Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Puntualizzazioni interpretative su “prova nuova” e revocazione della confisca di prevenzione (di Carla Pansini, Professoressa ordinaria di Diritto processuale penale – Università degli Studi di Napoli “Parthenope”)


L'A. ritiene che, a fronte dell’orientamento restrittivo adottato dalle sezioni unite, sarebbe più corretto comprendere nella nozione di «prove nuove» non solo le prove sopravvenute al provvedimento definitivo e quelle scoperte successivamente ad esso, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio di prevenzione per cause non addebitabili alla parte che chiede la revocazione ovvero le prove acquisite, ma non valutate neanche implicitamente.

Interpretative details on “new evidence” and revocation of forfeiture of prevention

The A. believes that, contrary to the restrictive orientation adopted by the United Sections, it would be more correct to understand the notion of “new evidence” not only the evidence which has come to light on the final decision and those which have been discovered since it was taken, but also the evidence not obtained in the previous preventive judgment for reasons not attributable to the party requesting the revocation or the evidence obtained, but not even implicitly evaluated.

Il novum probatorio rilevante ai fini della revocazione della confisca di prevenzione MASSIMA: In tema di confisca di prevenzione, la prova nuova, rilevante ai fini della revocazione della misura ex art. 28, d.lgs. n. 159/2011, è sia quella sopravvenuta alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di esso, sia quella preesistente ma incolpevolmente scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva. Non costituisce, invece, prova nuova quella deducibile e non dedotta nell’ambito del suddetto procedimento, salvo che l’interessato dimostri l’impossibilità di tempestiva deduzione per forza maggiore. PROVVEDIMENTO: (Omissis) RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 30 marzo 2021 la Corte di appello di Caltanissetta ha rigettato l’istanza di revocazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca dei beni, disposta nei confronti del proposto L.D.G. e di G.R. con decreto della Corte di appello di Palermo del 26 ottobre 2018, divenuto irrevocabile il 9 maggio 2019. 1.1. L’istanza di revocazione della confisca era stata presentata nell’interesse di L.D.G., G.R. e L.D.S. ai sensi del D.Lgs. n.159 DEL 6 settembre 2011, art. 28, in relazione ad un fabbricato catastalmente identificato con la particella 1968, sub 1, sulla base di un duplice assunto: a) il Tribunale e la Corte di appello avevano erroneamente ritenuto che la parte prevalente delle opere di edificazione fosse intervenuta in epoca coincidente con quella della pericolosità sociale del proposto, individuata a partire dagli anni 2007-2008; b) nelle decisioni di merito si era affermato, diversamente da quanto in realtà accaduto, che fino al 2006 era stata realizzata solo la struttura portante dell’immobile, mentre il completamento che lo aveva reso abitabile era temporalmente collocabile in epoca successiva. Al fine di dimostrare l’errore nella delimitazione temporale dell’attività di realizzazione dell’opera veniva allegata alla richiesta una produzione documentale basata su elementi di novità rappresentati da due aerofotogrammetrie, rispettivamente risalenti alle date del 20 agosto 2006 e del 30 maggio 2008, e da una consulenza tecnica di parte. Da tali documenti avrebbe dovuto desumersi, ad avviso degli istanti, che l’immobile sopra indicato, originariamente consistente in un magazzino, era stato trasformato ad uso residenziale mediante lavori di ristrutturazione ed ampliamento intervenuti tra il 1997 e il 2000, mentre nell’epoca ricompresa tra il 2000 ed il 2002 vi era stato realizzato un portico con un tetto a falde in struttura lignea, poggiato su pilastri in tufo “faccia a vista”. 1.2. Nel rigettare l’istanza di revocazione, la Corte di appello ha escluso la ricorrenza dell’ipotesi prevista dall’art. 28, comma 1, lett. a), D.Lgs. cit., che contempla il caso della scoperta di prove nuove [continua..]

