Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Una semantica persuasiva nel disegno di revisione delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi. Dalle parole ai fatti (di Andrea Abbagnano Trione, Professore aggregato di Diritto penale dell’economia – Università degli Studi del Molise)


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La prospettiva di scopo alle radici della riforma Cartabia, per la parte di pertinenza del diritto sostanziale, è la riduzione della centralità del carcere attraverso misure che combinano prevenzione e risocializzazione, nella cornice delle garanzie tradizionali.

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Parole chiave: sanzioni sostitutive, sistema sanzionatorio.

A persuasive semantics in the project of a review of the alternative sanctions to the short custodial detention. From words to action

The purpose oriented approach to the roots of the Cartabia reform, concerning the substantive law, is the reduction of the centrality of detention through measures which combine prevention and resocialization, within the frame of guarantees.

SOMMARIO:

1. Il restyling delle sanzioni sostitutive nel progetto di riforma Cartabia - 2. Una nuova stagione? La certezza della pena senza la certezza del carcere. Le indicazioni della Commissione Lattanzi - 3. Lo statuto attuale delle sanzioni sostitutive - 4. Le sanzioni sostitutive tra abolizioni e innovazioni - 5. La semilibertà - 6. La detenzione domiciliare - 7. Il lavoro di pubblica utilità - 8. L’interazione tra sanzione e rito: la possibile revoca della confisca facoltativa - 9. La pena pecuniaria. L’accento sulla ragionevolezza e sulla proporzionalità - 10. L’esercizio del potere discrezionale del giudice: vincoli e controlli - 11. Presupposti applicativi, revoca e conversione delle sanzioni sostitutive - 12. La responsabilità penale per la violazione degli obblighi imposti con le pene sostitutive - NOTE


1. Il restyling delle sanzioni sostitutive nel progetto di riforma Cartabia

Con la l. 27 settembre 2021, n. 134 (in G.U., 4 ottobre 2021, n. 237) è stata conferita la delega al Governo ad adottare, entro il termine di un anno [1], uno o più decreti legislativi di modifica del codice penale e della collegata legislazione speciale, per la revisione del regime sanzionatorio dei reati, con finalità di semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo penale, nel rispetto delle garanzie difensive [2]. L’iniziativa novellistica sembra segnare il superamento della fase involutiva di stampo populista e giustizialista che ha contrassegnato le scelte legislative degli ultimi anni ed anche per questo è stata accolta con favore dall’opinione pubblica qualificata. La prospettiva teleologica al fondo della riforma, per la parte di interesse del diritto sostanziale, riposa sull’erosione della struttura carcerocentrica del sistema sanzionatorio, proiettata su un diagramma i cui flussi combinano esigenze di prevenzione generale e speciale di matrice positivo/integratrice, dal canto loro modulate attraverso il filtro delle “garanzie” [3]. Una riforma di “diritto sostanziale collegata al processo” [4], dove il piano deflattivo orbita attorno alla riduzione del carcere già in sede di giudizio di cognizione. La novella è vocata a mutare il “senso del punire”, coniugando tratti di idealismo, di pragmatismo e di efficienza di sistema, ove la sanzione è - umanisticamente – intesa come strumento di risoluzione di un progetto sociale [5]. Lo strumento principale al quale viene affidato l’ambizioso compito è quello della revisione e della implementazione delle sanzioni sostitutive alle pene detentive brevi. Il quadro delle pene sostitutive attorno alle quali calibrare il sistema delle alternative al carcere [6], oggetto della proposta “Lattanzi” e recepite dalla legge delega, è definito da quattro istituti: la semilibertà, la detenzione domiciliare, il lavoro di pubblica utilità e la pena pecuniaria. L’ambito di operatività delle sanzioni sostitutive si spinge a coprire le condanne fino ai 4 anni di carcere. L’innalzamento del limite di pena sostituibile, dalla misura dei due anni di reclusione ai quattro anni previsti dalla riforma, assevera il superamento del monopolio della pena detentiva anche per i reati di media [continua ..]


