Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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I riflessi della prescrizione del reato sulla decisione in appello per gli interessi civili (di Lorenzo Belvini, Ricercatore di Diritto processuale penale – Università degli Studi di Napoli “Parthenope”)


Le sezioni unite chiariscono la sorte della decisione sugli effetti civili qualora il giudice di appello, nel riformare la sentenza di condanna, accerti che il reato era già prescritto durante il giudizio di primo grado. L’intervento nomofilattico, nel valorizzare l’accessorietà della domanda risarcitoria all’azione penale, offre l’occasione per svolgere alcune riflessioni sistematiche sul rapporto tra le due actiones, nonché, anche alla luce dei valori europei, sull’effet­tività degli strumenti offerti alla “vittima” per ottenere il ristoro dei danni causati dal reato.

I riflessi della prescrizione del reato sulla decisione in appello per gli interessi civili

If the Appellate Court reforms the judgment of conviction, ruling that the crime was already time-barred during the trial at first instance, it must revoke the civil orders that were contained therein. The decision held by the Joint Chambers of the Supreme Court of Cassation enhances the ancillary nature of the compensatory claim to the criminal action. Moreover, it provides an opportunity to carry out some systematic reflections on the relationship between the two actiones and on the effectiveness tools offered to the “victim” to obtain compensation for damages caused by the crime.

Statuizioni civili e estinzione del reato MASSIMA: Il giudice di appello che, nel pronunciare declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, pervenga alla conclusione – sia sulla base della semplice “constatazione” di un errore nel quale sia incorso il giudice di primo grado sia per effetto di “valutazioni” difformi – che la causa estintiva è maturata prima della sentenza di primo grado, deve revocare le statuizioni civili in essa contenute. PROVVEDIMENTO: (Omissis) RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale di Palermo, con sentenza resa in data 7 aprile 2017, dichiarava (Omissis) colpevole del reato a lui ascritto al capo a) della rubrica (delitto di estorsione continuata e pluriaggravata, contestato come commesso fino al marzo 1998) e (Omissis) colpevole del reato di cui al capo e) della rubrica (delitto di tentata estorsione continuata e pluriaggravata commesso fino al dicembre 2008); per l’effetto, condannava il (Omissis) alla pena di anni sei di reclusione ed euro 900,00 di multa, riconoscendo le circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza alle aggravanti contestate e calcolando l’aumento per la continuazione, ed il (Omissis) alla pena di anni quattro di reclusione ed euro 600,00 di multa, con l’aumento per la continuazione; il (Omissis) veniva dichiarato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e legalmente interdetto durante l’espiazione delle pene, mentre il (Omissis) veniva dichiarato interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Entrambi i predetti imputati venivano inoltre condannati al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite ed in particolare, per quanto qui d’interesse, in favore di (Omissis) (persona offesa dei reati per cui veniva pronunciata la condanna) e di (Omissis). 2. Con sentenza in data 22 maggio 2019, la Corte d’appello di Palermo confermava, quanto al (Omissis), la sentenza di condanna in primo grado alla pena ritenuta di giustizia e alle statuizioni civili. Con riguardo al (Omissis), invece, la Corte territoriale, sulla base del riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 8, d.l. n. 152 del 1991 (negata dal primo giudice) e delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sull’aggravante di cui all’art. 628, terzo comma, n. 3, cod. pen., dichiarava non doversi procedere per essere il reato ascritto allo stesso (Omissis) estinto per prescrizione fin dal marzo 2013. In conseguenza di tale statuizione, la Corte di merito revocava le statuizioni civili disposte in primo grado a carico del (Omissis), essendosi il reato estinto prima dell’emissione della sentenza di primo grado. 3. Avverso la sentenza d’appello hanno presentato ricorso sia le parti civili (Omissis) e (Omissis) sia l’imputato (Omissis). Tuttavia, quanto alla posizione del (Omissis) – che nel ricorso invocava l’assoluzione dal reato ascrittogli o, in [continua..]

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SOMMARIO:

1. L’azione civile nel processo penale: frammenti di una disputa - 2. Il contrasto - 3. Accertamento in appello della prescrizione maturata in primo grado e revoca delle statuizioni civili - 4. Le ricadute sui diritti della parte civile … - 5. … e la compatibilità con le guarentigie della Cedu - NOTE