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SOMMARIO:

1. Il caso - 2. La revocazione della confisca di prevenzione - 3. Il novum probatorio - 4. Il limite relativo alla prova noviter producta: il percorso giustificativo - 5. I termini - 6. Le riserve - NOTE


1. Il caso

La Corte d’Appello di Palermo nell’ottobre del 2018 confermava la confisca di un fabbricato, ritenendo che la parte prevalente dello stesso fosse stato costruito negli anni in cui si era manifestata la “pericolosità” del proposto, ravvisata a partire dal 2007. Contro tale decreto, divenuto irrevocabile nel maggio del 2019, veniva successivamente proposta istanza di revocazione ex art. 28 d.lgs. n. 150/2011 (c.d. codice antimafia), al fine di dimostrare l’originaria illegittimità della misura per l’assenza di una correlazione temporale tra l’incremento patrimoniale ritenuto sproporzionato e la manifestazione della “pericolosità” del proposto. I ricorrenti deducevano che l’immobile confiscato era stato completato già nel 2002, quando ancora il proposto non poteva dirsi “pericoloso” e, su tale presupposto, a sostegno della richiesta di revocazione venivano allegate: a) due aerofotogrammetrie risalenti al 2006 e al 2008; b) una consulenza tecnica di parte; c) la ricevuta del pagamento della fornitura di energia elettrica per il mese di ottobre 1999. La Corte d’Appello di Caltanissetta, tuttavia, dichiarava inammissibile l’istanza di revocazione sull’assunto che nel perimetro della locuzione “prove nuove” rilevanti ex art. 28, comma 1, lett. a), cod. ant. non possono farsi rientrare quelle di cui il proposto avrebbe potuto chiedere l’acquisizione nel processo conclusosi con il provvedimento ablatorio, ma che – come nel caso di specie, trattandosi di consulenza tecnica – ha mancato di “dedurre”. L’interessato proponeva ricorso per cassazione avverso il provvedimento dei giudici di secondo grado, ritenendo erronea l’interpretazione dagli stessi fornita sulla portata del motivo di revocazione di cui all’art. 28, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 150/2011. Rilevata l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale, la quinta sezione della Corte di cassazione rimetteva il ricorso alle Sezioni unite, sottoponendo al Supremo consesso il quesito relativo al se ai fini dell’accoglimento della richiesta di revocazione della confisca di prevenzione ex art. 28, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 150/2011 «nella nozione di “prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento” debbano includersi, o meno, anche le prove preesistenti alla definizione del giudizio [continua ..]


2. La revocazione della confisca di prevenzione

Pur senza voler approfondire in questa sede l’istituto della “revocazione della confisca” [1], sembra utile ricordare come esso, rimedio straordinario introdotto dall’art. 28 d.lgs. n. 150/2011, sia intervenuto per colmare un vuoto normativo – più volte evidenziato dalla dottrina – che precludeva la possibilità di infirmare il giudicato di prevenzione relativo alle misure ablative. I problemi applicativi collegati a questo stato di cose erano stati risolti in via interpretativa dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, ricorrendo all’applicazione nell’ipotesi de qua dell’istituto della revoca contemplata nell’art. 7 l. n. 1423/1956 con funzione analoga a quella cui, nel giudizio penale, è deputata la revisione [2], con la particolarità che la tutela era riservata unicamente ai soggetti partecipanti al procedimento e affidando all’incidente di esecuzione le pretese dei terzi estranei [3]. Orientamento, questo, formatosi in prima battuta in relazione alle misure di prevenzione personali e solo in un secondo momento esteso anche a quelle patrimoniali [4]. Tuttavia, come ricordato in un passaggio motivazionale della sentenza in commento, proprio le Sezioni unite hanno aperto la strada alle divergenze interpretative e applicative cui oggi lo stesso Massimo consesso ha dato risposta. Si era, difatti, affermato come la definitività del provvedimento precludesse la possibilità di rivalutare, attraverso lo strumento della revoca ex tunc, «atti o elementi già considerati nel procedimento di prevenzione o in esso deducibili» e, tuttavia, l’ambito di operatività della revoca era stato costruito richiamando l’istituto della revisione ex artt. 630 ss. c.p.p. e l’esegesi della relativa normativa fatta dalle sezioni unite Pisano del 2001, che aveva definito “prove nuove” rilevanti ai fini dell’art. 630, comma 1, lett. c), c.p.p. «non solo quelle sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice», slegandole altresì dalla circostanza che l’omessa conoscenza da parte del giudice potesse essere imputabile ad [continua ..]


