Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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L'amministrazione dei beni sottoposti a sequestro e l'esecuzione della confisca (di Paolo Troisi, Ricercatore di Procedura penale – Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”)


Amministrazione dei beni sequestrati ed esecuzione della confisca sono temi a lungo trascurati nel contesto processuale. Obiettivo della legge delega, quanto a gestione dinamica dei cespiti appresi, è congegnare una disciplina organica, seppur attraverso un criterio direttivo che, assumendo ad archetipo proprio la norma (art. 104-bis disp. att. c.p.p.) che oggi regola la materia, non brilla in chiarezza. Riguardo alle modalità esecutive della misura ablativa, gli intenti sono più circoscritti: in caso di confisca per equivalente non preceduta da sequestro, assimilarle a quelle che governano la riscossione della pena pecuniaria; quando occorra procedere alla vendita, consentire la delega delle operazioni. Spetterà al legislatore delegato cogliere i risvolti delle scelte compiute, individuando soluzioni nor­mative che non alimentino i prevedibili contenziosi interpretativi.

Parole chiave: amministrazione dei beni sequestrati, confisca.

Administration of assets subject to seizure and execution of confiscation

Administration of seized assets and execution of confiscation are issues that have long been neglected in the context of criminal proceedings. The aim of the reform is, first, to devise an organic discipline for the dynamic management of seized assets; the formulated directive, however, does not shine clearly, as it assumes as an archetype for the reform the norm that regulates the matter today (art.104-bis disp. att. c.p.p.). About the execution of the confiscation, the intentions are, on the contrary, more circumscribed. In the event of confiscation of equivalent value not preceded by seizure, the aim is to assimilate the executive forms to those governing the collection of the financial penalty. In the event that it is necessary to proceed with the sale, the purpose is to allow the delegation of operations. It will be up to the delegated legislator to evaluate the implications of those choices, identifying regulatory solutions that do not feed predictable interpretative disputes.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. L’esecuzione della confisca per equivalente: portata della delega - 3. Segue. Aspetti problematici - 4. La vendita dei beni confiscati - 5. L’amministrazione dei beni - NOTE


1. Premessa

Il comma 14 della delega (art. 1 l. n. 134/2021) traccia il perimetro degli interventi in tema di «amministrazione dei beni in sequestro e di esecuzione della confisca». Due sono i princìpi e criteri direttivi, entrambi estranei all’originario d.d.l. “Bonafede” ed elaborati dalla Commissione “Lattanzi”. Il primo intende novare le modalità esecutive del provvedimento ablativo sotto un duplice aspetto: ove la confisca per equivalente non abbia ad oggetto beni mobili o immobili sequestrati, l’obiettivo è assimilarne le forme attuative a quelle che governano la riscossione delle pene pecuniarie; quando occorra procedere alla vendita dei beni confiscati a qualsiasi titolo, il proposito è rendere esperibile la delega delle operazioni secondo la disciplina civilistica. La Commissione “Lattanzi” ha, in merito, esternato lo scopo di «risolvere la questione delle competenze e delle modalità di liquidazione dei beni definitivamente confiscati nell’ambito di processi penali in ordine a reati per i quali non si applicano le disposizioni del codice antimafia, oltre che risolvere in via definitiva la tematica, complessa, relativa alle modalità di esecuzione della confisca per equivalente, quando essa non sia preceduta dalla materiale apprensione, già in sede di sequestro, di specifici beni» [1]. Il secondo, invece, chiede di regolare «l’amministrazione dei beni sottoposti a sequestro e dei beni confiscati in conformità alle previsioni dell’art. 104-bis disp. att. c.p.p.». Ambito ne è, dunque, un settore a lungo trascurato dal legislatore processuale, che solo negli ultimi anni, a fronte del progressivo e­spandersi delle conseguenze patrimoniali dei reati, ha attinto, attraverso interventi parcellizzati, a fram­menti, più o meno consistenti, dell’organico statuto congegnato, in materia, dal codice antimafia. Nulla si dice, tuttavia, sul punto, nella Relazione finale della Commissione “Lattanzi”. Il che acuisce i dubbi sulla portata di una delega che mira ad implementare codice di rito e norme di attuazione, con riferimento all’esigenza di gestire dinamicamente i beni appresi, assumendo ad archetipo una disciplina già in essi, a tal fine, apprestata (l’art. 104-bis disp. att. c.p.p.).


