Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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L'innovata fisionomia del giudizio di legittimità (di Andrea Chelo, Professore associato di Diritto processuale penale – Università degli Studi di Cagliari)


La “riforma Cartabia”, nome con il quale è noto l’intervento di modifica del sistema processuale penale di cui alla legge delega 27 settembre 2021, n. 134, attende di essere attuata con riferimento alla trasformazione del giudizio di fronte alla Corte di cassazione. Si tratta di un intervento volto a sostituire il contraddittorio orale con quello cartolare, al fine di snellire la celebrazione dei procedimenti e rendere così più sostenibile il carico giudiziario gravante sul Supremo Collegio. Una modifica normativa che non esclude radicalmente l’oralità di fronte alla Corte di cassazione ma la condiziona ad una richiesta delle parti o ad una decisione del giudice; le fanno da contorno la trasformazione in norma dell’obbligo di preventiva informazione della possibilità di riqualificazione giuridica del fatto e l’introduzione di due nuovi istituti, il “regolamento di competenza territoriale” e un mezzo di impugnazione straordinario finalizzato a dare esecuzione alla sentenza definitiva della Corte Europea dei Diritti dell’uomo (quest’ultimo non analizzato nel presente contributo).

Parole chiave: ricorso per cassazione, inammissibilità, giudizio cartolare.

New rules for the legitimacy judgement

The so-called "Cartabia reform" – the name by which the modification of the criminal procedure system under the delegated law no. 134 of september 27th 2021 is known – is waiting to be implemented with reference to the transformation of the procedure before the Supreme Court. This is an intervention aimed at replacing the oral hearing with a written procedure, in order to simplify the proceedings before the Supreme Court. This change in the law does not radically rule out oral arguments before the Supreme Court but makes it conditional on a request by the parties or a decision by the judge; it is accompanied by the transformation into a rule of the obligation to inform in advance of the possibility of the legal re-qualification of the fact and by the introduction of two new institutions, the "regolamento di competenza territoriale" (literally, "the regulation of territorial jurisdiction") and an extraordinary remedy aimed at enforcing the final judgments of the European Court of Human Rights (the last one, not analysed in this comment).

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Le tracce dell’emergenza pandemica e la volontà di ridurre i tempi senza eliminare le garanzie - 3. Il ripensamento circa l’introduzione della declaratoria di inammissibilità «senza formalità di procedura» - 4. Il nuovo giudizio “cartolare” - 5. La compatibilità del contraddittorio cartolare con i principi convenzionali e costituzionali - 6. Contraddittorio orale vs contraddittorio cartolare - 7. Il contraddittorio sulla qualificazione giuridica del fatto - 8. Il regolamento preventivo di competenza territoriale - 9. Riflessioni conclusive … in attesa dell’attuazione della delega - NOTE


1. Premessa

Tra le modifiche introdotte dalla l. 27 settembre 2021, n. 134, di riforma del processo penale, ve ne sono due che toccano essenzialmente il giudizio di fronte alla Corte di cassazione; si tratta di disposizioni non immediatamente applicabili, che attendono, dunque, l’adozione di un decreto che le renda operative [1]. Il riferimento va espressamente all’art. 1, comma 13, lett. m) e n), della citata legge. Come si avrà modo di osservare, la prima delle due disposizioni di delega interviene innanzitutto, sulle modalità di celebrazione del giudizio di cassazione, nel tentativo di ottimizzarne la trattazione, introducendo quale regola, derogabile d’ufficio o su istanza delle parti, quella della cartolarità del contraddittorio. La seconda disposizione, anch’essa dettata dalla finalità di ottimizzazione dei tempi del procedimento, delega ad introdurre una nuova ipotesi di ricorso al Supremo Collegio: quella del regolamento preventivo di competenza territoriale, finalizzato ad ottenere quanto prima una pronuncia della Corte di legittimità ed evitare successive regressioni procedimentali.