2. Una nuova stagione? La certezza della pena senza la certezza del carcere. Le indicazioni della Commissione Lattanzi

Con il d.m. 16 marzo 2021, il Ministro di Giustizia costituiva presso il proprio ufficio legislativo una Commissione di studio, composta da autorevoli esponenti della magistratura, dell’accademia e dell’av­vocatura, per elaborare proposte di riforma in materia di processo e sistema sanzionatorio penale, nonché in tema di prescrizione del reato [9]. Alla Commissione veniva espressamente richiesto di emendare il disegno di legge A.C. 2435, recante la delega al Governo per l’efficienza del processo penale. Nel decreto ministeriale vengono enunciate le prime indicazioni di scopo e di metodo, sottolineando l’indifferibilità di un intervento a carattere deflattivo di natura processuale e sostanziale, da inserire nel contesto di riforma del sistema sanzionatorio penale realizzato nell’ultimo decennio, mediante «un’a­nalisi del complessivo quadro di riferimento attuale, una verifica delle situazioni di criticità registrate e l’individuazione di possibili misure e interventi normativi, che investano il diritto sia processuale che sostanziale, finalizzati ad assicurare la ragionevole durata del processo e il recupero di una migliore efficienza ed efficacia dell’amministrazione della giustizia, nel rispetto dei diritti fondamentali della persona, dei principi del giusto processo e della funzione rieducativa della pena». Un lessico nuovo e più suadente in una stagione nella quale la protezione dei diritti umani e le garanzie sembravano aver lasciato il passo ad una dimensione irriducibilmente combattente della leva penale. Al termine dei propri lavori, la Commissione Lattanzi ha dato alle stampe una relazione finale, nella quale, oltre a darsi conto delle criticità registrate nel funzionamento proprio di quegli istituti ai quali erano stati assegnati compiti di decongestionamento del sistema anche carcerario, vengono elaborate ragionate proposte per emendare il d.d.l. AC 2435 [10]. Il merito principale della Commissione ministeriale va colto nell’equilibrato contemperamento dell’efficienza processuale e delle garanzie individuali, nell’ottica di favorire un sistema penale che chiede non solo di funzionare più efficacemente, ma anche «di uniformarsi ai principi del costituzionalismo nazionale ed europeo» [11]. La sezione della relazione Lattanzi specificamente dedicata alle proposte di riforma del sistema [continua ..]


3. Lo statuto attuale delle sanzioni sostitutive

L’introduzione, con la l. 24 novembre 1981, n. 689 [15], delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi ha portato a compimento il disegno legislativo, già avviato con le misure alternative alla detenzione, innervate nell’ordinamento penitenziario dalla l. 26 luglio 1975, n. 354, poi modificata dalla l. 10 ottobre 1986, n. 663. Una novità epocale, destinata ai condannati a pene non elevate, nei confronti dei quali occorreva scongiurare gli effetti desocializzanti del carcere. Una riforma addensata su di una sequenza di soluzioni extra-carcerarie a disposizione del giudice, con un conseguenziale incremento dei relativi poteri discrezionali. Cavalcando l’onda di una stagione ermeneutica costituzionalmente feconda, il legislatore, all’art. 58 della l. n. 354/1975, attribuiva al giudice la “facoltà” di sostituire la pena detentiva, indicandogli di prestare attenzione al reinserimento sociale del condannato. Senonché, a quarant’anni dall’introduzione della disciplina – è stato giustamente rilevato – è maturo «il tempo per impostare correzioni di rotta, anche radicali» [16]. Nel modello vigente, il ventaglio delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi è composto dalla semidetenzione, dalla libertà controllata e dalla pena pecuniaria. Il giudice, quando ritiene di irrogare la pena detentiva entro il limite di sei mesi, può convertirla in una qualsiasi delle sanzioni sostitutive; quando si tratta di una pena superiore a sei mesi ma non eccedente l’anno, può sostituirla con la semidetenzione o con la libertà controllata; quando la pena supera un anno, ma non due, il giudice ha a disposizione la misura della semidetenzione. La semidetenzione (art. 55, l. n. 689/1981) impone di trascorrere almeno dieci ore al giorno negli istituti di pena e una serie di limitazioni, tra cui il divieto di detenere armi ed esplosivi, la sospensione della patente di guida, il ritiro del passaporto e la sospensione della validità, ai fini dell’espatrio, di altri documenti equipollenti, l’obbligo di conservare e presentare agli organi di polizia l’ordinanza contenente le limitazioni imposte. La libertà controllata (art. 56, l. n. 689/1981) comporta, oltre alle limitazioni già previste per la semidetenzione, il divieto di allontanarsi dal comune di residenza, se [continua ..]


