Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Corte europea dei diritti dell'uomo (di Mattia Visentin)


Eccessiva durata della custodia cautelare e scarsa motivazione del provvedimento giurisdizionale

(Corte e.d.u., 21 febbraio 2023, Hysa c. Albania)

Il caso è abbastanza lineare: la pronuncia in questione trae origine dai fatti occorsi ad una cittadina albanese, la quale asseriva la mancanza di ragioni sufficienti per giustificare l’eccessiva durata della custodia cautelare in carcere.

Nello specifico, dopo essere stata indagata dalla procura di Tirana per abuso d'ufficio, il locale tribunale distrettuale, in data 5 novembre 2013, adottava il provvedimento con il quale disponeva la custodia cautelare: la ricorrente, in veste di pubblico ufficiale, avrebbe concesso molteplici sconti ad una serie di società, per un totale di circa tre milioni di euro.

segue

L’istante impugnava il suddetto provvedimento, dapprima davanti alla Corte d’appello di Tirana e, successivamente, dinnanzi alla Suprema Corte, evidenziando l’illegittimità della sua detenzione, in quanto non sufficientemente giustificata; ella rimarcava come si fosse spontaneamente consegnata alla polizia e come non potesse in alcun modo inquinare le prove, dato che era stata sospesa temporaneamente dall’attività lavorativa e i files dell’amministrazione fiscale erano già stati sequestrati dal procuratore di Tirana. Tali circostanze indicavano l’inesistenza del pericolo di fuga, diversamente da quanto stabilito dai giudici interni. Vani risultavano i rimedi di impugnazione esperiti dalla ricorrente, in quanto sia la Corte d’appello che la Suprema Corte sostenevano come la misura restrittiva applicata non potesse che considerarsi equa nel caso in argomento. Da ultimo, l’istante sollevava la questione davanti alla Corte costituzionale che, con decisione del 24 febbraio 2016, rigettava il ricorso per mancanza di legittimazione ad agire: ciò, poiché quest’ultimo era stato presentato in un momento in cui la cittadina albanese non si trovava più in regime custodiale, ma agli arresti domiciliari. Delineata sinteticamente la vicenda occorsa, risulta opportuno soffermarsi sulle argomentazioni fornite dal giudice strasburghese: la ricorrente lamentava l’evidente violazione dell’art. 5, par. 1, Cedu, facendo leva sulle medesime doglianze sollevate davanti ai giudici interni. Tale norma si considera violata in tutte quelle situazioni in cui sia ravvisabile una privazione immotivata della libertà personale, nel senso tradizionale di libertà fisica: sia chiaro che l’orientamento consolidato non prevede un’automatica violazione dell’art. 5, par. 1, Cedu in tutti quei contesti in cui l’interessato sia destinatario di un provvedimento restrittivo, ma è essenziale che quest’ultimo venga emesso al di fuori dei casi previsti dalla legge e, se presenti, laddove il provvedimento giurisdizionale sia carente nella motivazione (v. Corte e.d.u., 2 novembre 2010, Sakhnovskiy c. Russia). Ad ogni modo, in molteplici occasioni la Corte europea rilevava come debba considerarsi una privazione della libertà personale, riconducibile all’art. 5 Cedu, anche il fermo di breve durata: sul punto merita di essere citata una pronuncia (v. Corte e.d.u., 21 giugno 2011, Schimolovos c. Russia) nella quale il giudice alsaziano riteneva integrati i presupposti per la violazione della suddetta norma, poiché l’istante veniva arrestato, scortato verso il commissariato di polizia e trattenuto in quel luogo per un lasso temporale eccessivo. Risulta oltremodo significativa la giurisprudenza del Collegio alsaziano in merito al tema della detenzione preventiva – che deve essere sempre valutata ai sensi [continua..]

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