Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Giudizio in assenza: maggiori garanzie (di Annalisa Mangiaracina, Professore associato di Diritto processuale penale – Università degli Studi di Palermo)


Con l’obiettivo di superare alcune criticità dell’attuale disciplina sul processo in assenza, talvolta già affrontate dalla giurisprudenza con interventi “creativi”, la l. 27 settembre 2021, n. 134, detta delle direttive di delega molto dettagliate. La parola adesso passa al Governo, il quale dovrà “tradurre” le indicazioni del delegante in piena sintonia con le coordinate sovranazionali.

Parole chiave: giudizio in assenza, rescissione del giudicato.

Trial in absentia: more guarantees

Law no. 134 of 27 September 2021 sets very detailed guidelines aimed at overcoming some critical issues on trial in absentia, which have been creatively solved by the jurisprudence. The Government shall now implement the legislator’s directives in compliance with the supranational guidelines.

SOMMARIO:

1. Il legislatore ritorna protagonista - 2. Le condizioni per procedere in assenza: le “modalità” alternative di conoscenza - 3. Una inedita (ma non troppo) sentenza di non doversi procedere - 4. La rinuncia a comparire: il focus sul latitante - 5. Il volto attuale della rescissione del giudicato - 6. (Segue)… e quello futuro - NOTE


1. Il legislatore ritorna protagonista

Il giudizio in absentia, elevato sin dall’abrogato codice di rito a «paradigma della tensione generata sul sistema codicistico dalla concorrente sopravvenienza di vincoli costituzionali e sovranazionali» [1], torna ad occupare un posto di primo piano nel contesto della riforma del processo penale di prossima attuazione. La l. 27 settembre 2021, n. 134 – nell’ottica di coniugare “celerità” ed “efficienza”, senza però rinunciare alle garanzie – all’art. 1, comma 7, enuncia infatti i principi e i criteri direttivi da osservare in questa materia, preceduti da quelli relativi alle notificazioni (art. 1, comma 6) [2]: ambito, quest’ultimo, soltanto occasionalmente toccato dal legislatore del vigente codice di rito, per valorizzare il rapporto fiduciario difensore-assistito [3]. Il progetto è ambizioso per un duplice ordine di ragioni. Da una parte, perché volto a rendere il sistema – che gravita attorno al diritto dell’imputato di partecipare al proprio processo – coerente con le coordinate europee, rintracciabili non soltanto nella giurisprudenza delle principali Corti sovranazionali, ma soprattutto nella direttiva dell’U.E. 2016/343 che si incentra sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza nonché, per quel che qui interessa, sul diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali [4]. Dall’altra parte, tale progetto risulta finalizzato a porre un freno alle “fughe interpretative” dei giudici nazionali, seppure queste, ad oggi – giova sottolinearlo – hanno impedito che si aprisse un nuovo contenzioso europeo contro il nostro Paese per violazione dell’art. 6, §§ 1 e 3 CEDU [5]. Tuttavia, «i tassi di vulnerabilità» [6] che contrassegnano le letture giurisprudenziali, pur a fronte del disposto di cui all’art. 618, comma 1 bis, c.p.p., richiedono che il legislatore si riappropri del suo ruolo. Il merito di avere riaperto un dialogo in questa direzione, dopo la pur significativa novella del 2014 [7] e i successivi ritocchi apportati dalla c.d. riforma Orlando [8], va alla “Commissione Lattanzi” [9] che, appunto, ha suggerito l’introduzione di un nuovo art. 2 ter – sul “processo in assenza” – al testo del d.d.l. AC 2435, al fine di superare le [continua ..]


2. Le condizioni per procedere in assenza: le “modalità” alternative di conoscenza

La verifica delle condizioni che legittimano la celebrazione del giudizio in assenza del suo principale protagonista costituisce un fronte particolarmente problematico, sintesi del contemperamento tra diversi valori. Il sistema edificato nel 2014 sulle ceneri della contumacia – fondato sulla previsione di un’assenza polifonica, alla quale fa da contrappunto un sofisticato congegno di rimedi – ha mostrato tutte le sue debolezze nel confronto con le fonti sovranazionali, doveroso per l’interprete. L’adegua­mento a queste ultime si è tradotto in una sostanziale disapplicazione, sia pure “virtuosa”, del dato normativo [13], nella consapevolezza che il giudizio in assenza può dirsi compatibile con la CEDU soltanto se sia stata accertata la conoscenza sostanziale del “processo” – da intendere nel senso dell’atto introduttivo del giudizio – anche al fine di valutare l’effettività di una rinuncia del diritto a difendersi mediante la non partecipazione. Questa notazione preliminare ci conduce tra le maglie delle direttive di delega. Nello specifico, le lett. a) e b) dell’art. 1, comma 7, manifestano la chiara volontà di espungere dal codice di rito l’attuale distinguo tra conoscenza “qualificata” e conoscenza “presunta”, ancorata, quest’ultima, ai c.d. “fatti sintomatici” [14], declinati nella dichiarazione o elezione di domicilio, nella sottoposizione alla misura precautelare dell’arresto o del fermo, o a misura cautelare in senso ampio, ovvero nella nomina di un difensore di fiducia (art. 420 bis, comma 1, c.p.p.) [15]. Come accennato, è merito della giurisprudenza più illuminata avere escluso che le situazioni sin qui delineate configurino delle presunzioni di conoscenza del processo; piuttosto, si è precisato, si tratta di casi in cui, ai fini della certezza della conoscenza della vocatio in ius, può essere valorizzata una notifica che non sia stata effettuata a mani proprie dell’impu­tato [16]. Riprendendo la trama di quelle decisioni, il delegante impone al giudice – nell’ambito dell’udienza preliminare, o laddove questa manchi, alla prima udienza fissata per il giudizio, da intendere in riferimento all’udienza predibattimentale di nuovo conio [17] – escluso un impedimento a comparire, di [continua ..]


