Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Il regime giuridico dei documenti anonimi alla luce del principio del necessario controllo sulle fonti di conoscenza (di Paola Felicioni, Professoressa associata di Diritto processuale penale – Università degli Studi di Firenze)


La disciplina del documento anonimo risente della configurazione della prova documentale la cui ampia nozione codicistica, arricchita dall’evoluzione tecnologica e dilatata dall’elaborazione giurisprudenziale, è tutt’ora oggetto di un attento dibattito dottrinale articolato su coordinate concettuali anche risalenti nel tempo. Entro tale contesto di riflessione critica assumono una specifica caratura le questioni esegetiche relative all’ambito epistemologico del documento anonimo: infatti il tema del valore probatorio della controversa figura si colloca nell’inquieta prospettiva del rapporto tra fonti di conoscenza anonime ed esigenze cognitive del processo penale.

Parole chiave: documenti anonimi – prova documentale – valore probatorio.

Legal regime of anonymous document in the light of the principle of necessary control over the sources of knowledge

The discipline of the anonymous document is related with the configuration of documentary evidence, whose broad notion provided by the code, enhanced by technological progress and expanded by case law, is still the subject of careful discussion by the doctrine, based on concepts even dating back over time. Within this context of critical reflection, the exegetical issues relating to the epistemological foundations of the anonymous document take on prominence: in fact the question of its probative value is placed in the serious perspective of the relationship between anonymous sources of knowledge and the cognitive requirements of the criminal trial.

SOMMARIO:

1. Valutazione del giudice e prova documentale: i limiti epistemologici - 2. La disciplina del documento: profili sistematico-normativi - 3. Il documento: profili definitori - 4. il documento anonimo - 5. Regimi giuridici e limiti acquisitivi: premessa - 6. La regola: principio di esclusione dell’anonimo e divieto di acquisizione del documento dichiarativo anonimo - 7. Le eccezioni: il rinvio al regime acquisitivo privilegiato previsto in ragione del tipo o della provenienza del documento - 8. L’ambito di operatività del divieto di utilizzazione dell’anonimo: la necessità del controllo – processuale ed extraprocedimentale – sulle fonti anonime di conoscenza - NOTE


1. Valutazione del giudice e prova documentale: i limiti epistemologici

Lo statuto epistemologico e costituzionale del processo penale vigente si ispira al modello occidentale del razionalismo critico, ossia al paradigma indiziario. In altri termini, l’iter cognitivo si costruisce attorno ai concetti di ipotesi e fatto, indizio e prova, verità e dubbio, conferma e falsificazione delle ipotesi, giustificazione razionale della decisione, controllo impugnatorio della motivazione. Dunque, i presidi della razionalità del giudizio e le fonti di legittimazione della giurisdizione si rinvengono nella legge (art. 102, comma 2, Cost.) e nella ragione (art. 111, comma 6, Cost.): il giudice, terzo e imparziale, verifica e valuta l’enunciato dell’accusa nel contraddittorio tra le parti, in funzione di conferma o di falsificazione dello stesso e, infine, deve dare conto in motivazione del ragionamento che giustifica la soluzione adottata [1]. Tuttavia, le trasformazioni della società e le potenzialità dello sviluppo tecnologico che caratterizzano la dinamica della vita contemporanea evidenziano la difficoltà per il giurista di governare la complessità. In particolare, al giudice, tenuto dall’ordinamento giuridico a effettuare ragionamenti corretti e a produrre decisioni di qualità, è assegnato un «compito impossibile ma necessario» [2]: la “impossibilità” è riferibile alla conoscenza della verità storica; la “necessità” attiene alla repressione del crimine. In altri termini, il codice di rito penale accusatorio è imperniato su inferenze logiche strutturalmente probabilistiche [3]: infatti, se prima di giudicare [4] occorre conoscere [5] ossia ricostruire nel presente [6], secondo prove, un fatto del passato [7], si può solo tendere a ridurre lo scarto tra verità storica e verità processuale seguendo le regole codicistiche (probatorie [8] e di giudizio [9]) che scandiscono il percorso cognitivo del giudice dal fatto alla sentenza [10]. Ebbene, è ormai acquisita la consapevolezza dei limiti conoscitivi legati alla fallibilità degli strumenti di prova. Viene in considerazione un dato empirico secondo cui non tutto «ciò che ‘parla’ di un fatto del passato» presenta un grado di attendibilità che lo rende meritevole di apprezzamento: insomma, esistono strumenti di conoscenza [continua ..]