2. L’esecuzione della confisca per equivalente: portata della delega

Le novità che la delega prospetta con riguardo all’esecuzione della confisca abbracciano, anzitutto, la fattispecie della confisca di valore non preceduta da vincolo cautelare reale. La giurisprudenza di legittimità ha, in proposito, ammesso la possibilità che l’ablazione del tantundem sia disposta senza che ne siano specificamente individuati i beni, attraverso il mero accertamento dell’ammontare del profitto o del prezzo confiscabile [2]. Pacifico è, d’altronde, che il provvedimento non debba essere necessariamente preceduto dal sequestro ad esso funzionale [3]. Sul duplice presupposto dell’omessa indicazione dei beni e dell’assenza di una pregressa misura cautelare [4], si è, dunque, demandato al magistrato requirente, quale promotore della fase esecutiva [5], il compito di selezionare i cespiti da apprendere e di verificare che il valore sia equivalente al quantum giurisdizionalmente determinato; l’interessato, che si ritenga pregiudicato dai criteri adottati, può, comunque, ricorrere al giudice dell’esecuzione [6]. Al fine di superare «tutte le problematiche emerse in giurisprudenza circa l’autorità competente ad eseguire dette confische» [7], l’espediente messo a punto dal delegante è regolarne le modalità attuative secondo scansioni analoghe a quelle che consentono di riscuotere le pene pecuniarie. L’assunto di base è che la confisca per equivalente non preceduta da sequestro comporta, per il destinatario, «l’obbligo di corrispondere un importo pecuniario» e, per lo Stato, «consiste in un titolo esecutivo per quel medesimo importo», esattamente «come accade per le condanne a pena pecuniaria» [8]. Paradigma di riferimento è il disposto dell’art. 735-bis c.p.p. che, in relazione ai provvedimenti resi da autorità straniere aventi ad oggetto una «confisca consistente nella imposizione del pagamento di una somma di denaro corrispondente al valore del prezzo, del prodotto o del profitto del reato» (riconducibili, appunto, «alla confisca per equivalente che non si sia già manifestata nell’apprensione di un bene in sede di sequestro») [9], prevede che l’esecuzione avvenga con le forme prescritte per le pene pecuniarie [10]. Nel mutuare (e generalizzare) la [continua ..]


3. Segue. Aspetti problematici

Ora, se è difficile dubitare dell’indole afflittivo-punitiva della confisca per equivalente, assimilarla, seppur nelle forme esecutive (e quando non preceduta da sequestro), all’obbligo di «corrispondere un importo pecuniario» non pare in linea con le differenti “fattezze” che la misura, per come legislativamente tracciata, presenta. L’attitudine sanzionatoria, che ne impedisce l’inquadramento come “misura di sicurezza”, è legata ad un duplice profilo: la mancanza di pericolosità dei beni che ne formano oggetto; l’assenza di un rapporto di pertinenzialità tra reato e detti beni [16]. È, quindi, «l’imputato che viene direttamente colpito nelle sue disponibilità economiche (e non la cosa in quanto derivante dal reato), e ciò proprio perché autore dell’illecito, restando il collegamento tra la confisca, da un lato, ed il prezzo o profitto del reato, dall’altro, misurato solo [in termini] di equivalenza economica» [17]. Il che, tuttavia, se imprime al congegno carattere e scopi divergenti dall’ablazione diretta, di cui, comunque, rappresenta meccanismo vicario, e lo connota quale rimedio flessibile, volto a bypassare l’impossibilità, quand’anche transitoria e reversibile [18], di reperire quanto derivato dal reato, non gli fa smarrire i tratti di provvedimento diretto a trasferire allo Stato la proprietà delle somme di denaro, dei beni o delle altre utilità che ne sono attinti: spetta al giudice, con la sentenza di condanna (o di applicazione di pena), indicare i cespiti di valore corrispondente al guadagno illecito, verificando semplicemente che siano nella disponibilità del reo [19]; è su questi – che la prassi ammette, come visto, possano essere selezionati, in caso di omissione del giudice, anche dal promotore della fase esecutiva – che la confisca esplica i suoi effetti, generandone il passaggio al patrimonio dello Stato. Le formule normative, sovrapponibili pur nelle differenze lessicali [20], nel prescrivere, quando non sia possibile quella diretta, la confisca di ciò di cui il condannato abbia «disponibilità» per un «valore corrispondente», disegnano uno strumento dai connotati distonici rispetto al mero obbligo di pagare una somma di denaro [21]. Centrale è il [continua ..]