2. Le tracce dell’emergenza pandemica e la volontà di ridurre i tempi senza eliminare le garanzie

Tra i segni lasciati dalla pandemia di Covid-19 sul processo penale è certamente da annoverarsi quello del germe che porterà alla trasformazione permanente della fisionomia del giudizio di cassazione [2]. Durante la pandemia, l’esigenza di evitare la celebrazione dell’udienza di fronte alla Suprema Corte, così escludendo i rischi connessi allo spostamento sul territorio nazionale di magistrati e avvocati e limitando al massimo il contatto sociale, aveva indotto il legislatore all’adozione della regola della cartolarità del giudizio di impugnazione, dapprima in termini assoluti e successivamente, invece, derogabile su espressa richiesta delle parti. La normativa in vigore, con riferimento ai procedimenti davanti la Corte di cassazione, è quella di cui all’art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, la cui operatività è stata in più occasioni prorogata, risultando, al momento attuale, applicabile fino al 31 dicembre 2022. Vi è stata, per vero, una finestra di inoperatività di tali regole relativamente a tutte le udienze fissate nel periodo dal 1° agosto 2021 al 30 settembre 2021, ciò che pareva rappresentare un tentativo di ritorno alla normalità in un periodo verosimilmente interessato da una riduzione del contagio e, pertanto, dei rischi connessi alla celebrazione in presenza dei processi [3]. In realtà, la delega contenuta nella legge in commento stravolge completamente la prospettiva e mostra l’intento del legislatore, ora ispirato da finalità di riduzione dei tempi e non più dall’esigenza di limitare il contatto sociale, di trasformare definitivamente le regole di celebrazione del giudizio di legittimità. D’altronde, la stessa Relazione finale dei lavori della Commissione Lattanzi [4], che ha individuato le linee della riforma, riconosce che gli interventi prospettati sul procedimento di legittimità muovono dalla convinzione che sia necessario proseguire quel percorso riformatore diretto a restituire centralità alla funzione nomofilattica affidata alla Corte di cassazione, alla cui base stanno beni costituzionali di primario rilievo come il canone di uguaglianza e il principio di legalità [5]. Nelle osservazioni della Com­missione si avverte, dunque, la necessità di creare le condizioni che consentano alla Corte di svolgere la propria funzione [continua ..]


3. Il ripensamento circa l’introduzione della declaratoria di inammissibilità «senza formalità di procedura»

In premessa è da notare che, rispetto agli iniziali emendamenti del Governo [7] formulati sulla base delle indicazioni della Commissione Lattanzi, non è stata riproposta con quelli definitivi la previsione che estendeva a tutte le ipotesi di inammissibilità il particolare procedimento di cui all’art. 610, comma 5-bis, c.p.p., ovvero la dichiarazione di inammissibilità «senza formalità di procedura» in luogo dell’or­dinario passaggio davanti alla VII Sezione. Inizialmente, infatti, si era stabilito che la decretazione delegata avrebbe dovuto: estendere la procedura senza formalità di cui alla citata disposizione [8] a tutti i casi di inammissibilità del ricorso e di ricorso manifestamente infondato; prevedere un termine perentorio entro il quale le parti private e il procuratore generale potessero presentare opposizione motivata avverso la decisione di inammissibilità o di accoglimento; prevedere che sull’opposizione decidesse l’apposita sezione di cui all’articolo 610, comma 1, c.p.p., la quale, nell’ipotesi di mancata conferma dell’inammissibilità, avrebbe dovuto rimettere il ricorso alla sezione ordinaria; prevedere che l’opposizione non sospendesse, comunque, l’esecuzione della ordinanza di inammissibilità, ferma la possibilità per la Corte di cassazione di disporre, su richiesta di parte, la sospensione in presenza di gravi ragioni [9]. Fortunatamente, però, in fase di approvazione della legge si è accantonata la possibilità di una dichiarazione di inammissibilità “all’ingrosso”, per mantenere le attuali regole sul punto; ciò che pare, sicuramente, un aspetto positivo dell’approccio del legislatore. La dichiarazione di inammissibilità «senza formalità di procedura» oggi è riservata alle ipotesi di difetto di legittimazione, non impugnabilità del provvedimento, inosservanza delle disposizioni di cui agli artt. 582, 583, 585 e 586 c.p.p. e di rinuncia all’impugnazione: estenderla a tutti i casi di inammissibilità del ricorso e, addirittura, a quelli di ricorso manifestamente infondato, escludendo una previa interlocuzione delle parti, avrebbe non solo potenziato il rischio di un allargamento delle maglie della valutazione di inammissibilità – con ampliamento dei casi di [continua ..]