2. La disciplina del documento: profili sistematico-normativi

La vigente disciplina della prova documentale è il risultato della scelta legislativa di porre rimedio alle carenze strutturali della precedente regolamentazione del 1930 [24], frammentaria e disorganica, ed emblema di un certo disinteresse legislativo [25] riconducibile ad un duplice pregiudizio della dottrina processualistica penale di fine Ottocento messo, in luce dalla Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale [26]: la tendenziale identificazione della prova documentale con il solo documento scritto e i dubbi sulla sua configurabilità come mezzo di prova autonomo nella convinzione si trattasse di una sorta di testimonianza redatta su carta [27]. L’opera di sistemazione organica effettuata nel 1988, peraltro, è apparsa necessitata proprio dal­l’a­dozione del modello processuale accusatorio [28]: se uno dei suoi caratteri fondamentali è l’oralità [29] nel­l’assunzione della prova, diventa anacronistico lo scarso interesse legislativo verso la prova documentale la cui puntuale disciplina acquisitiva, assumerebbe un carattere eccezionale [30] rispetto alle regole del­l’oralità e dell’immediatezza. In proposito si è sottolineato, altresì, come la prova documentale si ponga al crocevia tra opposte esigenze quali la valorizzazione dell’oralità e la necessità di non disperdere i contributi probatori formati fuori del processo [31]; di più, si è rimarcata l’esistenza di un paradosso risalente nella cultura occidentale che, si afferma [32], dà rilievo alla dialettica processuale ma non è disposta a rinunciare ad alcun tipo di informazioni con la conseguente tendenza, sul piano processuale penale, ad acquisire ogni materiale di origine extradibattimentale. Tuttavia, gli anni che sono trascorsi dal­l’en­trata in vigore del codice penale di rito hanno evidenziato, in allontanamento da una cultura sviluppatasi in reazione alla struttura inquisitoria del codice Rocco e talvolta tesa alla difesa di princìpi astratti, un graduale adattamento della disciplina mosso dalla consapevolezza della necessità di valutare gli strumenti giuridici in chiave funzionale [33]. Ebbene, il tema del documento non è estraneo alla riflessione sopra riportata: tuttavia, l’istituto ha attraversato l’evoluzione [continua ..]


3. Il documento: profili definitori

La disciplina della prova documentale, espressa negli artt. 234-243 c.p.p., come già sottolineato, ha l’intento di fornire organicità ad una normativa eterogena e sistematicità alla distinzione con gli atti del procedimento. Si tratta di una regolamentazione che ha visto progressivamente accrescere la propria portata applicativa e, correlativamente, le questioni esegetiche a causa sia dell’evanescenza dei limiti concettuali della nozione stessa di documento [39], sia delle ampie possibilità acquisitive che lo caratterizzano come strumento flessibile di arricchimento conoscitivo per il giudice e per le parti [40]. Nella consapevolezza che le varie delimitazioni concettuali del documento offerte dalla dottrina non esauriscono la propria portata sul piano dogmatico-etimologico, ma determinano risvolti sul piano applicativo del mezzo di prova [41], conviene ricordare che l’art. 234, comma 1, c.p.p. non fornisce una definizione in senso stretto [42] ma, da un lato, individua alcuni oggetti materiali, ossia «scritti o altri documenti che rappresentano fatti persone o cose» [43] e, da un altro lato, indica mediante una elencazione non tassativa, alcuni mezzi di estrinsecazione della rappresentazione[44], ossia «fotografia, cinematografia, fonografia o qualsiasi altro mezzo» [45]. Il legislatore ha dunque esteso la nozione di documento, tradizionalmente identificato nello scritto, ricomprendendo qualsiasi supporto materiale idoneo ad incorporare la rappresentazione della realtà, tracciando così il requisito positivo dell’istituto (materialità, capacità rappresentativa, uso di tecniche idonee a serbarne memoria o a consentirne la riproduzione) declinato con varietà di accenti dagli studiosi; peraltro, si conviene sull’esistenza di un requisito negativo, inedito fino alla vigente codificazione e ricavabile dalla sistematica del codice di rito penale vale a dire l’”estraneità” al procedimento penale nel quale si dispone che il documento debba fare ingresso [46]. Merita piuttosto evidenziare che la maggior parte della dottrina ha delineato, pur con differenti sfumature, l’aspetto strutturale del documento nel significato tecnico accolto dal codice di rito come «rappresentazione di un fatto che è incorporata su di una base materiale quando il fatto rappresentato è [continua ..]