4. Le sanzioni sostitutive tra abolizioni e innovazioni

La Commissione Lattanzi, senza giri di parole, ha sentenziato il “fallimento” delle sanzioni sostitutive. L’infausto redde rationem è legato «all’evoluzione del sistema sanzionatorio e al mancato coordinamento con altre misure – in primis, la sospensione condizionale della pena» [17]. La Relazione Lattanzi pone in risalto che al 15 aprile 2021 soltanto 2 persone si trovavano in semidetenzione e appena 104 in libertà controllata (misura peraltro operativa nell’ordinamento anche a seguito della conversione da pena pecuniaria ex art. 102, l. n. 689/1981). Il restyling delle “sanzioni sostitutive” prevede la soppressione della semidetenzione e della libertà controllata, il recupero funzionale della pena pecuniaria e l’ingresso di tre nuove misure: la semilibertà, la detenzione domiciliare e il lavoro di pubblica utilità (art. 1, comma 17, l. n. 134/2021).


5. La semilibertà

Nel progetto di riforma, la pena detentiva potrà essere sostituita dalla semilibertà quando il giudice riterrà di determinare la durata della pena detentiva entro il limite di 4 anni (art. 17, lett. e). La legge delega (art. 17, lett. f) dà indicazione al Governo di mutuarne la disciplina da quanto oggi previsto dall’ordinamento penitenziario per l’omonima misura alternativa alla detenzione (di cui all’art. 48, l. n. 354/1975). In base alla normativa vigente, il regime di semilibertà si risolve nella facoltà accordata al condannato di trascorrere parte del giorno fuori dell’istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale. I condannati ammessi al regime di semilibertà sono assegnati in appositi istituti o apposite sezioni autonome di istituti ordinari e indossano abiti civili. A voler mettere in parallelo la sanzione sostitutiva della semidetenzione – in via di abolizione – e quella – istituenda – della semilibertà, la seconda appare contraddistinta da una maggiore rigidità: il condannato in semilibertà trascorre la “maggior parte” della giornata all’interno di un apposito istituto penitenziario, salvo uscirne per il tempo necessario a «partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale» (cfr., art. 55, l. n. 689/1981), mentre la semidetenzione comporta la presenza del condannato in istituto per (almeno) dieci ore al giorno (cfr. art. 48, l. n. 354/1975).


6. La detenzione domiciliare

Negli intendimenti del legislatore delegante la detenzione domiciliare troverà applicazione, al pari della precedente, per le pene detentive entro i 4 anni (art. 17, lett. e). Il Governo è invitato a mutuare nei decreti legislativi la disciplina sostanziale e processuale oggi prevista dall’ordinamento penitenziario dalla corrispondente misura alternativa alla detenzione (disciplinata dall’art. 47-ter, l. n. 354/1975). La detenzione potrà essere espiata nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza. La detenzione presso uno degli indicati luoghi dispiega un perfetto allineamento con la prospettiva decarceraria propria della riforma Cartabia, sebbene la sua neutralità contenutistica non ne consente l’opportuna sintonizzazione con le esigenze di prevenzione e di risocializzazione che animano il progetto di rinnovamento delle sanzioni sostitutive. Lo sdoppiamento della semilibertà e della detenzione domiciliare ha destato talune perplessità negli addetti ai lavori, sul rilievo che le “omonime” misure alternative sono, al pari delle sanzioni sostitutive, riferibili al condannato in stato di libertà, con il rischio di una sovrapposizione funzionale e di effetti distorsivi [18]. Al riguardo, sarebbe stato preferibile operare una delimitazione sistematico – funzionale tra la fase di cognizione e quella esecutiva, per effetto della quale le misure alternative fungessero da soluzione progressiva alle sanzioni sostitutive e fossero concedibili soltanto all’esito di una espiazione carceraria di parte della pena detentiva [19].