4. Il nuovo giudizio “cartolare”

Come anticipato, la vera innovazione della riforma Cartabia in relazione al giudizio di legittimità è rappresentata dall’introduzione, a regime, della “cartolarizzazione” del processo penale. L’oralità, da sempre conosciuta anche nel giudizio di cassazione, lascia spazio al processo scritto; se, infatti, la regola dell’udienza in camera di consiglio non partecipata, il cui paradigma veniva disciplinato dall’art. 611 c.p.p., era già nota nel procedimento celebrato dal Supremo Consesso, la sua applicazione non era generalizzata, rimanendo esclusa in talune rilevantissime situazioni nelle quali veniva seguito il rito in pubblica udienza o quello in camera di consiglio ex art. 127 c.p.p. L’art. 611 c.p.p., infatti, nel prevedere un procedimento in camera di consiglio per tutti i ricorsi contro provvedimenti non emessi nel dibattimento escluse le sentenze pronunciate nel giudizio abbreviato, stabilisce che, in mancanza di diversa previsione «e in deroga a quanto previsto dall’articolo 127, la corte giudica sui motivi, sulle richieste del procuratore generale e sulle memorie delle altre parti senza intervento dei difensori» [12], disponendo altresì che «fino a quindici giorni prima dell’udienza, tutte le parti possono presentare motivi nuovi e memorie e, fino a cinque giorni prima, possono presentare memorie di replica». Le Sezioni Unite del Supremo Collegio [13] hanno riconosciuto che il rito camerale di cassazione previsto dall’art. 611 c.p.p. costituisce una forma specifica e generale per la sede di legittimità, derogatoria rispetto alla forma prevista in via generale per la sede di merito, la cui peculiarità consiste nella modalità attuativa del principio del contraddittorio (cartolare e non partecipato). L’art. 611 c.p.p., che presenta corrispondenze con l’art. 531 del previgente codice di rito, ha dato attuazione all’art. 2, Direttiva n. 89, della legge delega per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale (l. n. 81/1987), ma nell’ese­gesi della disposizione, però, deve essere altresì tenuta in considerazione anche la Direttiva n. 95 contenuta nell’art. 2 della legge delega, relativa al “diritto delle parti di svolgere le conclusioni davanti alla Corte di cassazione”, che differiva, a ben vedere, rispetto al contenuto della Direttiva [continua ..]


5. La compatibilità del contraddittorio cartolare con i principi convenzionali e costituzionali

Esiste uno stretto legame tra le regole processuali e i valori fondanti di un sistema democratico, sicché non può prescindersi, nell’individuazione delle prime, dalla verifica in concreto del rispetto dei secondi; è allora indispensabile, anche in questo caso, valutare se la nuova forma processuale si ponga in termini di compatibilità con l’attuale assetto costituzionale e convenzionale. In via di prima approssimazione riteniamo che la nuova regola, ispirata a garantire il contraddittorio cartolare in luogo di quello orale, non sollevi problematiche particolari; anzi, conformemente a quanto affermato dalla Commissione Lattanzi, siamo portati a sostenere che essa sia capace di assicurare nel giudizio di cassazione una «dialettica adeguata», vista la sede di applicazione e, soprattutto, data la possibilità per le parti di non esserle vincolate nel caso di una sua “inadeguatezza” proprio in termini dialettici. È quest’ultima ragione, fondamentalmente, che ci consente di esprimere un giudizio positivo. Oralità e pubblicità dell’udienza sono elementi tra loro intimamente legati: può esserci oralità senza pubblicità ma non è ammesso il contrario, nel senso che il diritto ad un’udienza pubblica implica necessariamente il diritto ad un’udienza orale [19]. Finora, nel giudizio di cassazione, il legislatore aveva previsto tre diverse combinazioni di tali principi: oralità e pubblicità nell’udienza ex art. 614 c.p.p., oralità senza pubblicità nell’udienza ex art. 127 c.p.p., nessuna oralità e nessuna pubblicità nell’udienza ex art. 611 c.p.p.; con la riforma, invece, i primi due regimi verranno sostituiti dal terzo, salva la possibilità di una loro applicazione su richiesta di parte o d’ufficio. È necessario, dunque, valutare se esistano previsioni costituzionali o convenzionali che impongano la trattazione orale nel giudizio di legittimità, ovvero, ancor prima, la sua celebrazione con udienza pubblica. La pubblicità, infatti, assume valore nel sistema poiché quest’ultimo ripugna la giustizia “segreta” che, come tale, si sottrae al controllo pubblico; in quanto espressione di civiltà giuridica, di essa si rinviene la presenza non soltanto nell’ordinamento italiano, ma anche nella [continua ..]