3. Una inedita (ma non troppo) sentenza di non doversi procedere

In difetto delle accennate condizioni per procedere in assenza, il giudice dovrà pronunciare una sentenza inappellabile di non doversi procedere – anziché una mera ordinanza di sospensione – che, a tratti, ricorda l’analogo provvedimento allo stato degli atti che può essere emesso nei casi di incapacità irreversibile dell’imputato, ai sensi dell’art. 72 bis c.p.p. Con questo nuovo meccanismo, le situazioni atte a dimostrare la piena conoscenza del processo finiscono per configurare una sorta di condizione di procedibilità sottoposta a “condizione risolutiva” nel senso che se il soggetto sarà rintracciato si applicherà l’art. 345, comma 2, c.p.p. – seppure la norma non sia richiamata nella delega – e la sentenza verrà revocata dal giudice su impulso del pubblico ministero. La declaratoria di improcedibilità in udienza preliminare dovrebbe assumere la veste della sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 c.p.p., con il rischio però di equivoci terminologici [39], stante il differente regime, e analogo provvedimento dovrebbe essere emesso nei procedimenti a citazione diretta, all’esito dell’udienza predibattimentale in camera di consiglio. La sentenza è espressamente sottratta all’appellabilità, rimanendo fermo il principio generale della ricorribilità in cassazione, ex art. 111, comma 7, Cost. La delega (lett. e), pur ricca di indicazioni, lascia aperti alcuni interrogativi. In particolare, è dubbio se la sentenza debba essere preceduta dalla verifica che non ricorrano le condizioni per una pronuncia ex art. 129 c.p.p. [40], come oggi previsto prima dell’ordinanza di sospensione del processo ai sensi dell’art. 420 quater, comma 2, c.p.p. Il nuovo provvedimento, peraltro, non pregiudica le acquisizioni probatorie, consentendo l’assunzione, su richiesta di parte, delle prove non rinviabili, con le forme previste per il dibattimento. Da qui un quesito: se nei procedimenti a citazione diretta l’attività probatoria debba svolgersi davanti al giudice del predibattimento – come sarebbe “fisiologico” – ovvero davanti a quello che poi lo celebrerà, evenienza, quest’ultima, difficilmente percorribile, seppure in sintonia con il principio di immediatezza. Seguendo uno schema noto, successivamente [continua ..]


4. La rinuncia a comparire: il focus sul latitante

Uno statuto autonomo si prospetta per l’imputato “latitante”, la cui disciplina è stata, in diverse occasioni, censurata dalla giurisprudenza europea [50]. In questa situazione, secondo la delega, si potrà procedere in assenza anche quando non si abbia la certezza dell’effettiva conoscenza della citazione a giudizio e della rinuncia a comparire (lett. f): ciò in linea con quanto previsto dall’art. 8, § 4, della direttiva europea che, appunto, non esclude la possibilità che i singoli ordinamenti nazionali prevedano lo svolgimento di processi in assenza, nei quali non vengano soddisfatte le condizioni previste dal § 2 dell’art. 8, «perché l’imputato non può essere rintracciato nonostante i ragionevoli sforzi profusi». È quanto accade nei casi di latitanza o di fuga, riconducibili ad una condotta di volontaria sottrazione. A garantire la tenuta del sistema sul piano costituzionale e convenzionale, secondo le indicazioni della stessa legge delega, soccorrerebbe l’attivazione di un rimedio di carattere restitutorio – il cui volto dovrà essere ridisegnato – finalizzato a consentire al soggetto nei cui confronti si è proceduto in assenza di ottenere un nuovo giudizio ovvero la possibilità di impugnare la decisione. Il rischio che si cela dietro questa opzione è quello di un “effetto valanga”, destinato a travolgere i giudicati di condanna, con inevitabili costi in termini di efficienza: in questo quadro si inserisce la sollecitazione a rivedere l’attuale disciplina della latitanza, tratteggiata agli artt. 295 e 296 c.p.p. In particolare, occorre che la relativa dichiarazione sia sorretta da una motivazione “specifica” – così sciogliendo finalmente ogni dubbio sull’onere motivo che grava sul giudice [51] – circa l’effettiva conoscenza della misura cautelare e la volontà del destinatario di sottrarsi alla sua esecuzione. Nell’attuale struttura, invece, riguardo al coefficiente psicologico della dichiarazione di latitanza, secondo la giurisprudenza, non occorre dimostrare la conoscenza dell’avvenuta emissione del provvedimento, essendo sufficiente che l’interessato si ponga in condizioni di irreperibilità sapendo che quel provvedimento può essere emesso [52]. Il futuro assetto, di contro, [continua ..]