4. il documento anonimo

Se in generale si evidenzia che il giudice prima di valutare il valore probatorio del documento deve necessariamente prospettarsi la questione della sua provenienza [66], più in particolare si delinea la criticità legata alla disciplina degli anonimi, evocata dall’ignoranza dell’autore del documento [67]. In altri termini, è ragionevole iniziare con un interpello all’autore apparente del documento ai sensi dell’art. 239 c.p.p., disposizione che prevede l’eventuale sottoposizione del documento (dichiarativo e non) a fini di riconoscimento alle parti private e al testimone, concretizzando una forma di contraddittorio sulla prova [68]: si tratta di verificare la paternità o anche aspetti più ampi di “provenienza” rispetto ai quali appaiono esperibili tutti i più adeguati mezzi di prova, compresa la perizia la cui capacità probatoria è peraltro potenziata dallo sviluppo tecnologico [69]. La problematicità del rapporto tra l’anonimo e il processo penale è avvertita da sempre: peraltro, il termine anonimo risulta essere associato ad altri istituti del sistema processuale penale quali, segnatamente, come vedremo meglio più oltre, il documento e la notizia di reato [70]. In materia vige una regola: l’incertezza sulla fonte di un’informazione la rende inidonea a svolgere la funzione di elemento utilizzabile per un accertamento giurisdizionale [71]. Al di là di posizioni più integraliste che negano in radice la qualifica di documento a quanto realizzato da uno sconosciuto [72] viene in luce la necessità di definire il documento anonimo proprio al fine di verificare la sussistenza di eventuali spazi interpretativi che potrebbero sostanziarsi in elusioni del divieto di acquisizione e di utilizzazione affermato in via di principio dall’art. 240 c.p.p., si noti, con riferimento testuale ai documenti che contengono dichiarazioni anonime, a dispetto di una rubrica più limitante (e meno significativa) riferita genericamente ai documenti. Ritenuto ormai pacifico che per definire il concetto di anonimo non è determinante la mancanza della sottoscrizione potendo esistere anche altri segni di riconoscimento (come un timbro, l’intestazione della carta o l’etichetta su un floppy disk) [73] si individuano, in via di sintesi, due concezioni, [continua ..]


5. Regimi giuridici e limiti acquisitivi: premessa

In quanto mezzo di prova tipico, al documento si applicano le disposizioni generali sulla prova: si delinea una procedura di acquisizione in base alla quale prima, del vaglio giudiziale di ammissibilità, da compiere in specie in rapporto ai divieti stabiliti dalla legge ex art. 190 c.p.p. [81], ciascuna delle parti ha facoltà di esaminare il documento [82]. Viene in luce, dunque, il regime ordinario di acquisizione della prova documentale, soggetta alle previsioni di cui agli artt. 493 ss. c.p.p. [83]. Si noti che il legislatore, però, al fine di specificare l’ambito epistemologico del documento, ha modulato l’acquisibilità della prova documentale sottoponendola a peculiari condizioni, riferibili a determinate tipologie di documento (artt. 235-238-bis c.p.p.), oppure escludendola in radice per altri tipi (art. 240 c.p.p.) [84]. In definitiva assumono rilievo taluni regimi acquisitivi particolari: alcuni, espressione di un favor legislativo rispetto all’accesso di documenti nel processo, sono delineati da determinate disposizioni volte a definire l’area dell’utilizzabilità della prova documentale con riferimento al tipo di documento (art. 235 c.p.p.) o alla sua genesi (art. 237 c.p.p.), in base a parametri di speciale rilevanza [85]; altri, espressione di una netta diffidenza del legislatore per l’impossibilità di controllare la fonte anonima di conoscenza, sono configurati come divieti, o come specifici limiti acquisitivi.


