Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Rassegna bibliografica (di Alessandra Sanna)


M. Colamussi, Detenzione e Maternità, Bari, Cacucci Editore, 2023, pp. 1-236

L'Autrice affronta il tema, complesso e delicato, della condizione della donna in carcere.

Maternità e detenzione rappresentano i due poli dello studio: maternità come status esclusivo della donna e detenzione come condizione di per sé disancorata dal genere, eppure bisognosa di essere declinata al femminile, allo scopo di garantire il rispetto per la dignità della detenuta che si può concretizzare solo attraverso soluzioni personalizzate.

segue

La restrizione delle donne coinvolge, quindi, necessariamente la differenza di genere: nella detenuta sono diverse la sfera dell’emotività, dell’etica, della condotta individuale e collettiva, così come sono peculiari i modi di vedere e rapportarsi al mondo esterno. Eppure, tali differenze, che non si esauriscono ma si spingono oltre la condizione di madre, non sono considerate dal legislatore, né sul piano strutturale, né su quello organizzativo e di gestione degli istituti di pena. Le sole peculiarità valorizzate sono la maternità e le esigenze di natura sanitaria. Su questo terreno l’ordinamento nazionale appronta strumenti per la tutela della donna gestante, puerpera, madre nonché a presidio del rapporto di maternità tra detenuta e prole, operanti tanto in sede cautelare che in fase di esecuzione. L’ordinamento, infatti, distingue tra donna incinta e madre di prole in tenera età. Qui le garanzie per la persona detenuta si saldano con quelle di tutela dei bambini, in conformità alla normativa sovranazionale che considera le donne ristrette e i figli minori doppiamente vulnerabili e perciò meritevoli di presidi di garanzia specifici e rafforzati (Regola n. 2 delle Regole delle Nazioni Unite sullo standard minimo per il trattamento dei detenuti, c.d. Regole di Nelson Mandela). Del resto, è il legislatore sovranazionale a dettare il principio che funge da faro per un bilanciamento dei valori in gioco: “the best interest of the child” (art. 3 della Convenzione Onu sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Convention on the Rights of the Child-CRC del 1989), il miglior interesse del bambino dev’essere il criterio di orientamento per l’interprete. Dinanzi alle istanze securitarie si contrappone una duplice esigenza: se, da un lato, non si deve negare al bambino l’affetto materno, dall’altro, non si deve privarlo della vita da libero. Fornire una risposta appagante alla duplice esigenza rappresenta un’impresa ardua e nei fatti fallimentare, come dimostra l’estesa e articolata analisi condotta dall’Autrice, tanto sul terreno cautelare, tanto in sede esecutiva della pena. La misura contenuta del numero dei bambini in carcere non fa velo all’intollerabile disvalore etico del fenomeno. Le ricadute sono devastanti su sviluppo psicofisico ed equilibrio affettivo-relazionale del minore recluso, costretto a subire non solo l’impatto deleterio dell’ambiente carcerario ma anche il successivo trauma del distacco dalla madre al compimento del terzo anno di età. Occorrerebbe realizzare forme e luoghi di detenzione idonei a salvaguardare il rapporto genitoriale ed insieme l’armonioso sviluppo della personalità del minore, mentre, in linea con il miglior interesse del bambino, le esigenze di sicurezza sociale dovrebbero essere rivisitate e [continua..]

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