattesa dalla (prevalente) giurisprudenza di legittimità successiva

Con la sentenza in commento la Corte costituzionale ha pronunciato l’illegittimità degli artt. 558, commi 7 e 8, e 451, commi 6 e 7, c.p.p., in quanto interpretati dalla consolidata giurisprudenza di legittimità «nel senso che la concessione del termine a difesa nel giudizio direttissimo preclude all’imputato di formulare, nella prima udienza successiva allo spirare del suddetto termine, la richiesta di giudizio abbreviato o di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.». La pronuncia, destinata ad avere un rilevante impatto nelle aule di giustizia, interviene sull’in­dirizzo esegetico sviluppatosi in seno al Giudice di legittimità in aperto contrasto con le indicazioni pervenute dalla stessa Corte costituzionale già con l’ordinanza n. 254/1993 [1]. Con tale decisione, relativa all’abrogato art. 566 c.p.p., la Consulta, nel dichiarare la manifesta infondatezza della questione di legittimità sollevata con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., aveva evidenziato come l’informazione sul termine a difesa di cui all’art. 451, comma 6, c.p.p. si collocasse in una fase anteriore alla formale dichiarazione di apertura del dibattimento e come «nel caso di esercizio di detta facoltà, il dibattimento, non ancora aperto, è sospeso fino all’udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine». Alla luce di tale interpretazione, la richiesta di applicazione della pena, da formularsi fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado «secondo il chiaro disposto dell’art. 446, primo comma» del Codice di rito, così come d’altronde la richiesta di giudizio abbreviato, non dovrebbe considerarsi preclusa dall’eventuale richiesta del termine a difesa da parte dell’imputato. Nonostante questo precedente, pronunciato dal Giudice delle leggi già nel 1993, la prevalente giurisprudenza di legittimità [2] ha escluso nel corso degli anni che il termine dilatorio di cui all’art. 451, comma 6, c.p.p., così come quello previsto con riferimento al rito speciale instauratosi avanti al tribunale in composizione monocratica ex art. 558, comma 7, c.p.p., possa essere utilizzato dall’imputato per riflettere sulla scelta a favore di uno dei due riti alternativi. Decisiva, in tal senso, sarebbe l’avvenuta apertura del [continua ..]


2. Il giudizio direttissimo tra esigenze di celerità e diritto di difesa

Com’è noto, il rito, per sua natura improntato ad esigenze di celerità e speditezza, è caratterizzato da una disciplina particolarmente serrata. Basti considerare, per esempio, come il rapido susseguirsi delle fasi processuali della convalida dell’arresto e dell’instaurazione del giudizio direttissimo, seppure consenta di «pervenire con immediatezza all’accertamento di responsabilità penale dell’imputato» [10], può risolversi, talvolta, anche in uno spazio di poche ore, il che rende non sempre agevole la distinzione tra la fase preliminare al dibattimento e quella propriamente del giudizio [11]. Dal punto di vista delle «sequenze» [12] del giudizio stesso, a seguito della verifica della regolare instaurazione del contraddittorio e della contestazione del capo di imputazione, che avverrà oralmente ai sensi dell’art. 451, comma 4, c.p.p. [13] salvo che si tratti di citazione scritta all’imputato libero di cui all’art. 450, comma 2, c.p.p., il Presidente del Tribunale ha l’obbligo, ai sensi dei commi 5 e 6 dell’art. 451 c.p.p., di avvisare l’imputato, rispettivamente, della facoltà di chiedere il giudizio abbreviato ovvero l’applicazione della pena su richiesta delle parti e della facoltà di richiedere un «termine per preparare la difesa non superiore a dieci giorni». Non superiore a cinque giorni è invece il termine a difesa che può essere richiesto dall’imputato nell’ambito del giudizio direttissimo davanti al tribunale in composizione monocratica, facoltà di cui deve essere avvertito ex art. 558, comma 7, c.p.p. con una previsione per il resto coincidente [14]. Ulteriore avviso, stabilito anche con riferimento al procedimento speciale che venga instaurato avanti al giudice monocratico, è quello inerente alla possibilità di formulare richiesta di giudizio abbreviato ovvero di applicazione della pena su richiesta, sancito al successivo comma 8 del medesimo art. 558 c.p.p. Così sinteticamente tratteggiata, la disciplina normativa appare non solo silente con riferimento ai tempi degli avvisi [15] ma anche ambigua con riferimento al rapporto tra gli stessi. Eppure, sotto il primo profilo, l’avvertimento sulla facoltà di richiedere uno dei procedimenti speciali deve necessariamente collocarsi [continua ..]


3. La concessione del termine a difesa nel giudizio direttissimo non preclude la richiesta di riti premiali

Alla luce della ricostruzione effettuata, la pronuncia della Corte costituzionale non può che essere accolta favorevolmente, non soltanto nel suo esito ma anche nel suo percorso argomentativo. Innanzitutto, per la Consulta, gli avvisi di cui agli artt. 451 e 558 c.p.p. assumono una natura inderogabile, costituendo imprescindibili adempimenti che l’organo giudicante deve fornire e cui è chiamato a dar seguito [24]. In secondo luogo, il Giudice delle leggi individua condivisibilmente nell’art. 24 Cost. il parametro di giudizio decisivo con riferimento al quale pronunciarsi sulla questione sollevata [25]. Richiamando alcune rilevanti pronunce della propria giurisprudenza, la Corte ha infatti ricordato come la possibilità di accedere ad uno dei riti alternativi costituisca «una modalità, tra le più qualificanti, di esercizio del diritto di difesa» [26] da parte dell’imputato e come, con specifico riferimento al giudizio abbreviato, ma con argomentazioni estensibili anche all’applicazione della pena su richiesta delle parti, «“condizione primaria per l’esercizio del diritto di difesa è che l’imputato abbia ben chiari i termini dell’accusa mossa nei suoi confronti”» [27]. D’altronde per la Consulta, proprio con riferimento al giudizio direttissimo, denotato da una disciplina particolarmente serrata con riferimento ai tempi di instaurazione del giudizio, affinché non siano sacrificate le esigenze essenziali dell’imputato sull’altare della speditezza processuale, non può «ritenersi che la scelta del rito debba necessariamente avvenire seduta stante e incognita causa, senza cioè un’adeguata ponderazione delle implicazioni che derivano da tale strategia processuale», dovendo invece il giudice «concedere il termine non solo in vista dell’approntamento della migliore difesa nella prosecuzione della fase dibattimentale, ma anche in funzione dell’esercizio consapevole della scelta sull’accesso al giudizio abbreviato e all’applicazione della pena a norma dell’art. 444 cod. proc. pen.» [28]. In definitiva, per la Corte la «necessità di una piena garanzia del diritto di difesa, che si traduce nel carattere effettivo della scelta sui riti alternativi per come assicurato dal riconoscimento di condizioni, materiali e [continua ..]


NOTE