7. Il lavoro di pubblica utilità

Il lavoro di pubblica utilità è la misura alla quale il giudice potrà fare ricorso quando la pena detentiva irrogata nel caso concreto non supera il limite di 3 anni (art. 17, lett. e). È sufficiente che il condannato non si opponga alla conversione della pena nel lavoro di pubblica utilità [20]. La legge delega (art. 17, lett. f) indica al Governo di adottare la disciplina sostanziale e processuale del lavoro di pubblica utilità già presente nel tessuto del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, per l’omonima pena principale irrogabile dal giudice di pace, fermo restando che il lavoro di pubblica utilità, quando applicato come pena sostitutiva, dovrà avere durata corrispondente a quella della pena detentiva sostituita. Sui termini di conversione della pena va segnalata una significativa divergenza rispetto alle proposte avanzate dalla Commissione Lattanzi. Nella relazione viene suggerita una disciplina differenziata a seconda che la sostituzione avvenga all’esito del giudizio ordinario, ovvero a seguito di patteggiamento o di decreto penale di condanna: nel primo caso, il lavoro di pubblica utilità ha durata pari a quella della pena detentiva sostituita, mentre negli altri due casi la durata della pena sostitutiva è pari alla metà di quella detentiva (art. 9-bis, comma 1, lett. f). La Commissione Lattanzi, come già accennato in precedenza, puntava di tal guisa ad incentivare il ricorso ai riti speciali e a conseguire effetti di deflazione processuale; dalla proposta, tuttavia, il legislatore delegante ha inteso prendere commiato. Come è noto, con step legislativi progressivi, il lavoro di pubblica utilità è entrato – seppur con alterne fortune – nel panorama delle misure penali. L’art. 102, l. n. 689/1981, lo ha previsto quale misura di conversione della multa o dell’ammenda nel caso di condannato insolvente; l’art. 54, d.lgs. n. 274/2000, lo ha introdotto quale pena principale nell’arsenale a disposizione del giudice di pace; l’art. 73, comma 5-bis, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (t.u. stupefacenti), lo ha contemplato in relazione ai reati di droga di lieve entità allorché la condanna sia pronunciata nei confronti di persona tossicodipendente o di assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope; gli artt. 186, comma 9-bis e 187, comma 8-bis, d.lgs. 30 aprile 1992, n. [continua ..]


8. L’interazione tra sanzione e rito: la possibile revoca della confisca facoltativa

Diverse, e per lo più inevase, erano state le sollecitazioni della Commissione Lattanzi a rendere maggiormente appetibili i riti speciali, proponendo di riservare soltanto a coloro che ne avessero fatto accesso una più ampia gamma di soluzioni. Tra le proposte che hanno trovato accoglienza, vi è da segnalare quella fatta propria dalla lett. i), dell’art. 17, l. n. 134/2021, che impone al Governo di prevedere la revoca della confisca facoltativa, eventualmente disposta, in caso di esito positivo del lavoro di pubblica utilità inflitto con il decreto penale di condanna o con la sentenza di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p., ove accompagnato dal risarcimento del danno o dall’eliminazione delle conseguenze dannose del reato. La previsione ricalca quanto di simile disciplinato dal Codice della strada per il reato di guida sotto l’influenza di alcool, ove è stabilito che in caso di svolgimento positivo del lavoro di pubblica utilità, il giudice nel dichiarare estinto il reato revoca la confisca del veicolo sequestrato.