4. La vendita dei beni confiscati

La seconda modifica che la delega mira ad introdurre sul fronte dell’esecuzione della confisca attiene alle modalità di vendita dei beni che, per effetto della definitività del provvedimento, siano entrati nel patrimonio dello Stato. Il tenore letterale della norma pare involgere, nel suo spettro di operatività, l’alienazione di cespiti «a qualsiasi titolo» confiscati nel «processo penale», lasciando fuori, esclusivamente, la confisca di prevenzione. La Relazione finale della Commissione “Lattanzi”, tuttavia, ne restringe i confini, escludendo dal suo raggio le misure ablative alle quali «si applicano le disposizioni del codice antimafia» [33]. Il riferimento è alla confisca in casi particolari (art. 240-bis c.p.) ed a quella ordinata in procedimenti per delitti di criminalità organizzata (art. 51, comma 3-bis, c.p.p.), per le quali è mutuata – in forza del rinvio dettato dall’art. 104-bis, comma 1-quater, disp. att. c.p.p. – la disciplina apprestata per le misure di prevenzione [34], nell’ambito della quale la vendita, oltre a rappresentare sbocco residuale rispetto a destinazioni alternative rispondenti a finalità di pubblico interesse, è regolamentata nei dettagli e affidata all’Agenzia nazionale per i beni confiscati (artt. 47 e 48 d.lgs. n. 159/2011). Il criterio direttivo, dunque, al di là della formula apparentemente onnicomprensiva, è rivolto unicamente alle altre fattispecie di confisca post delictum, per le quali la vendita – all’infuori di norme speciali riservate a singole categorie di beni o a specifici reati e sempreché il giudice non ritenga opportuno disporre la distruzione – rappresenta, stando al disposto dell’art. 86 disp. att. c.p.p., la «destinazione naturale delle cose confiscate» [35]. A tanto provvede, in base all’attuale normativa, la cancelleria del giudice che ha disposto la confisca [36], potendosi avvalere anche degli istituti di vendite giudiziarie (art. 13 reg. es. c.p.p.). Numerose sono le problematiche a cui ha dato vita l’assetto. Come rilevato dalla Commissione “Lattanzi”, «la proliferazione nell’ordinamento di una pluralità di ipotesi di confisca ha comportato la congestione delle cancellerie degli uffici giudiziari, anche in ragione del fatto che si [continua ..]


5. L’amministrazione dei beni

Il criterio trasfuso nella lett. b) del comma 14, nell’elevare a paradigma per intervenire in tema di amministrazione dei beni sequestrati e confiscati nel processo penale un articolo già, a tal fine, inserito nelle norme attuative, senza offrire più specifiche direttive, ha i connotati di una clausola aperta, inidonea, in quanto tale, ad indirizzare l’opera del legislatore delegato. Non è dato, in effetti, comprendere in che modo l’art. 104-bis disp. att. c.p.p. dovrebbe (o potrebbe) orientare il Governo nell’implementare una disciplina che proprio in esso rinviene, in ambito processuale, la sua unica fonte regolamentare. Per tentare di decifrare l’enigma, occorre, allora, muovere proprio dalla (pur rapida) disanima del­l’attuale previsione che, più volte rimaneggiata e integrata [39] e non sempre limpida nel suo portato [40], istituisce, in materia, un doppio binario. Con riferimento ad ogni ipotesi di sequestro preventivo (impeditivo o strumentale che sia) avente ad oggetto «aziende, società ovvero beni di cui sia necessario assicurare l’amministrazione» (con l’unica eccezione di quelli destinati a confluire nel Fondo unico giustizia), prescrive la nomina di un amministratore giudiziario scelto nell’albo di cui all’art. 35 d.lgs. 159/2011, pur consentendo, con decreto motivato, una «custodia» affidata a soggetti diversi. Nomina e revoca dell’amministratore, compiti e obblighi dello stesso e gestione dei beni seguono la corrispondente disciplina dettata dal codice antimafia (artt. 35-44 d.lgs. n. 159/2011). Allorché si tratti di sequestro a fini di confisca trovano, altresì, applicazione le norme del citato codice relative alla tutela dei creditori in buona fede (artt. 52-62 d.lgs. n. 159/2011) e ai rapporti con le procedure concorsuali (artt. 63-65 d.lgs. n. 159/2011). Le funzioni di «giudice delegato alla procedura» – a cui spetta, tra l’altro, nominare l’amministratore, sovrintendere al suo operato e predisporre la tutela dei terzi [41] – sono svolte «dal giudice che ha emesso il decreto di sequestro ovvero, nel caso di provvedimento emesso da organo collegiale, dal giudice delegato nominato» ai sensi dell’art. 35, comma 1, d.lgs. n. 159/2011 (art. 104-bis, commi 1-1-ter, disp. att. c.p.p.). Diverso regime è, invece, riservato alle [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2022