3. Il novum probatorio

Il comma 2 dell’art. 28 d.lgs. n. 150/2011 espressamente indica quale limite della richiesta di revocazione il fine di «dimostrare il difetto originario dei presupposti per l’applicazione della misura». Ciò significa che, per evitare il rigetto dell’istanza, il novum dovrà evidenziare la legittima provenienza dei beni confiscati, che questi non fossero frutto di attività illecite o non ne costituissero il reimpiego, ovvero che il loro valore fosse assolutamente proporzionato al reddito del preposto, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito all’epoca dell’acquisizione del bene, o all’attività economica svolta dal soggetto [7]. Il giudice competente, insomma, dovrà valutare gli elementi nuovi addotti nella richiesta rapportandoli alla situazione esistente al momento dell’emissione del provvedimento, dovendo tener conto solo delle fattispecie dimostrative della carenza originaria dei presupposti della confisca e non anche delle “bonifiche” successive. Restano, così, del tutto estranee dall’ambito di operatività della revocazione patologie differenti, quali, ad esempio, quelle connesse all’iter procedimentale che ha condotto all’e­missione del provvedimento ablativo definitivo [8]. Ma il passaggio critico della nuova normativa, tuttavia, è contenuto nel comma 1 dell’art. 28, laddove, sulla falsariga di quanto previsto dall’art. 630 c.p.p. per la revisione della sentenza di condanna, si elencano tassativamente le circostanze in presenza delle quali «può essere richiesta» la revocazione della decisione definitiva sulla confisca. In particolare alla lett. a) si richiede la «scoperta di nuove prove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento» e le incertezze circa la fisionomia del novum probatorio capace di travolgere il provvedimento definitivo di confisca sono perdurate nonostante l’introduzione di questa formulazione normativa. V’è da dire che già nella sentenza Pisco del 1998 emergevano gli stessi due punti significativi ai fini della legittimazione della istanza di revoca della misura di prevenzione, ancorché riferiti a quella personale: la novità degli elementi prospettati a sostegno della richiesta e, qualora fosse lamentato il difetto genetico dei presupposti applicativi della misura di prevenzione [continua ..]


4. Il limite relativo alla prova noviter producta: il percorso giustificativo

Per giustificare il principio restrittivo da esse adottato, le sezioni unite partono da lontano, sottolineando le significative differenze sostanziali, strutturali e finalistiche che allontanano l’oggetto dei due rimedi straordinari della revisione della sentenza di condanna e della revocazione della confisca di prevenzione, anche a fronte «della similitudini che traspaiono dal raffronto con i presupposti giustificativi del rimedio revocatorio del giudicato penale» e il mezzo di impugnazione straordinario disciplinato dall’art. 28 d.lgs. n. 150/2011 [17]. Si osserva, inoltre, che il percorso evolutivo che ha portato la giurisprudenza a ricavare la “revocazione in funzione di revisione” dall’art. 7 l. n. 1423/1956 non può più considerarsi attuale, in quanto «tracciato in assenza di disposizioni normative che, anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 28 [cod. ant.] regolassero in forma specifica e completa la materia in esame». Insomma, «il quadro normativo di riferimento è mutato» e il nuovo istituto della “revocazione” «sembra evocare un’affinità con l’istituto processual-civilistico della revocazione delle sentenze pronunciate in grado di appello o in un unico grado (395 c.p.c.)». Non solo: analoga formula lessicale utilizzata dal legislatore antimafia all’art. 28 è contenuta «nella rubrica dell’art. 62 d.lgs. [n. 159/2011], sia pure in relazione ad una diversa fase processuale» e alla possibilità di chiedere in ogni tempo la revocazione del provvedimento di ammissione del credito al passivo, quando emerga che esso è stato determinato da falsità, dolo, errore essenziale di fatto o dalla mancata conoscenza di documenti decisivi che non sono stati prodotti tempestivamente per causa non imputabile al ricorrente. In entrambi i casi, insomma, per la Suprema Corte il legislatore ha espressamente dato rilevanza solo al novum probatorio che l’interessato non ha potuto produrre per causa a lui non imputabile, evidenziandosi l’inconciliabilità tra «“scoperta” successiva e precedente atteggiamento omissivo nell’allegazione degli elementi». Parallelamente a queste osservazioni, viene affermata la impossibilità di adottare una soluzione ermeneutica che estenda automaticamente alla prevenzione patrimoniale [continua ..]