9. La pena pecuniaria. L’accento sulla ragionevolezza e sulla proporzionalità

Nella revisione propugnata dal legislatore delegante, la pena pecuniaria è l’unica misura che sopravvive al passato, per proiettarsi verso il futuro con l’obiettivo di recuperare effettività e proporzione. In linea generale, al legislatore delegato si chiede di «razionalizzare e semplificare il procedimento di esecuzione delle pene pecuniarie; di rivedere, secondo criteri di equità, efficienza ed effettività, i meccanismi e la procedura di conversione della pena pecuniaria in caso di mancato pagamento per insolvenza o insolvibilità del condannato; prevedere procedure amministrative efficaci, che assicurino l’effettiva riscossione della pena pecuniaria e la sua conversione in caso di mancato pagamento» [22]. È appena il caso, peraltro, di sottolineare una certa genericità della formulazione che non riesce ad andare oltre una petizione di principio, finendo per affidare al legislatore delegato una delega in bianco. La pena pecuniaria potrà essere applicata quando il giudice ritenga di dovere determinare la durata della pena detentiva entro il limite di 1 anno (art. 17, lett. e); in altri termini, la pena pecuniaria raddoppia il suo attuale raggio di azione. Il Governo ripartirà dalla disciplina attualmente vigente (art. 53, comma 2, l. n. 689/1981 [23]), con l’indicazione di alcuni temperamenti: il valore giornaliero al quale può essere assoggettato il condannato, da moltiplicare per i giorni di pena detentiva, potrà prescindere nel minimo dai 250 euro previsti dall’art. 135 c.p. Il valore giornaliero non potrà eccedere 2.500 euro, senza la fissazione di una soglia minima. La soglia massima poi scenderà a 250 euro nel caso in cui la sostituzione della pena detentiva avvenga con il decreto penale di condanna (art. 17, lett. l). Si rinnova – con questa soluzione – il tentativo di incentivare il ricorso ai riti speciali. Nella determinazione dei limiti della sanzione sostitutiva, la delega al Governo indica quali criteri direttivi da osservare, la necessità che il giudice tenga conto della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare, evitando pene pecuniarie che risultino eccessivamente onerose per il reo. La Commissione Lattanzi, al riguardo, aveva sottolineato come la riforma del 2009, avente ad oggetto i criteri di ragguaglio tra pena detentiva e pena [continua ..]


10. L’esercizio del potere discrezionale del giudice: vincoli e controlli

La legge delega (art. 17, lett. c) indica al Governo di «prevedere che le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi possano essere applicate solo quando il giudice ritenga che contribuiscano alla rieducazione del condannato e assicurino, anche attraverso opportune prescrizioni, la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati». Il favore rieducativo è scolpito a chiare lettere. Del lessico utilizzato, impressiona in particolare l’utili­zzo rafforzativo dell’avverbio “solo”: le pene detentive brevi trovano applicazione “solo” quando il giudice è in grado di formulare una prognosi favorevole circa la possibile metabolizzazione da parte del reo dei valori della collettività. Il riferimento stringente alle condizioni modali per l’accesso alla misura, cementa una proiezione teleologica dello strumento sostitutivo che neppure il dato costituzionale dell’art. 27, comma 3, aveva inteso impalcare nel suo (più circoscritto) riferimento ad una pena “tendenzialmente” rieducativa. Implicito ad un “giudizio” pregno di componenti dinamiche, qual è la prognosi sulla prevenzione speciale positiva, è l’ascrizione al Giudice di considerevoli spazi di discrezionalità. Discrezionalità che si dinamizza (e si complica) essendo comunque chiamata a combinare l’esigenza di tipo individualistico, incarnata nell’idea specialpreventiva, con la necessità di tener conto, in sede di conversione della pena, anche dell’esigenza di difesa sociale, da definire anche attraverso il ricorso a specifiche prescrizioni [24]. Ecco allora che il legislatore indica al Governo di «disciplinare conseguentemente il potere discrezionale del giudice nella scelta tra le pene sostitutive» (art. 17, lett. c). Ai decreti legislativi viene affidato il compito di ricomporre la diade espressa nel codice penale dagli artt. 132 e 133; questa volta evitando di incorrere nel “vuoto dei fini” [25], attraverso la definizione di una discrezionalità vincolata al rispetto di indici fattuali e di scopo [26]. Il che, ovviamente, non può che andare di pari passo con la definizione di obblighi motivazionali rafforzati, e tali da consentire un controllo critico degli spazi esplicativi della discrezionalità nei diversi gradi di giudizio. Prospettiva quest’ultima che si [continua ..]


