Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Procedimento penale e diritto all'oblio (di Giulia Mantovani, Professore associato di Diritto processuale penale – Università degli Studi di Torino)


Il presente contributo si propone di analizzare la portata dell’innovazione delineata dal delegante in rapporto all’obiettivo di implementare il diritto all’oblio attraverso la deindicizzazione di contenuti online idonei a rivelare la sottoposizione dell’interessato a procedimenti penali che hanno avuto un esito per lui favorevole. Il terreno è dunque quello del rapporto fra l’individuo e i motori di ricerca generalisti (Google e analoghi), i quali debbono assicurare che la loro attività si svolga nel rispetto della normativa eurounitaria in materia di protezione dei dati personali. Il tassello che il delegante mira ad introdurre pare assumere le sembianze di un diritto di natura procedimentale volto a radicare nella positiva conclusione del procedimento penale un accesso semplificato alla deindicizzazione.

Parole chiave: diritto all’oblio, deindicizzazione dei contenuti on line.

Criminal proceedings and right to be forgotten

The essay focuses on the impact of the new rule designed by the proxy law to enforce the “right to be forgotten” through a delisting process of links to web pages comprising information relating to criminal proceedings against an identified or identifiable person following an outcome in his/her favour. The essay therefore concerns itself with relations between the data subject and the search engines (like Google), which must ensure that their activity meets the requirements of the General Data Protection Regulation. It seems that we can expect a new procedural right due to the proxy law, i.e. the right to an easier access to delisting as a result of the favourable outcome of the criminal proceedings against the data subject.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La deindicizzazione - 3. Gli interessi tutelati dal diritto alla deindicizzazione - 4. Il conflitto fra interessi contrapposti e la sua risoluzione - 5. Le prospettive dischiuse dalla delega - NOTE


1. Premessa

La direttiva contenuta nell’art. 1, comma 25, l. 27 settembre 2021, n. 134, chiama il legislatore delegato ad implementare «il diritto all’oblio degli indagati o imputati» attraverso lo strumento della deindicizzazione, «nel rispetto della normativa dell’Unione europea in materia di dati personali» [1]. Com’è noto, in quest’ultimo settore, alla direttiva 95/46/CE è subentrato il regolamento UE n. 2016/679 del 27 aprile 2016 (General Data Protection Regulation, d’ora in poi GDPR), al quale ha fatto seguito il d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, dedicato all’adeguamento della normativa nazionale. Nell’art. 17 GDPR trova espresso riconoscimento il diritto all’oblio [2], «introdotto […] per tenere conto del diritto di richiedere la deindicizzazione stabilito dalla sentenza Costeja», come si legge nel quarto paragrafo delle Guidelines 5/2019 on the criteria of the Right to be Forgotten in the search engines cases under the GDPR (part 1), adottate il 7 luglio 2020 dall’European Data Protection Board (EDPB). L’esplicita collocazione della genesi dell’art. 17 GDPR nella trama della celebre “sentenza Google Spain”, pronunciata nel 2014 dalla Corte di giustizia dell’Unione europea [3], ci ricorda – se mai ve ne fosse ancora bisogno – che il più potente propulsore del «processo di emersione dei diritti di ultima generazione» sono oggi le Corti (nazionali e sovranazionali) [4], mentre il legislatore non di rado sembra assimilarsi al filosofo, il quale, «nottola di Minerva [che] inizia il suo volo soltanto sul far del crepuscolo», «appare […] dopo che la realtà ha compiuto il suo processo di formazione e s’è bell’e assestata» [5]. Il settore dell’intervento demandato al legislatore delegato è quello del trattamento dei dati personali [6] relativi a condanne penali e reati ai quali si riferisce l’art. 10 GDPR [7]. Alla luce dell’interpretazione recentemente fornita dalla Corte di giustizia, infatti, «le informazioni relative a un procedimento giudiziario di cui è stata oggetto una persona fisica e, se del caso, quelle relative alla condanna che ne è conseguita costituiscono dati relativi alle “infrazioni” e alle “condanne penali” ai sensi [continua ..]


