Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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La razionalizzazione del dibattimento e il preteso recupero dell'immediatezza (di Mariangela Montagna, Professore associato di Diritto processuale penale – Università di Perugia)


L’art. 1, comma 11, l. 27 settembre 2021, n. 134 contiene i criteri e le linee guida cui il legislatore delegato dovrà attenersi nell’apportare le modifiche al codice di procedura penale inerenti il giudizio. Tra questi particolarmente controversa risulta essere la modifica concernente le conseguenze in termini di rinnovazione della prova da gestire a fronte del mutamento del giudice.

The rationalization of the trial and the alleged recovery of immediacy

Art. 1 paragraph 11 l. 27 September 2021, n. 134 contains the criteria and guidelines that the delegated legislator will have to follow in making changes to the criminal procedure code relating to the judgment. Among these, the modification concerning the consequences in terms of renewal of the trial to be managed in the face of the change of judge is particularly controversial.

Parole chiave: dibattimento, principio di immediatezza.

SOMMARIO:

1. Profili generali - 2. La calendarizzazione delle udienze - 3. La relazione illustrativa delle parti sulla richiesta di prove - 4. Deposito anticipato della relazione dell’esperto - 5. L’immediatezza - 6. La sentenza costituzionale n. 132/2019 - 7. I rilievi alla sentenza costituzionale n. 132/2019 - 8. La soluzione legislativa - 9. Conclusioni - NOTE


1. Profili generali

Il giudizio di primo grado è destinato a subire modificazioni ad opera degli interventi normativi che l’art. 1, comma 11, l. 27 settembre 2021, n. 134 richiede siano realizzati dal legislatore delegato, chiamato a intervenire nei tempi e modi previsti dalla legge delega. Nel disegno riformatore avviato con la riforma Cartabia tra i punti che vengono considerati meritevoli di attenzione in ottica di semplificazione ed accelerazione dei tempi processuali oltre che di sgravio del carico giudiziario, vi è anche il giudizio dibattimentale. L’attenzione riformatrice si concentra su quest’ultimo tanto in prospettiva di accelerazione del dibattimento, quanto di concentrazione dello stesso. Come meglio si dirà più avanti, in tale prospettiva si muovono le previsioni contenute nella lett. a) dell’art. 1, comma 11, l. n. 134/2021 concernenti la “sollecitazione” a definire il dibattimento in una sola udienza ed a calendarizzare le udienze. Di diversa catalogazione appaiono, invece, gli interventi riformatori prospettati nelle lett. b) (illustrazione delle richieste di prova) e c) (anticipato deposito dell’elaborato scritto del consulente o perito) della medesima norma. Tali interventi vanno a collocarsi in una prospettiva riformatrice concernente il diritto alla prova e l’elaborazione del contraddittorio avente l’obiettivo di semplificare e snellire tali momenti processuali. A questi appena menzionati va ad aggiungersi il profilo di riforma – certamente più controverso rispetto agli altri – avente ad oggetto la rimodulazione dell’immediatezza nella formazione della prova in caso di mutamento del giudice. Profilo di cui si occupa la lett. d) dell’art. 1, comma 11, l. n. 134/2021. In estrema sintesi e in via di premessa, si può evidenziare come, complessivamente intese, le modifiche concernenti il giudizio apportate dalla riforma in commento non sembra possano assumere una portata dirompente in termini di semplificazione o accelerazione del processo.