5. I termini

Discorso a parte va fatto in relazione alla previsione, nel contesto dell’art. 28, comma 3, cod. ant., di un termine di decadenza di sei mesi per la proposizione della richiesta di revocazione, argomento utilizzato dalle Sezioni unite ad abundantiam per sostenere la differenza tra revisione e revocazione e giustificare il ridotto perimetro di azione della prova “nuova” in quest’ultima ipotesi. Il semestre decorre dal momento in cui si verifica la «scoperta di prove nuove decisive» e, ad avviso del Supremo consesso, proprio siffatta previsione di decadenza porta ad escludere la rilevanza della «prova introdotta nel procedimento, ma, in ipotesi, neppure implicitamente valutata», giacché tale circostanza renderebbe impossibile individuare il “dies ad quem” da cui far scattare l’operatività del termine. Lo stesso termine di decadenza sarebbe, poi, difficilmente compatibile con un precedente comportamento negligente del preposto, o con un suo atteggiamento meramente omissivo. Sicché, concludono le Sezioni unite, le prove già esistenti all’epoca del processo di prevenzione sono solo «quelle che non è stato possibile dedurvi, perché riguardanti fatti e mezzi per dimostrarli all’epoca incolpevolmente sconosciuti».


6. Le riserve

Fin qui le – tutto sommato – condivisibili argomentazioni della Corte. Residua qualche perplessità: la conclusione cui la Corte perviene mal si concilia con il corretto esercizio del diritto di difesa e del diritto, costituzionalmente garantito, alla riparazione dell’errore giudiziario, spettanti al soggetto destinatario della misura ablatoria. Nulla questio qualora questi sia rimasto inerte, non producendo la prova a lui nota nel corso del procedimento di prevenzione [20]: in un sistema processuale che valorizza il principio dispositivo in materia di prova è lecito ritenere “nuovo” qualunque elemento non acquisito, in quanto ignorato e non dedotto, purché «per cause non addebitabili alla parte che chiede la revisione». Piuttosto, le volte in cui, pur prodotta, la prova non sia stata valutata dal giudice si mette in relazione il requisito della novità unicamente con il momento dell’acquisizione della prova – e non anche con quello della valutazione – facendo ricadere sul soggetto che ha diritto alla riparazione dell’errore giudiziario, ancorché nelle forme satisfattorie “per equivalente”, comportamenti dell’organo giurisdizionale e, quindi, a lui non imputabili. Sicché, al di là della evidente forzatura ermeneutica, forse sarebbe stato più corretto intendere per «prove nuove» non solo le prove sopravvenute al provvedimento definitivo e quelle scoperte successivamente ad esso, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio di prevenzione per cause non addebitabili alla parte che chiede la revocazione ovvero le prove acquisite, ma non valutate neanche implicitamente [21]. Del resto le modifiche normative da ultimo introdotte dalla l. 17 ottobre 2017, n. 161, con l’ampliare nel procedimento di prevenzione lo spazio per l’esercizio del diritto alla prova, prima estremamente compresso dal riferimento all’applicazione, in quanto compatibili, delle disposizioni contenute nell’art. 666 c.p.p. (art. 7, comma 9, d.lgs. n. 159/2011), sembrano confermate tale conclusione. Anzi, il comma 4-bis dell’art. 7 d.lgs. n. 159/2011 prevede espressamente che «il tribunale, dopo l’accertamento della regolare costituzione delle parti» debba ammettere «le prove rilevanti, escludendo quelle vietate dalla legge o superflue», riconoscendo, così, [continua ..]


NOTE