2. La deindicizzazione

La deindicizzazione interviene sugli indici creati e messi a disposizione degli internauti dai motori di ricerca generalisti, impoverendone i contenuti. Non ne risulta invece depauperata la mole delle informazioni presenti in rete, comunque reperibili – anche in caso di delisting – nel sito-sorgente (ossia il «primo sito nel quale il dato è apparso» [16]) e negli altri che le abbiano copiate (più o meno numerosi a seconda dell’appeal della notizia) [17], anche attraverso l’aiuto di motori di ricerca interni al sito ospitante. La deindicizzazione, infatti, consiste nella mera cancellazione dei link a determinate pagine web dall’e­lenco dei risultati ottenibili dall’utente mediante l’attivazione di un motore di ricerca generalista [18]. Più precisamente, in presenza di uno dei motivi elencati nell’art. 17 GDPR, l’interessato ha oggi il diritto di ottenere che determinati link non compaiano più nell’indice dei contenuti online associati a «interrogazioni che includono, in linea di principio, il [suo] nome», secondo quanto si legge nel paragrafo 9 delle già citate Guidelines adottate dall’EDPB. In altri termini, l’accoglimento di una richiesta di deindicizzazione non soltanto non sottrae contenuti ai siti-sorgente, ma neppure ne implica la cancellazione dalla memoria del motore di ricerca e dagli indici che esso è in grado di mettere a disposizione degli utenti. Semplicemente rende non reperibili determinate pagine web ogniqualvolta Google Search o simili siano attivati a partire dal nome dell’interessato. Lo stesso motore di ricerca che abbia deindicizzato un certo contenuto continuerà invece a renderlo rintracciabile attraverso parole-chiave diverse. Al riguardo in dottrina si è rilevato che deve ritenersi estranea alle pretese individuali tutelate dal diritto al delisting l’espunzione di determinati link dagli indici che Google e altri rendono disponibili «a fronte di ricerche particolarmente articolate, ove il nome dell’interessato rappresenti magari soltanto una parte della query», pena il pericolo che acquisisca consistenza lo spettro di «forme di censura nella Rete» [19]. Come precisano le Guidelines dell’EDPB (paragrafo 10), non è peraltro escluso che il motore di ricerca debba azionare uno strumento più radicale [continua ..]


3. Gli interessi tutelati dal diritto alla deindicizzazione

Il diritto alla deindicizzazione, dunque, riconosce e garantisce la pretesa dell’interessato «all’oscura­mento di determinati risultati di ricerca associati al proprio nome dalle search engine technologies» [22]. Emersa negli Anni Novanta come esigenza tecnica avvertita dai siti-sorgente al fine di un efficiente funzionamento [23], oggi la deindicizzazione risponde al bisogno di assicurare all’individuo una tutela dei suoi diritti fondamentali adeguata alle potenzialità invasive tipiche dell’attività dei motori di ricerca. Come rileva la “sentenza Google Spain” del 2014, quest’ultima, da un lato, «svolge un ruolo decisivo nella diffusione globale dei dati [personali]» e, dall’altro, consente agli utenti della rete di «stabilire un profilo più o meno dettagliato» di una certa persona semplicemente a partire dall’inserimento del suo nome nella stringa di ricerca messa a disposizione da Google (e simili) [24]. Attraverso gli indici di contenuti web creati a partire dal nome digitato dagli internauti, infatti, i motori di ricerca sono in grado di conferire ai dati personali «carattere ubiquitario» e un’organizzazione che aggrega «una moltitudine di aspetti della […] vita privata» del soggetto, i quali diversamente «non avrebbero potuto – o solo difficilmente avrebbero potuto – essere conness[i] tra loro» [25]. Soddisfacendo la pretesa del singolo a non essere trovato facilmente («non dunque, e non tanto» – si è osservato in dottrina – «un “right to be forgotten”, quanto un più pragmatico “right not to be found easily”» [26]), il diritto alla deindicizzazione corrisponde all’interesse dell’individuo al «ridimensionamento della propria visibilità telematica» [27] (riconducibile al nucleo originario del concetto di privacy come diritto del soggetto di essere lasciato solo) e al recupero di «una qualche forma di controllo, anche ex post, sui dati pubblicati con la tecnologia web in Internet», utile a contenere l’alimentazione di quella sorta di memoria online che costituisce «il cosiddetto inconscio digitale» [28] (e capace di connettere la deindicizzazione all’approdo del concetto di privacy rappresentato dal [continua ..]