2. La calendarizzazione delle udienze

L’art. 1, comma 11, lett. a). l. n. 134/2021, fissa quale principio e criterio direttivo da osservare in sede di esercizio della delega l’esigenza “che, quando non è possibile esaurire il dibattimento in una sola udienza, dopo la lettura dell’ordinanza con cui provvede all’ammissione delle prove il giudice comunichi alle parti il calendario delle udienze per l’istruzione dibattimentale e per lo svolgimento della discussione”. Viene così riproposto senza alcuna variazione quanto contemplato dall’art. 5, comma 1, lett. a), del d.d.l. A.C. 2435 e riguardo al quale la Commissione Lattanzi non aveva suggerito alcuna modifica. Oggetto di attenzione della norma riformatrice è, dunque, la c.d. calendarizzazione delle udienze. La soluzione scelta dal legislatore va a tradurre in norma le prassi virtuose, a volte già affermatesi e istituzionalizzate in appositi protocolli, da accogliere positivamente nell’ottica di assicurare una maggiore concentrazione del dibattimento. Si tratta di un tema sul quale si avverte l’eco di quanto rilevato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 132/2019 a proposito della necessità di favorire la concentrazione temporale dei dibattimenti, in modo da assicurare idealmente la conclusione in unica udienza o in udienze immediatamente consecutive, come avviene di regola in molti ordinamenti stranieri. In verità, l’art. 477, commi 1 e 2, c.p.p. già prevede che “quando non è assolutamente possibile esaurire il dibattimento in una sola udienza” il presidente dispone che esso sia proseguito “nel giorno seguente non festivo”. Al comma 2 si stabilisce che il giudice può sospendere il dibattimento solo per ragioni di assoluta necessità e per un termine massimo che non oltrepassi i 10 giorni, esclusi i festivi. La norma non è però affiancata da alcuna previsione di sanzione processuale e, dunque, finisce per tramutarsi soltanto in un buon auspicio. Resta il fatto che in alcuni casi la previsione di calendarizzazione delle udienze sarà di difficile attuazione data la presenza di un complicato iter processuale o l’esigenza di integrazioni della prova. Inoltre, in sede di riforma delle norme codicistiche potrebbe essere opportuno aggiungere che, nella calendarizzazione, le udienze siano fissate tra loro a distanza di un lasso di tempo abbastanza ravvicinato [continua ..]


3. La relazione illustrativa delle parti sulla richiesta di prove

L’art. 1, comma 11, lett. b), l. n. 134/2021, prevede che le parti illustrino le rispettive richieste di prova nei limiti strettamente necessari alla verifica dell’ammissibilità delle prove ai sensi dell’articolo 190 c.p.p. Il testo originario contenuto nel d.d.l. A.C. 2435 si limitava a prevedere che, dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento, si procedesse alla relazione illustrativa delle parti sulla richiesta di prove [1]. L’emendamento proposto dalla Commissione Lattanzi confermava la previsione circa l’introduzione della relazione illustrativa, ma ne finalizzava l’espletamento alla verifica per l’ammissibilità delle prove da parte del giudice ex art. 190 c.p.p. La soluzione proposta [2], poi recepita nella norma legislativa, mira probabilmente a tentare di superare i dubbi e le perplessità che su più fronti sono stati avanzati circa un possibile uso indebito dello strumento. Sull’introduzione di questa relazione illustrativa sono, invero, prospettabili dei rilievi critici dovuti soprattutto al timore che tramite essa si insinui una violazione della regola della separazione tra fasi e del contraddittorio. La relazione, infatti, anche sulla scorta di esperienze similari del passato, potrebbe divenire lo strumento tramite cui introdurre indebitamente a dibattimento conoscenze “probatorie” non legittimate a transitarvi e finendo, dunque, per condizionare in modo non corretto la formazione del libero convincimento del giudice. Occorre, al riguardo, ricordare che prima della l. n. 479/1999 (c.d. legge Carotti) era prevista una esposizione introduttiva, seppure in modo asimmetrico, cioè riservata soltanto al pubblico ministero e tramite cui egli svolgeva una sorta di sintesi del lavoro investigativo nell’introdurre l’accusa al processo. Accadeva, tuttavia, che tramite tale strumento si introducessero in modo indebito all’inizio del dibattimento elementi o conoscenze che non dovevano pervenirvi, se non per mezzo degli ordinari strumenti del contraddittorio. Ed infatti a proposito dell’intenzione di introdurre una nuova relazione introduttiva, abbastanza unanime è stato il coro di voci (magistrati, studiosi, avvocati come si evince dalla lettura delle audizioni parlamentari) levatesi in prospettiva critica riguardo a tale direttiva. Elemento comune di perplessità è sempre stato il rischio che [continua ..]