1. L’azione civile nel processo penale: frammenti di una disputa

I delicati snodi posti dall’innesto dell’azione civile nel processo penale si intersecano, nella sentenza in commento, con il più ampio tema degli effetti della decisione sul reato estinto per prescrizione [1]. Sempre più di frequente i tempi del procedimento sono incompatibili con una rapida definizione del giudizio, frustrando talvolta il diritto del danneggiato dal reato a essere ristorato dalle conseguenze negative prodotte dal fatto criminoso [2]. In tale ottica si collocano le previsioni (art. 578 c.p.p.) che – nell’intento di ponderare le contrapposte esigenze e di non vanificare le pretese risarcitorie del danneggiato – stemperano gli effetti dell’ìmpari lotta “del processo contro il tempo” [3], salvaguardando, a determinate condizioni, la decisione sugli effetti civili qualora alla sentenza di condanna di primo grado sopravvengano cause estintive del reato indipendenti dalla volontà delle parti. Tuttavia, considerato che simili meccanismi non operano quando la declaratoria di prescrizione è stata erroneamente omessa prima della sentenza di condanna, occorre stabilire se la disciplina sia in grado di contemperare gli eterogenei interessi in gioco. In tale scenario, per comprendere i risvolti sistematici delle questioni affrontate dalle sezioni unite, è opportuno tracciare in premessa un breve quadro sinottico del dibattito – alimentato anche da altre recenti decisioni pretorie [4] e dalla “riforma Cartabia” (l. 27 settembre 2021, n. 134, e d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150) – sull’opportunità di allestire limiti alle domande risarcitorie “da reato” nel processo penale. La disputa risente delle modalità con le quali è concepito l’accertamento giudiziario. Accolta la matrice “accusatoria”, il contenimento delle istanze civilistiche sembrerebbe giustificato dalla necessità di non alterare l’equilibrio tra le parti a detrimento delle garanzie difensive [5] e di evitare ampliamenti della regiudicanda che rallenterebbero i tempi del giudizio, a discapito della ragionevole durata (art. 111, comma 2, Cost.) [6]. L’intento del compilatore di scoraggiare il simultaneus processus – accordando prevalenza alla celere decisione sulla responsabilità penale rispetto ai diritti del danneggiato dal reato [7] – è [continua ..]


2. Il contrasto

Nel quadro sin qui delineato, la decisione in esame chiarisce le sorti della decisione sugli effetti civili quando il giudice di appello, nell’emendare la decisione di condanna, dichiara che il reato si era già prescritto durante il giudizio di primo grado. Sul punto si fronteggiano due orientamenti contrapposti. Secondo una tesi minoritaria, occorrerebbe distinguere l’ipotesi nella quale il giudice di prime cure ha erroneamente omesso di rilevare la prescrizione del reato, da quella in cui il verificarsi dell’evento estintivo dipende da un diverso approccio valutativo del giudice del gravame al quale consegue un’ab­breviazione del tempo necessario a prescrivere (ad esempio, escludendo la recidiva qualificata o una circostanza aggravante ovvero procedendo a una più lieve qualificazione giuridica del fatto). Nel primo caso è pacifico che il giudice di appello, nel correggere l’errore verificatosi in primo grado, debba ad ogni modo revocare le statuizioni civili, non essendo utilmente invocabile l’art. 578 c.p.p. il quale presuppone il sopravvenire della prescrizione alla sentenza di condanna validamente emessa. Nell’altra ipotesi, viceversa, la decisione sugli effetti civili sarebbe sempre dovuta, atteso che l’estin­zione del reato consegue all’esercizio di un potere discrezionale del giudice del gravame e non all’ac­certamento di un errore commesso nel precedente grado di giudizio [24]. L’indirizzo interpretativo consolidato reputa invece irragionevole il distinguo sin qui tratteggiato: l’art. 578 c.p.p. agisce solo quando alla decisione di condanna “sopravviene” la prescrizione del reato, sicché il giudice di appello è tenuto a revocare le statuizioni civili ogniqualvolta accerta che la causa estintiva preesiste alla sentenza di primo grado [25], essendo del tutto irrilevante la ragione per la quale in sede di gravame si dichiara, in via postuma, prescritto il reato.


3. Accertamento in appello della prescrizione maturata in primo grado e revoca delle statuizioni civili

Nell’aderire all’esegesi da ultimo indicata, le sezioni unite, valorizzando i principi che regolano la decisione sugli effetti civili, offrono solidi argomenti per respingere la disparità di trattamento proposta dall’orientamento minoritario. In linea generale, la sentenza di condanna costituisce il presupposto indefettibile per decidere sull’istanza risarcitoria del danneggiato da reato (art. 538 c.p.p.). Il raccordo tra le due azioni è così governato dal principio di “accessorietà” [26] che vincola il potere di esaminare le questioni civili al giudizio sulla responsabilità penale, precludendo, in caso di proscioglimento, anche per estinzione del reato (art. 531 c.p.p.), una pronuncia sulla domanda proposta dalla parte civile. Nel giudizio di impugnazione però l’accessorietà talvolta deflette in favore del canone di economia processuale [27]: il giudice di appello e la Corte di cassazione conservano il potere di decidere sugli interessi civili qualora si accerti che, a seguito della sentenza di condanna anche generica alle restituzioni o al risarcimento dei danni, il reato è estinto per amnistia o prescrizione (art. 578, comma 1, c.p.p.). Si mira in tal modo a contemperare il diritto dell’imputato a essere prosciolto con il parallelo interesse della parte civile a non veder pregiudicate le proprie pretese, evitando di costringerla ad avviare un nuovo processo nella sede naturale [28]. Considerata la natura derogatoria della previsione – circoscritta ai casi tassativamente indicati [29], insuscettibili di letture estensive [30] – un’attenta messa a fuoco degli stringenti requisiti che abilitano in sede di gravame a decidere sulle statuizioni civili (art. 578, comma 1, c.p.p.) [31] ne esclude la compatibilità con l’ipotesi della prescrizione maturata in primo grado, ma accertata a seguito di valutazioni difformi compiute dal giudice di appello. Se non v’è dubbio che l’esercizio del potere attribuito dall’art. 578, comma 1, c.p.p. è vincolato all’impugnazione della sentenza di condanna proposta dall’imputato o dal pubblico ministero [32], la questione verte sull’ulteriore presupposto che esige una “valida” pronuncia sulla responsabilità del­l’im­putato emessa nel precedente grado di giudizio. Da tale [continua ..]