4. Il conflitto fra interessi contrapposti e la sua risoluzione

Il diritto alla protezione dei dati personali non è «una prerogativa assoluta, ma va considerato alla luce della sua funzione sociale e va contemperato con altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità», come si legge nel “considerando” 4 del regolamento UE n. 2016/679 [37]. Nel nostro caso i competitors del diritto alla privacy (inteso in senso lato) sono la libertà d’impresa del motore di ricerca e la libertà di espressione e d’informazione. A fronte della «gravità potenziale» dell’ingerenza dell’attività dei motori di ricerca nel godimento dei diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali, nel 2014 la Corte di giustizia concluse che la direttiva n. 95/46/CE doveva essere interpretata nel senso che le esigenze di tutela dell’individuo sottese alla deindicizzazione prevalgono sul «semplice interesse economico» (e dunque sulla libertà d’impresa) dei gestori di Google Search (e simili). Non soltanto: nell’interpretazione della Corte, la valutazione circa la sussistenza dei presupposti previsti dalla direttiva per far valere la pretesa al delisting doveva di regola condurre alla prevalenza dei diritti fondamentali dell’individuo derivanti dagli artt. 7 e 8 della Carta anche «sul legittimo interesse degli utenti di Internet potenzialmente interessati ad avere accesso [all’informazione in questione]» [38]. In proposito può non essere ozioso ricordare, nell’ottica del principio di proporzionalità, che la deindicizzazione non impedisce tout court agli internauti di reperire le informazioni presenti nel web, ma esclude che esse possano essere trovate attraverso la modalità semplificata della mera digitazione del nome della persona cui si riferiscono nella stringa di ricerca messa a disposizione da Google o da altri gestori analoghi. La Corte riconobbe comunque che anche il sacrificio di tale accesso agevolato alle informazioni potrebbe risultare eccessivo nel caso concreto così da non consentire di ravvisare la sussistenza dei presupposti per ottenere la deindicizzazione. Nella “sentenza Google Spain” del 2014 è citato espressamente «il ruolo ricoperto […] nella vita pubblica» come ragione particolare potenzialmente idonea a rendere preponderante [continua ..]


5. Le prospettive dischiuse dalla delega

La direttiva contenuta nell’art. 1, comma 25, l. n. 134/2021 si colloca sul terreno esplorato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza del 2019. In particolare, il delegante prende in considerazione la pretesa del soggetto alla dis-associazione del proprio nome da determinati risultati che indirizzano l’utente di un motore di ricerca generalista verso pagine web contenenti informazioni idonee a rivelare la sua sottoposizione ad un procedimento penale che si è concluso in senso a lui favorevole. Alla luce della direttiva parlamentare, l’attività del governo risulta «funzionalizzata» all’obiet­tivo [49] di implementare il «diritto all’oblio degli indagati o imputati» che siano stati destinatari di un decreto di archiviazione, di una sentenza di non luogo a procedere oppure di una sentenza di assoluzione. Più precisamente, l’obiettivo assegnato al delegato è l’implementazione del diritto alla deindicizzazione, quale «autonoma pretesa soggettiva dell’interessato, il cui esercizio può comportare l’effetto dell’o­blio» [50], inteso come ridimensionata visibilità telematica. Lo strumento individuato allo scopo dal delegante pare identificabile in un diritto di natura procedimentale volto ad alleggerire gli oneri di allegazione gravanti sull’interessato nel contesto dell’iter volto all’emissione di un provvedimento di deindicizzazione. Nello specifico, è oggetto di delegazione legislativa la modifica delle «norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, in materia di comunicazione della sentenza». Il «principio e criterio direttivo» rivolto al governo circoscrive la preconizzata comunicazione alla suddetta serie di provvedimenti (ove non più soggetti a impugnazione, sembra doversi ritenere [51]). Accomunati dalla natura (in senso lato) liberatoria nei confronti del loro destinatario, essi compongono un elenco fonte di qualche interrogativo, che il legislatore delegato dovrà sciogliere. In primo luogo, l’art. 1, comma 25, l. n. 134/2021 contiene un riferimento esplicito soltanto all’archiviazione disposta con decreto. Tuttavia, l’esclusione dell’ordinanza avente analogo contenuto decisorio dalla categoria [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2022