6. Contraddittorio orale vs contraddittorio cartolare

Riconosciuta, dunque, la pacifica legittimità di un’udienza non pubblica e di un contraddittorio cartolare nel giudizio di legittimità (allorquando non “coatti”), il problema resta quello di comprendere quale possa essere la miglior forma di contraddittorio in tale sede: quella che possa portare, con maggiore facilità, ad una decisione giusta, obiettivo al quale il processo è finalisticamente orientato. D’al­tronde, nonostante l’intento dell’attuale riforma sia, in prima battuta, quello di una riduzione dei tempi del giudizio, non può ritenersi che ciò possa avvenire a discapito del diritto di difesa o dell’interesse alla correttezza della decisione. La soluzione non è semplice da individuare. Sicuramente, infatti, allorquando si procede all’assun­zione della prova l’oralità è fondamentale ed imprescindibile; ma viene da chiedersi se tale caratteristica, indispensabile nel primo grado di giudizio – quando l’oralità contribuisce, cioè, alla formazione della prova ma anche, per la prima volta, alla prospettazione dei risultati di essa – rimanga irrinunciabile pure in relazione ai giudizi di impugnazione. Talvolta, infatti, ciò che si può esprimere bene oralmente si può esprimere meglio per iscritto; ed è senza senso pensare che l’oralità nel grado di impugnazione abbia la funzione esclusiva di consentire di ripetere a voce ciò che già si è scritto nei motivi di appello o di ricorso, perché essa mira, necessariamente, a molto di più. La consapevolezza della realtà in cui la Corte di Cassazione opera ogni giorno porta inevitabilmente ad essere coscienti del fatto che, talvolta, l’oralità di fronte al Supremo Collegio si riduce, da un lato, ad una richiesta di inammissibilità o di rigetto e, dall’altro, ad un mero “riportarsi ai motivi di impugnazione” per l’accoglimento; così, d’altronde, non può che essere, in presenza di ruoli d’udienza talmente carichi da non consentire a tutte le parti coinvolte di esercitare più compiutamente la propria funzione: discorso che vale, peraltro, come mera presa di coscienza e non potrebbe affatto assurgere a giustificazione per una modifica del rito. Allo stesso modo, però, un intervento orale che si [continua ..]


7. Il contraddittorio sulla qualificazione giuridica del fatto

Un’ulteriore previsione della delega impone, poi, che la Suprema Corte debba instaurare preventivamente il contraddittorio, nelle diverse forme previste per la celebrazione dell’udienza, qualora intenda procedere ad una riqualificazione giuridica del fatto: in tal caso – è evidente – la scelta del legislatore pare indirizzata a consentire il diritto di difesa anche sulla qualificazione giuridica del fatto. Si tratta, a ben vedere, della trasformazione in norma di un orientamento giurisprudenziale formatosi, obtorto collo, a seguito della condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo in relazione al caso Drassich [48]. Da tempo la giurisprudenza ritiene che la Corte di cassazione e la Corte d’appello abbiano il potere di modificare la qualificazione giuridica del fatto, anche in termini peggiorativi e fermo il limite rappresentato dal divieto di reformatio in peius, avente riferimento, però, solamente alla qualità e alla quantità della pena inflitta e ai benefici concessi [49]; si è, però, dovuto recepire progressivamente il principio, di matrice convenzionale, secondo cui la garanzia del contraddittorio deve investire non solamente la fase della formazione della prova, ma anche quella della valutazione giuridica dei fatti. Ne è conseguita, dunque, la necessità di operare una lettura dell’art. 521, comma 1, c.p.p. conforme alla previsione dell’art. 111, comma 2, Cost. e ai principi affermati dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che ha condotto ad affermare la necessità di una previa informazione dell’imputato e del suo difensore circa l’eventualità che la Suprema Corte possa dare al fatto una diversa qualificazione giuridica [50]. È in buona sostanza necessario che la possibilità di un mutamento della qualificazione giuridica venga rappresentata al difensore dell’imputato con un atto del giudice, affinché la parte possa beneficiare di un congruo termine per apprestare la propria difesa [51]. Da rilevare, però, che la giurisprudenza ha sostenuto che la diversa qualificazione giuridica del fatto non determina la violazione dell’art. 521 c.p.p. quando appare come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile e l’imputato ed il suo difensore abbiano [continua ..]