6. La regola: principio di esclusione dell’anonimo e divieto di acquisizione del documento dichiarativo anonimo

Il documento, dopo l’accertamento della sua provenienza, è ammissibile come prova se consiste in uno «scritto rappresentativo di dichiarazioni descrittive o esecutive o in un qualsiasi oggetto idoneo a rappresentare fatti, persone o cose». Tuttavia, dalla previsione dell’inutilizzabilità del documento che contiene informazioni sulle voci correnti nel pubblico sui fatti oggetto di prova fissata dall’art. 234, comma 3, c.p.p., peraltro in corrispondenza alla disciplina della testimonianza ex art. 194, comma 3, c.p.p. [86], si evince un principio di esclusione dal procedimento penale delle informazioni non fondate su elementi oggettivi come, appunto, le dichiarazioni di cui si ignora la fonte originaria [87]: da esso discende l’esigenza di controllo sulla fonte di conoscenza, normativizzata dall’art. 195, comma 7, c.p.p., che esclude la testimonianza indiretta se resta ignoto il teste diretto, e dall’art. 240 c.p.p. che vieta l’acqui­sizione dei documenti dichiarativi anonimi [88]. Ma la diffidenza verso le dichiarazioni provenienti da una fonte ignota traspare anche da altri istituti: si pensi ai confidenti di cui la polizia giudiziaria tenga nascosta l’identità (art. 203 c.p.p.) o alle denunce anonime (art. 333 c.p.p.). Ebbene, rispetto ai documenti anonimi il legislatore mostra un atteggiamento decisamente ostile stabilendo un divieto di acquisizione e una radicale inutilizzabilità, la ratio dei quali è ricondotta [89] ad una matrice “etica” o ad una “laica” [90] che possono anche convivere [91]. Più precisamente, la radice etica esprime la riprovazione verso chi non si assume la responsabilità delle proprie opinioni [92]; l’altra matrice, invece, valorizza la necessità di valutare l’attendibilità delle dichiarazioni anonime e il rischio per la tenuta del principio del contraddittorio e la tutela del diritto di difesa [93]. In definitiva il nostro sistema processuale mostra di preferire un difetto di conoscenza rispetto ad un difetto di affidabilità probatoria [94]. A tale prospettiva va riportata l’inutilizzabilità espressamente prevista per il documento anonimo, ma occorre una precisazione. Secondo l’opinione prevalente che attribuisce specifico valore al dato testuale [95] il divieto di cui all’art. 240 c.p.p. [continua ..]


7. Le eccezioni: il rinvio al regime acquisitivo privilegiato previsto in ragione del tipo o della provenienza del documento