4. Le ricadute sui diritti della parte civile …

Sul piano dell’effettività, potrebbe obiettarsi che l’esegesi avallata dalle sezioni unite – imponendo al giudice di appello di revocare le statuizioni civili qualora, nell’emendare la decisione di condanna, accerti che il reato si era già prescritto in primo grado – produca conseguenze nocive per la parte civile, obbligandola a riproporre la domanda nella sede naturale [42]. È innegabile che avviare un nuovo processo e sostenerne i relativi costi, senza considerare l’ine­vitabile dispendio di tempo per ottenere la decisione, costituiscano degli aspetti da tenere in considerazione nel ponderare i contrapposti interessi. Ciononostante, la soluzione adottata con l’intervento nomofilattico in commento di per sé non pregiudica i diritti del danneggiato dal reato. Quest’ultimo, infatti, nel momento in cui decide di costituirsi parte civile è consapevole che le proprie pretese sono assoggettate alle regole del processo penale, ivi incluso, il canone di accessorietà dell’azione civile all’accertamento della responsabilità dell’imputato (art. 538 c.p.p.). D’altronde, considerata la necessità di essere assistito da un difensore, la facoltà di azionare la richiesta di risarcimento dinanzi al giudice civile o a quello penale non può che essere frutto di una scelta “informata” sui benefici e gli svantaggi conseguenti alla costituzione di parte civile. Il non liquet sull’istanza risarcitoria qualora il processo si concluda con il proscioglimento dell’impu­tato è, dunque, una delle eventualità che il danneggiato, nell’adottare in maniera consapevole la miglior strategia processuale, deve valutare al fine di individuare la sede più opportuna per la tutela dei propri interessi [43]. Sul terreno dei valori fondamentali, inoltre, la scelta del legislatore di vincolare, in termini di accessorietà, l’azione civile a quella penale non pare censurabile: da un lato, essa mira ad assicurare il bilanciamento con l’esigenza di speditezza del giudizio sulla responsabilità dell’imputato [44]; dall’altro, il limite in questione non vanifica irreparabilmente il diritto di agire del danneggiato (art. 24 Cost.), restando intatto il potere di esercitare in via autonoma l’azione in sede civile [45]. Su un piano distinto, [continua ..]


5. … e la compatibilità con le guarentigie della Cedu

Volgendo lo sguardo allo scenario “europeo”, la conciliabilità dei segnalati iter alternativi offerti dal sistema interno al danneggiato dal reato con le fonti sovranazionali sembrerebbe, però, essere messa in discussione. In alcuni isolati arresti, la Corte e.d.u. [48] parrebbe riconoscere alla vittima il diritto di ottenere in sede penale la decisione sulla pretesa risarcitoria e, in questa prospettiva, l’alternativa per il danneggiato di adire il giudice civile non esclude la violazione del right of access to a court (art. 6 §1 Cedu) [49]. Da questo punto di vista, ogniqualvolta, l’esame della domanda di risarcimento è precluso dall’ac­cer­tamento di eventi estintivi del reato, determinati dall’eccessivo protrarsi nel tempo del procedimento addebitabile a condotte negligenti dell’autorità giudiziaria, si verificherebbe una violazione dell’art. 6 §1 Cedu [50]. A nulla varrebbe obiettare che il danneggiato può servirsi di altri rimedi giurisdizionali per far valere i propri interessi, atteso che, secondo il richiamato approdo della Corte di Strasburgo, non è possibile esigere che la vittima, dopo aver individuato nel giudizio penale la sede per far valere i propri interessi, «intenti un’analoga azione di responsabilità civile dopo la constatazione di prescrizione dell’azione penale dovuta a errore del giudice penale» [51]. Seguendo questa direttrice, il canone dell’accessorietà accolto dal sistema interno si esporrebbe a censure, quanto meno nei casi in cui la mancata pronuncia sulle questioni civili per intervenuta prescrizione del reato – causata da ritardi imputabili all’inerzia della magistratura – imponga al danneggiato di avviare un nuovo giudizio. Tuttavia, l’indicata decisione sovranazionale – oltre a scontare i limiti del metodo casistico seguito dai Giudici di Strasburgo – non appare condivisibile nella misura in cui si disallinea dal consolidato approccio della Corte e.d.u. [52], propenso a riconoscere agli Stati un certo margine di apprezzamento nel regolare le modalità di esercizio del “diritto di accesso al giudice” [53]. La flessibilità dei parametri convenzionali, in effetti, non osta a discipline interne che, nel salvaguardare altri interessi meritevoli di tutela (ad esempio, il celere [continua ..]


NOTE