4. Deposito anticipato della relazione dell’esperto

L’art. 11 comma 1, lett. c), l. n. 134/2021, contempla la necessità che in sede di legge delega si preveda, ai fini dell’esame del consulente o del perito, il deposito delle consulenze tecniche e della perizia entro un termine congruo precedente l’udienza fissata per l’esame del consulente o del perito, ferma restando la disciplina delle letture e dell’indicazione degli atti utilizzabili ai fini della decisione. La norma, in tal modo, accoglie la proposta della Commissione Lattanzi che, pur mantenendo la previsione contenuta nel d.d.l. A.C. 2435, suggeriva di emendarla nel senso di specificare che il previo deposito della relazione dell’esperto fosse finalizzato all’esame dello stesso. Nel complesso, si tratta di previsione condivisibile che può agevolare e rafforzare il contraddittorio tecnico, soprattutto nelle ipotesi di temi tecnico – scientifici particolarmente complessi. Ciò ferma restando la priorità dell’esame orale dell’esperto a fini di prova che ai sensi dell’art. 501 c.p.p. verrà condotto secondo le medesime disposizioni previste per l’esame testimoniale. È, invero, l’esame dell’esper­to in dibattimento a formare la prova, non la consulenza o perizia scritta. Il previo deposito dovrà essere lo strumento attraverso il quale le parti e i consulenti tecnici siano in grado di interloquire più adeguatamente sulle questioni tecniche o scientifiche che l’intervento dell’esperto è chiamato a chiarire, senza che ciò implichi il pregiudizio al principio dell’oralità e dell’immediatezza. A tal fine, sarebbe opportuno che all’organo giudicante sia preclusa la conoscenza anticipata della relazione scritta del­l’esperto, prevedendo che il deposito anticipato dello scritto sia messo a disposizione soltanto delle parti e non del giudice.


5. L’immediatezza

Di particolare rilevanza tra le modifiche da apportare al giudizio penale è l’intervento prefigurato nella lett. e) dell’art. 5 d.d.l. A.C. 2435 ora trasposto nell’art. 1, comma 11, lett. d), l. n. 134/2021 riguardante il tema della rinnovazione della prova in caso di mutamento del giudice. L’art. 525, comma 2, c.p.p. prevede che alla deliberazione della sentenza concorrono gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento. È noto come, a fronte del mutamento del giudice persona fisica o di uno dei componenti del collegio giudicante, l’interpretazione giurisprudenziale si sia assestata nel senso di ritenere che, in osservanza del principio di oralità, e secondo quanto emerge dagli artt. 511, 525, comma 2, e 526, comma 1, c.p.p. occorre procedere alla rinnovazione dell’escussione dibattimentale dei testimoni sempre che le parti non vi rinuncino acconsentendo alla lettura dei verbali delle dichiarazioni già rese davanti al precedente collegio/giudice. Su questo profilo si è soffermata di recente l’attenzione della Corte costituzionale con la sentenza n. 132/2019 sulla cui scia il progetto riformatore si è andato a collocare, sostanzialmente riprendendo da tale pronuncia l’impostazione derogatoria del principio di immediatezza tra giudice e prova. Riguardo a questo tema, nel 2019, il giudice costituzionale ha modificato l’impostazione che aveva assunto dieci anni prima, nella sentenza n. 317/2009. Invero, se nel 2009 scriveva che il diritto di difesa ed il principio di ragionevole durata non possono entrare in comparazione ai fini del bilanciamento, nel 2019 il giudice costituzionale ha posto in antitesi efficienza e garanzia di immediatezza/oralità. Più esattamente, ne ha tratto un “indebito bilanciamento fra efficienza processuale e garanzie, non solo dando copertura costituzionale a questa impostazione di per sé seriamente eccepibile, ma prendendo nettamente posizione in favore dell’efficienza e a discapito delle garanzie” [3]. Va ricordato che la sentenza costituzionale n. 132/2019 era una pronuncia di inammissibilità, e non interpretativa di rigetto. La Corte costituzionale in quell’occasione ha rilevato che, pur dichiarando l’i­nammissibilità della q.l.c. proposta, la stessa “non può esimersi, peraltro, dal sottolineare le incongruità dell’attuale [continua ..]