Il principio di esclusione dell’anonimo patisce alcune deroghe ereditate dalla previgente normativa [103]: vengono in considerazione il documento che costituisce corpo del reato e il documento proveniente dall’imputato come ipotesi eccezionali di utilizzabilità, ricavate da una reciproca serie di rinvii normativi o concettuali che collegano appunto gli artt. 235, 237, 239 e 240, comma 1, c.p.p. [104]. Più precisamente, il legislatore ha delineato un regime di ammissione incondizionato [105] a cagione della funzione o della fonte del documento: si tratta di materiale acquisibile ex officio fuori dai vincoli temporali e gnoseologici imposti dall’art. 507 c.p.p. [106]. Con riferimento alla prima deroga, si delinea una speciale tipologia di prova documentale: a differenza del documento – mezzo di prova, infatti, il documento – corpo del reato è introdotto nel processo, non per la sua funzione rappresentativa ma, piuttosto, per il suo rapporto di stretta compenetrazione col fatto di reato [107]. In altri termini, l’art. 235 c.p.p., lungi dall’essere una previsione sovrabbondante, assume rilievo in quanto costitutiva del dovere di acquisire il documento dichiarativo anonimo costituente corpo del reato. Trattandosi di un’eccezione, si osserva che l’espressione “corpo del reato” va intesa in senso stretto ai sensi dell’art. 253, comma 2, c.p.p.; dunque si deve escludere qualunque riferimento alla nozione di cose pertinenti al reato [108]. Dalla disposizione in questione allora si ricava che le dichiarazioni anonime sono ammesse soltanto in quel procedimento penale in cui costituiscono corpo del reato ossia quando mediante esse, o su di esse, è stato commesso il reato, oppure quando ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo. La portata della seconda eccezione, espressa dall’art. 237 c.p.p. [109] che consente di utilizzare quella dichiarazione anonima che “provenga comunque” dall’imputato [110], varia a seconda del modo di intendere il documento anonimo e del significato di “provenienza”, termine ambiguo che può indicare sia il ritrovamento presso l’imputato, sia la formazione da parte dello stesso [111]. Se si accoglie la concezione formale, il divieto acquisitivo cade solo per quei supporti rappresentativi di provenienza originariamente non identificabile [continua ..]


8. L’ambito di operatività del divieto di utilizzazione dell’anonimo: la necessità del controllo – processuale ed extraprocedimentale – sulle fonti anonime di conoscenza

Un’ultima riflessione riguarda l’ambito di operatività del divieto previsto dall’art. 240 c.p.p.: se è certo che esso trovi applicazione durante la fase processuale, qualche dubbio residua con riferimento alla fase delle indagini preliminari [117]. In proposito si consideri che nella fase pre-processuale l’anonimo può venire in rilievo in due ipotesi: in relazione all’impiego come atto d’impulso della fase stessa (è il tema della denuncia anonima) o come fondamento di provvedimenti che presuppongono un quadro probatorio indiziario data l’incidenza sui diritti fondamentali dell’individuo (come ordinanze cautelari o decreti autorizzativi delle intercettazioni) [118]. L’attenzione dell’interprete va quindi al rapporto intercorrente tra documento contenente dichiarazioni anonime e denuncia resa da ignoti: si tratta di istituti diversi funzionalmente, ma accomunati dal punto di vista contenutistico, trattandosi di dichiarazioni di scienza [119], e dal punto di vista del regime giuridico improntato alla necessità di negare o limitare all’anonimo spazi operativi [120]. Anche la sorte delle due figure in esame è comune: la denuncia anonima dovrà essere iscritta e conservata cinque anni nel registro dei documenti anonimi (c.d. modello 46) ex artt. 108 disp att. c.p.p. e 5 reg. esec. c.p.p. tenuto presso le procure della Repubblica [121]. Proprio facendo riferimento a tali due disposizioni in dottrina si ricava l’estensione del divieto d’uso dell’anonimo alla fase pre-processuale: la conservazione degli scritti anonimi nel suddetto registro implica, infatti, la loro estromissione dal fascicolo del pubblico ministero e l’impossibilità di attribuire loro valoro probatorio durante le indagini [122]. In altri termini, il codice di rito penale distingue l’anonimo come informativa, dall’anonimo come documento, ma detta una regola comune: l’atto che contiene dichiarazioni anonime non può essere utilizzato salvo che costituisca corpo del reato o provenga comunque dall’imputato [123]. Tuttavia, in dottrina si evidenzia la scelta legislativa di delineare per il documento dichiarativo di fonte ignota un divieto assoluto di utilizzazione (art. 240 c.p.p.) e per la denuncia anonima un divieto relativo (art. 333, comma 3, c.p.p.) [124]. La denuncia anonima, si [continua ..]


NOTE