5. Il volto attuale della rescissione del giudicato

Per fronteggiare il rischio che si sia proceduto in assenza, senza che l’imputato abbia avuto effettiva conoscenza della celebrazione del processo – evenienza che può prefigurarsi nei casi di cui alla lett. c), nonché rispetto all’imputato latitante – soccorrono i rimedi successivi, ai quali sono dedicate le direttive di cui alle lett. g), h) e i) dell’art. 1, comma 7, nonché quella di cui alla lett. o), comma 12. Quest’ultima, sia pure relativa all’introduzione di uno strumento ad hoc per adeguarsi ai dicta strasburghesi che sostituisca l’attuale revisione “europea”, si sofferma sull’esigenza di un coordinamento dell’istituto di nuovo conio con la rescissione del giudicato e con l’incidente d’esecuzione, ex art. 670 c.p.p. Prima di esaminare ciò che (probabilmente) verrà, non appare superfluo rammentare come oggi la formazione del giudicato di condanna o di proscioglimento, con applicazione di una misura di sicurezza, consenta all’assente incolpevole di utilizzare il rimedio della rescissione, di cui all’art. 629 bis c.p.p. Questo mezzo di impugnazione straordinario, se accolto dalla Corte di appello, comporta la regressione degli atti al giudice di primo grado e la riespansione delle chances di accesso ai riti alternativi. Tuttavia, l’istituto in esame, al pari degli altri rimedi “preventivi” destinati ad operare durante i diversi snodi del processo, ha subito manifestato un profilo di criticità [53]: la restitutio in integrum è infatti subordinata al­l’assolvimento dell’onere probatorio a carico dell’interessato quanto alla sua incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del “processo”, secondo un regime che riecheggia quello anteriore alla modifica dell’art. 175, comma 2, c.p.p. [54]. Come si è anticipato, anche in questo ambito sono da registrare alcuni significativi interventi dei giudici di legittimità [55] che hanno ridimensionato, in chiave di garanzia, l’onere probatorio: nello specifico, si è escluso in capo al richiedente l’onere di fornire la prova, nel senso tecnico-processuale inteso, della mancata conoscenza, configurando, piuttosto, un onere di «allegazione di una documentazione a sostegno», ferma la possibilità per il giudice investito dalla richiesta di [continua ..]


6. (Segue)… e quello futuro

In questo scenario così fluido si inserisce la prima direttiva di delega, nella quale si invita ad “ampliare” la possibilità di rimedi successivi a favore dell’imputato e del condannato giudicato in assenza senza avere avuto effettiva conoscenza della celebrazione del processo, armonizzando la normativa con quanto previsto all’art. 9 della Direttiva 2016/343 (lett. g). Quest’ultima disposizione oscilla tra «il diritto a un nuovo processo» ovvero ad «un altro mezzo di ricorso giurisdizionale, che consenta di riesaminare il merito della causa, incluso l’esame di nuove prove, e possa condurre alla riforma della decisione originaria». Trasferendo la direttiva sul piano interno, anzitutto, occorrerà ridisegnare la fisionomia della rescissione del giudicato, ferma restando la sua qualificazione come impugnazione straordinaria con effetto rescindente, escludendo l’onere probatorio a carico della parte istante, seppure già cancellato con un tratto di penna dai giudici di legittimità. Inoltre, l’eterogeneità rispetto alla revisione del giudicato dovrebbe portare a più opportuna collocazione sistematica dell’istituto, in un titolo autonomo (art. 1, comma 12, lett. o) [60]. Nell’ottica di dare effettività al rimedio, si accrescono gli obblighi informativi a carico dell’autorità giudiziaria (lett. i): il provvedimento di esecuzione dovrà infatti avvisare il condannato che, ove si sia proceduto in sua assenza senza che abbia avuto conoscenza del processo, lo stesso potrà esercitare i diritti previsti dalla lett. g). Il rinvio a quest’ultima direttiva è un chiaro segnale del recepimento di quella giurisprudenza [61] che, come già accennato, ha escluso la possibilità di accedere all’incidente d’esecu­zione per fare valere nullità, determinatesi durante il giudizio di cognizione, concernenti la corretta instaurazione del rapporto processuale. Riprendendo le parole delle Sezioni Unite, l’incidente d’esecu­zione conserverà un suo autonomo margine, volto a contestare la non esecutorietà del titolo, soltanto quando si deducano: a) vizi attinenti alla notificazione del decreto penale di condanna; b) vizi di omessa o illegittima notificazione dell’avviso di ritardato deposito della sentenza ai sensi dell’art. [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2022