6. La sentenza costituzionale n. 132/2019

I giudici della legge hanno evidenziato come il principio di immediatezza della prova, strettamente correlato al principio di oralità, “sottend[a]no un modello dibattimentale fortemente concentrato nel tempo, idealmente da celebrarsi in un’unica udienza o, al più, in udienze celebrate senza soluzione di continuità (come risulta evidente dal tenore dell’art. 477 cod. proc. pen.)”. Obiettivo dell’immediatezza – sottolineano i giudici costituzionali – è quello “di consentire «la diretta percezione, da parte del giudice deliberante, della prova stessa nel momento della sua formazione, così da poterne cogliere tutti i connotati espressivi, anche quelli di carattere non verbale, particolarmente prodotti dal metodo dialettico dell’esame e del controesame; connotati che possono rivelarsi utili nel giudizio di attendibilità del risultato probatorio” (ordinanza n. 205/2010). Inoltre, aggiungono i medesimi giudici costituzionali, l’esigenza perseguita tramite l’immediatezza è che “il giudice che decide non sia passivo fruitore di prove dichiarative già da altri acquisite, ma possa – ai sensi dell’art. 506 cod. proc. pen. – attivamente intervenire nella formazione della prova stessa, ponendo direttamente domande ai dichiaranti e persino indicando alle parti «nuovi o più ampi temi di prova, utili per la completezza dell’esame». Ciò premesso, la Corte costituzionale, guardando alla realtà operativa, ne registra una distorsione tra ciò che è e ciò che dovrebbe essere e intravede “una realtà assai lontana dal modello ideale immaginato dal legislatore”. Il riferimento è in modo particolare ai “dibattimenti che si concludono nell’arco di un’unica udienza” che rappresentano un’“eccezione; mentre la regola è rappresentata da dibattimenti che si dipanano attraverso più udienze, spesso intervallate da rinvii di mesi o di anni”. Da qui l’affermazione che in tale situazione “il principio di immediatezza rischia di divenire un mero simulacro: anche se il giudice che decide resta il medesimo, il suo convincimento al momento della decisione finirà – in pratica – per fondarsi prevalentemente sulla lettura delle trascrizioni delle dichiarazioni rese in [continua ..]


7. I rilievi alla sentenza costituzionale n. 132/2019

La pronuncia dei giudici costituzionali si presta ad uno sguardo fortemente critico sia sul piano metodologico che dei contenuti [5]. In particolare, quel che è necessario evidenziare per comprendere la dinamica del percorso riformatore ora in itinere è che in quella sentenza la Corte costituzionale ebbe ad esprimersi nel senso dell’i­nammissibilità della q.l.c. posta, pur tuttavia dilungandosi in un “gigantesco obiter dictum” [6] teso ad evidenziare le incongruità delle norme sottoposte a scrutinio, (ma – si badi bene – senza denunciare alcun possibile profilo di illegittimità costituzionale), all’esito del quale esortare il legislatore a introdurre dei rimedi strutturali. Insomma, un’impostazione del tutto singolare da cui deriva un’evidente anomalia circa il rapporto tra poteri, legislativo e giurisprudenziale [7]. Inoltre, un dato fortemente critico che si può cogliere nella sentenza n. 132/2019 è sempre l’approc­cio interpretativo al tema dell’immediatezza e alla durata del processo. Non può essere condivisa una visione secondo cui siccome esiste il problema del mutamento del giudice dovuto a una eccessiva lunghezza del dibattimento e a problemi organizzativi e di risorse umane, piuttosto che incidere su tali cause, si opti per il ridimensionamento delle garanzie di immediatezza e oralità. Così facendo le difficoltà organizzative dell’apparato statuale nell’organizzare un dibattimento “concentrato” vanno a ricadere ingiustamente sull’imputato. La stessa strada interpretativa viene usata per l’altro “inconveniente”, vale a dire l’esigenza, a fronte del mutamento del giudice, di una nuova escussione del teste che viene disposta, ma che poi si risolve in una mera conferma delle dichiarazioni rese precedentemente dallo stesso. Un profilo, quest’ultimo, che potrebbe trovare soluzione se il giudice nuovo, sopraggiunto, manifestasse maggiore positiva propensione verso la rinnovazione istruttoria e non riducesse il tutto alla detestabile prassi delle conferme [8]. In estrema sintesi, i passaggi della recente pronuncia costituzionale ripropongono l’annoso dibattito “diritti versus efficienza” e vedono l’oralità divenire un valore sacrificabile sul piano dell’efficienza [9]. La Corte [continua ..]