11. Presupposti applicativi, revoca e conversione delle sanzioni sostitutive

Come anticipato, la legge delega ha rivolto l’espressa indicazione al Governo di recuperare gli statuti disciplinari delle pene sostitutive offerte dall’ordinamento penitenziario e dal processo penale del giudice di pace, per declinare le misure – per così dire “gemelle” – della detenzione domiciliare, della semilibertà e del lavoro di pubblica utilità (art. 17, lett. f). L’art. 17, lett. d), prescrive poi di definire le condizioni soggettive per la sostituzione della pena detentiva, assicurandone il coordinamento con le preclusioni stabilite dall’ordinamento penitenziario per l’accesso alla semilibertà e alla detenzione domiciliare [29]. L’art. 17, lett. m) delega il governo a prevedere la revoca delle sanzioni sostitutive a fronte della loro mancata esecuzione, o in ragione dell’inosservanza grave o reiterata delle prescrizioni imposte. In caso di revoca delle sanzioni, la parte residua sarà convertita nella pena detentiva sostituita o in altra sanzione sostitutiva. In questo modo, il legislatore offre al giudice il potere di fare ancora ricorso ad una sanzione sostitutiva – anche innanzi all’inosservanza delle prescrizioni della pena sostituita – sebbene di maggiore afflittività rispetto a quella originariamente selezionata [30]. Esemplificando, al condannato che non abbia effettuato i pagamenti dovuti a seguito dell’inflizione di una pena pecuniaria, sostitutiva di una pena detentiva, in luogo del ripristino della sanzione privativa della libertà personale, il Giudice potrà irrogare – ove il reo non vi si opponga – l’obbligo del lavoro di pubblica utilità. Quanto all’ipotesi della conversione della pena pecuniaria a causa dell’inosservanza del reo, il Governo – in esecuzione della delega – dovrà far salva l’ipotesi che il mancato pagamento sia dovuto a insolvibilità del condannato o ad altro giustificato motivo. Il progetto riformatore prende una posizione netta sul tema della sospendibilità condizionale delle pene sostitutive; questione lungamente dibattuta in dottrina e in giurisprudenza [31]. Il legislatore della delega impone al Governo di prevedere che le disposizioni relative alla sospensione condizionale della pena non trovino applicazione in caso di conversione della pena detentiva in sanzioni sostitutive [continua ..]


12. La responsabilità penale per la violazione degli obblighi imposti con le pene sostitutive

In ragione della previsione di cui all’art. 17, lett. n), il Governo è chiamato infine a disciplinare la responsabilità penale da violazione degli obblighi relativi alle sanzioni sostitutive della semilibertà, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità, mutuandola da quanto attualmente previsto dagli artt. 47-ter e 51, l. n. 354/1975 [33] e dall’art. 56, d.lgs. n. 274/2000, inerente ai reati di competenza del giudice penale di pace. Le figure incriminatrici attualmente presenti prevedono la reclusione da 1 a 3 anni per coloro che incorrono nella violazione degli obblighi inerenti alla semilibertà e alla detenzione domiciliare, allineandosi alle soluzioni sanzionatorie proprie del reato di evasione. Viene fissata poi la reclusione fino a un anno per coloro che senza giusto motivo non si recano nel luogo in cui devono svolgere il lavoro di pubblica utilità o che lo abbandonano. Alla stessa pena soggiace il condannato che viola reiteratamente senza giusto motivo gli obblighi o i divieti inerenti alla pena del lavoro di pubblica utilità.


NOTE
Fascicolo 1 - 2022