Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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Il regime progressivo dell'improcedibilità e le questioni intertemporali (di Filippo Giunchedi, Professore associato di Diritto processuale penale – Università degli Studi di Roma Niccolò Cusano)


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 Le problematiche interpretative del nuovo istituto della improcedibilità, si intensificano in riferimento agli aspetti intertemporali, i quali, anche per il non felice tenore letterale utilizzato dal legislatore, impegnano l’interprete nella ricerca di una “lettura” coerente con l’intentio legis.

Parole chiave: improcedibilità, diritto intertemporale.

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The progressive regime of non-prosecution and intertemporal issues

The interpretative problems of the new institute of non-passability intensify with reference to the intertemporal aspects, which, also due to the unfortunate wording used by the legislator, engage the interpreter in the search for a “reading” with the intentio legis.

SOMMARIO:

1. Il contesto sistematico di riferimento - 2. La nuova disciplina ed i tempi di applicazione - 3. Possibile l’applicazione retroattiva? - 4. Considerazioni conclusive - NOTE


1. Il contesto sistematico di riferimento

L’introduzione nel nostro sistema processuale penale dell’istituto dell’improcedibilità, è stato accompagnato da vibranti polemiche [1], sulle quali non si indugerà essendo differente il tema assegnatoci [2]. La premessa risulta, però, necessaria per comprendere l’habitat in cui va ad innestarsi il profilo da indagare, costituito dalla progressiva [3] entrata a regime della disciplina dell’improcedibilità, vigente a partire dal 19 ottobre 2021 [4] e disciplinata dall’art. 2, commi 3, 4 e 5, l. 27 settembre 2021, n. 134. In considerazione del fatto che l’improcedibilità [5] – la quale, più correttamente, sarebbe da definire “improseguibilità” – rappresenta la soluzione ad un tema divisivo qual è quello della prescrizione [6], è parso ragionevole predisporre una congerie di disposizioni che ne consenta l’applicazione immediata in riferimento ai processi per reati «commessi a far data dal 1° gennaio 2020» (così l’art. 3, comma 3, l. n. 134/2021), ma allo stesso tempo distinguendo differenti ipotesi in funzione della progressione dello stato del procedimento di impugnazione. Il legislatore, diversamente da quanto avvenuto in altre occasioni, non ha catalogato la disciplina all’uopo prevista nelle tradizionali – e ben distinte – categorie dogmatiche del diritto intertemporale e transitorio [7] – talvolta richiamate impropriamente [8] –, ma ha semplicemente focalizzato l’effetto pratico da conseguire. Nel caso specifico, i commi 3-5 dell’art. 2, l. n. 134/2021 possono essere classificati, in parte, come norme intertemporali (commi 3 e 4) e, per altra parte, come norme transitorie (comma 5). Infatti, mentre le prime si limitano ad individuare la data dalla quale incomincerà ad operare la disciplina della improcedibilità, la successiva (comma 5) ne staglia una distinta da quella prevista per le altre ipotesi. Ma sono aspetti questi, sui quali ci si soffermerà in seguito, dovendosi in questo frangente limitarsi a definirli sistematicamente. Ora, indipendentemente dal fatto che si sia al cospetto di disposizioni intertemporali o transitorie, scopo delle distinzioni operate dai commi in discorso è indubbiamente quello di effettuare un “traghettamento” della prescrizione [continua ..]


2. La nuova disciplina ed i tempi di applicazione

Il quadro “integrato” costituito da “prescrizione sostanziale” e “prescrizione processuale” costituisce il connubio tra i “nuovi” artt. 161-bis c.p., che prevede la cessazione del corso della prescrizione con la pronuncia della sentenza di primo grado, e 344-bis c.p.p., per il quale la mancata definizione dei giudizi di impugnazione ordinaria (nel procedimento principale) in tempi definiti dal legislatore (due anni per quello di appello ed uno per quello di legittimità [10]) impone l’improcedibilità dell’azione penale. Il dies a quo per la decorrenza di detti termini, anche se prorogati, è costituito dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine previsto dall’art. 544 c.p.p. – eventualmente prorogato ex art. 154 disp. att. c.p.p. – per il deposito della motivazione della sentenza [11]. Questa disciplina si applica a tutti i giudizi di impugnazione che abbiano ad oggetto reati – quindi delitti e contravvenzioni – commessi dal 1° gennaio 2020 in poi. Alla regola generale, seguono due ulteriori previsioni che completano il quadro sinora delineato, ovvero l’ipotesi in cui alla data di entrata in vigore della l. n. 134/2021 il procedimento di impugnazione si sia già instaurato mediante la trasmissione al giudice ad quem del provvedimento impugnato, dell’atto di impugnazione e degli atti del procedimento e l’ipotesi per cui l’impugnazione sia proposta entro il 31 dicembre 2024. In questo caso i termini di definizione del giudizio di impugnazione risultano ampliati a tre anni per quello di appello e ad un anno e sei mesi per quello di cassazione. Termini applicabili anche ai casi di annullamento con rinvio pronunciato prima del 31 dicembre 2024. In questa seconda ipotesi, qualora le impugnazioni siano più di una, i termini incominceranno a decorrere dalla proposizione della prima. Dalla lettura delle disposizioni intertemporali emerge, innanzi tutto, che l’improcedibilità operi esclusivamente per i reati commessi dal 1° gennaio 2020. Questo aspetto risulta espressamente previsto anche per le ipotesi delineate dai commi 4 e 5 in forza del loro richiamo al comma 3. A questo punto, occorre cogliere le differenze che distinguono le diverse situazioni, legate al dies a quo per la decorrenza dei termini previsti per la definizione del giudizio di impugnazione. Il comma [continua ..]