8. La soluzione legislativa

L’art. 11, comma 1, lett. d), l. n. 134/2021 fissa come criterio per il legislatore delegato di “prevedere che, nell’ipotesi di mutamento del giudice o di uno o più componenti del collegio, il giudice disponga, a richiesta di parte, la riassunzione della prova dichiarativa già assunta; stabilire che, quando la prova dichiarativa è stata verbalizzata tramite videoregistrazione, nel dibattimento svolto innanzi al giudice diverso o al collegio diversamente composto, nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate, il giudice disponga la riassunzione della prova solo quando lo ritenga necessario sulla base di specifiche esigenze”. Viene, in tal modo, recepita la proposta di modifica suggerita dalla Commissione Lattanzi riguardo al testo d.d.l. A.C. 2435 che aveva previsto l’estensione della regola di cui all’art. 190-bis c.p.p. ai casi di mutamento del giudicante. Già nella giurisprudenza di legittimità si era delineata la possibilità di applicare l’art. 190-bis c.p.p. all’ipotesi di mutamento del collegio giudicante [10]. Il che non toglie che la soluzione prospettata dal d.d.l. A.C. 2435 fosse tutt’altro che lieve: l’art. 190-bis c.p.p., invero, da previsione nata per reati gravi, tassativamente indicati dal legislatore, sarebbe finita per trovarsi ad essere generalmente applicata a tutti i reati di “competenza del tribunale” (secondo quanto previsto dal d.d.l. A.C. 2435, così lasciando fuori i reati di competenza della Corte d’assise). Le criticità che si addensavano intorno alla previsione dell’art. 5 d.d.l. A.C. 2435 aumentavano sol pensando che l’art. 190-bis c.p.p. è norma già di per sé molto critica, poiché finisce per far ricadere sulla parte interessata una probatio diabolica che, in sostanza, annulla il diritto all’oralità. Ebbene, seguendo l’impostazione dell’art. 5 d.d.l. A.C. 2435, tale probatio diabolica sarebbe stata estesa a tutti i reati, non soltanto a quelli particolarmente gravi per i quali il legislatore vuole evitare la c.d. usura del dichiarante e tutti i problemi connessi, anche in termini di sicurezza. La Commissione Lattanzi è intervenuta su questo punto proponendo uno specifico emendamento che come detto è stato riversato nella legge delega in sostituzione [continua ..]


9. Conclusioni

Per la riforma nella parte concernente il giudizio restano forti dubbi sul pregiudizio che si va ad imprimere ad oralità e immediatezza. Il mutamento del giudice è determinato da avvicendamenti che l’imputato subisce, non determina; in gran parte dei casi il mutamento è dovuto al fatto che il giudice viene destinato ad altri incarichi o sceglie altre sedi. Sarebbe, a questo proposito, forse più opportuno eliminare le cause che determinano il mutamento del giudice. Tra il legittimo interesse del giudice ad un trasferimento ed il diritto a garantire il contraddittorio e la continuità del dibattimento oltre che una corretta formazione del convincimento dell’organo giurisdizionale è il primo a dover “soccombere” [15]. Il tema è importante: razionalizzare il dibattimento è un obiettivo più che condivisibile, anzi necessario. Tuttavia è inaccettabile che tale razionalizzazione passi anche da un sacrificio dell’oralità e di tutto ciò che essa implica nel sistema processuale penale. Occorre uno sguardo diverso al tema: la rinnovazione della prova dichiarativa in caso di mutamento del giudice non va vista come la causa della lunghezza del dibattimento, ma come l’effetto di storture che stanno a monte e che non sempre appaiono imputabili all’imputato. Una maggiore concentrazione del dibattimento, una diversa e migliore organizzazione delle udienze sui cui pure l’attenzione riformatrice si va concentrando certamente agevola un dibattimento più spedito e non genera esigenze di mutamento del giudice. Occorrerebbe arrivare a situazioni nelle quali è l’ipotesi di mutamento del giudice ad essere eccezionale. Le legittime aspettative di carriera o di trasferimento dei magistrati vanno contemperate con il buon andamento del processo. Sino ad oggi tali aspettative ed interessi hanno trovato adeguata realizzazione proprio perché l’eventuale trasferimento non avrebbe inciso sul principio di immediatezza. Va, peraltro, evidenziato come la scelta di un ridimensionamento del rapporto di immediatezza tra giudice e prova su cui sembra andare assestandosi l’orientamento giurisprudenziale ed anche l’impo­stazione del riformatore per quanto concerne il giudizio di primo grado stride con la diversa impostazione che dapprima sul fronte giurisprudenziale (europeo ed interno), e poi legislativo si [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2022