8. Il regolamento preventivo di competenza territoriale

La legge delega prevede, infine, un nuovo istituto: il regolamento preventivo di competenza territoriale. Si tratta di un meccanismo incidentale di rimessione di una questione di competenza per territorio alla Corte di Cassazione, affinché il Collegio possa definire tale aspetto in una fase anticipata del giudizio. La finalità della previsione è, infatti, dichiaratamente quella di far sì che un rinvio tempestivo possa evitare che l’incompetenza, eccepita nei termini, venga riconosciuta fondata solo dalla Corte di cassazione, quando questa, dopo due gradi di giudizio, venga chiamata a decidere sul ricorso avverso il provvedimento principale (ipotesi spesso frequente); ciò in quanto, in tal caso, alla riconosciuta incompetenza consegue l’annullamento del provvedimento al fine di consentire la celebrazione di un nuovo processo di fronte al giudice competente. La già citata Relazione della Commissione Lattanzi, proprio in virtù di una definizione in via definitiva e anticipata, riconosce all’istituto la possibilità di mettere, sotto questo profilo, «il processo “in sicurezza”»: un risultato capace altresì di ossequiare «il principio costituzionale dell’efficienza e della ragionevole durata del processo». La delega dovrà essere attuata attraverso la creazione di norme specifiche che comportino la possibilità, per il giudice che sia chiamato a decidere una questione di competenza per territorio, di rimettere la decisione alla Corte di cassazione, d’ufficio o su istanza di parte [58]. Si prevede, peraltro, che l’istanza di rimessione che giunga dalla parte rappresenti condizione per una successiva riproposizione della questione nel procedimento: in buona sostanza, qualora sollevata una questione di competenza la parte non proponga istanza di rimessione della decisione al Supremo Collegio, non potrà più riproporre la questione nel corso del procedimento stesso. Sulla questione di competenza rimessa, la Corte, secondo la medesima delega, dovrà decidere in camera di consiglio, all’esito della quale, qualora il Collegio dichiarasse l’incompetenza del giudice, dovrà essere ordinata la trasmissione degli atti al giudice competente. Resta da rilevare, perché di particolare interesse, la differenza esistente tra il testo proposto dalla Commissione e quello [continua ..]


9. Riflessioni conclusive … in attesa dell’attuazione della delega

Dalla legge delega in generale e, soprattutto, dalle disposizioni commentate traspare complessivamente come la finalità della riforma sia chiaramente quella di una riduzione dei tempi processuali, per il tramite della quale giungere, altresì, ad una riduzione del carico giudiziario: obiettivo, questo, chiaramente perseguito dal Piano Nazionale di Rinascita e Resilienza [59], che per la giustizia penale prevede la necessità di un intervento riformatore che, muovendosi sotto diversi profili, garantisca, appunto, «l’efficienza del processo» e la «celere definizione dei procedimenti giudiziari». Anche lasciando sullo sfondo l’introduzione del “regolamento preventivo di competenza territoriale”, che può conseguire i suoi frutti esclusivamente in un limitato numero di casi, la modifica alle regole di giudizio di fronte alla Suprema Corte pare, infatti, rientrare appieno in quell’«uso più diffuso di procedure semplificate» che negli impegni assunti verso l’Unione europea avrebbe dovuto formare necessariamente un ambito di intervento. Come già anticipato, trattandosi di modifica che non esclude, ma condiziona ad una esplicita richiesta, il contraddittorio orale, essa pare soluzione ragionevole alla luce dell’intento deflativo, operando in una fase processuale nella quale l’oralità non è, talvolta, certamente insostituibile. Anzi, ad essere realisti, in alcune occasioni la nuova modalità potrà addirittura contribuire a rendere maggiormente effettivo il contraddittorio: una parte delle udienze di fronte al Supremo Collegio si celebra oggi, d’altronde, con il “sistema” della presentazione immotivata della richiesta alla Corte, con formule stringatissime come “accoglimento”, “rigetto”, “inammissibilità”, il “richiamo ai motivi” o, talvolta, il “richiamo ai motivi e alla memoria depositata”; con le nuove regole, invece, si disporrà di una scansione procedimentale che consentirà fino all’ultimo una più accurata impostazione della difesa, eliminando la presenza in udienza nei casi in cui, secondo la valutazione delle parti, essa sarebbe superflua; con la possibilità, comunque, di un recupero dell’oralità anche nei casi in cui sia solo il Collegio giudicante a ritenerla [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2022