3. Possibile l’applicazione retroattiva?

È evidente che chi invoca l’improcedibilità come disciplina più favorevole rispetto alla prescrizione, non considera profili analoghi a quelli appena segnalati. Sempre in questa prospettiva, va evidenziato come, in realtà, il concorrere di prescrizione fino alla sentenza di primo grado (e al decreto penale di condanna) e improcedibilità nei giudizi di impugnazione prospetta il (concreto) rischio di una dilatazione dei tempi rispetto alla precedente disciplina, connotata dalla sola prescrizione sostanziale. Effettuiamo un test. Tizio risulta imputato per il delitto di truffa commesso il 1° gennaio 2020. Fino alla decisione di primo grado opererà la prescrizione che, nel caso specifico, risulta essere di sei anni ai sensi dell’art. 157 c.p., aumentata di un quarto ex art. 161 c.p., quale conseguenza dell’emissione del decreto di citazione diretta a giudizio, per complessivi sette anni e sei mesi qualora vengano utilizzati interamente. Se l’imputato dovesse impugnare, ed al netto delle eventuali proroghe di cui all’art. 344-bis, comma 4, c.p.p., i giudici dell’impu­gnazione avranno a disposizione altri tre anni per definire il giudizio (due per quello di appello e uno per quello di legittimità), per un totale – qualora vengano utilizzati pienamente i segmenti temporali anzidetti – di anni dieci e mesi sei. Il precedente regime, invece, imponeva che nel termine oggi delimitato alla sentenza di primo grado (ovvero sette anni e mezzo), il processo nella sua interezza dovesse concludersi. Occorrerà, quindi, una valutazione caso per caso e volta per volta, per verificare se il nuovo regime sia più favorevole rispetto al precedente. E lo sarà solo fino a quando il tempo residuo per maturare il termine di “prescrizione sostanziale” risulti maggiore del tempo previsto per la declaratoria di improcedibilità. Insomma, non appare possibile una generalizzata posizione di favore verso l’improcedibilità rispetto alla prescrizione sostanziale; anzi, è ben probabile che, a regime, si allunghino i tempi del processo di primo grado potendosi fruire di un arco temporale più ampio rispetto al passato, quando i termini previsti per la prescrizione sostanziale dovevano “spalmarsi” anche sui segmenti processuali delle impugnazioni. Al contempo, come prevedibile anche sulla scorta delle [continua ..]


4. Considerazioni conclusive

Le coordinate ermeneutiche emergenti da questa breve disamina delle questioni intertemporali che caratterizzano l’improcedibilità, prospettano un quadro composito e poco chiaro a causa del lessico utilizzato dal legislatore. Il riferimento è inevitabilmente al tenore dei commi 4 e 5 dell’art. 2, l. n. 134/2021. I maggiori problemi che emergono nella disamina delle vicende intertemporali sono legati alla natura stessa della improcedibilità [36]. Non si dimentichi come l’istituto – che produce effetti “polverizzanti” sui poteri decisori del giudice [37], primo tra tutti la possibilità di emettere declaratoria di proscioglimento ex art. 129, comma 2, c.p.p. –, si basa sulla compresenza di due timer, quello della prescrizione e quello dell’improcedibilità, che iniziano a decorrere in tempi diversi: il primo con la commissione del reato; il secondo con l’impugnazione. Una simile struttura comporta problemi di coordinamento sui processi in corso. Il legislatore ha cercato di risolvere il problema, maldestramente, mediante la formulazione dei commi 4 e 5 dell’art. 2. La concorrenza dei due timer, sistematicamente riferibili a principi differenti, non rende irragionevole l’applicazione di questo regime composito solo a reati commessi successivamente ad una certa data. L’unico aspetto che richiederà o l’intervento del giudice delle leggi – questa volta sì per contrasto con l’art. 3 Cost. – o, addirittura, del legislatore, è legato alla formulazione dei commi 4 e 5. Questione da risolvere con la massima priorità per la inderogabile necessità di individuare i tempi per dar luogo all’improcedibilità [38].


NOTE
Fascicolo 1 - 2022