Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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L'estensione della non punibilità per particolare tenuità del fatto (di Elga Turco, Professore associato di Diritto processuale penale – Università del Salento)


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 Il legislatore delegato è chiamato a rimodulare i confini applicativi dell’istituto di cui all’art. 131-bis c.p. con un intervento di chirurgia normativa che segue due direzioni antinomiche: da un lato, l’ancoraggio del parametro edittale al minimo della pena (due anni) e non più al massimo (cinque anni) conduce ad una estensione dell’alveo operativo della causa di non punibilità in questione; dall’altro, l’ampliamento del catalogo delle presunzioni di “non tenuità” dell’offesa e l’introduzione di un nuovo elemento di valutazione – la «condotta susseguente al reato» – determinano un restringimento delle maglie operative dell’istituto.

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L’art. 131-bis c.p. si appresta, così, a mutare ancora una volta contenuto e ambito operativo. Restano, però, storture e distorsioni, foriere, inesorabilmente, di assurde sperequazioni, in chiara lotta di collisione col principio di u­guaglianza ex art. 3 Cost.

Parole chiave: cause di esclusione della punibilità - particolare tenuità del fatto.

The extension of the non-punishment due to the particular tenuousness of the fact

The delegated legislator is called to reshape the application boundaries of the institution disciplined in art. 131-bis of the Criminal Code with a regulatory intervention that follows two conflicting directions: on the one hand, the reference to the minimum penalty (two years) and no longer to the maximum (five years) leads to an extension of the application boundaries of this cause of non-punishment; on the other, the expansion of the list of presumptions of "non-tenuousness" of the offense and the introduction of a new element of evaluation – the "conduct following the crime" – determine a narrowing of the operational meshes of this meccanism.

So, the art. 131-bis of the Criminal Code is preparing to change its content and operational scope again. However, distortions remain, inexorably harbingers of absurd inequalities, in clear collision with the principle of equality pursuant to art. 3 of the Constitution.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Cambia il prerequisito edittale - 3. Proliferano le presunzioni di “non tenuità” dell’offesa - 4. Spunta un inedito elemento di valutazione: la «condotta susseguente al reato» - NOTE


1. Premessa

La l. 27 settembre 2021, n. 134 propone, tra una corposa delega al governo (art. 1 [1]) e immediate modifiche normative (art. 2 [2]), una generale riforma del processo penale e una revisione dell’apparato sanzionatorio: razionalizzazione, semplificazione e maggiore speditezza dell’attività giudiziaria, sempre nel rispetto delle garanzie difensive, sono le tre linee direttrici lungo le quali si muove il nomoteta contemporaneo, animato dall’ambizioso intento di ridurre il carico dei procedimenti penali, garantirne una ragionevole durata e porre un freno al sovraffollamento carcerario. Tra gli istituti del sistema penale sostanziale che invocano un correttivo da parte del legislatore delegato vi è anche la «non punibilità per particolare tenuità del fatto». Come è noto, il fondamento teorico del menzionato meccanismo, introdotto nel nostro apparato normativo dal d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, è rappresentato dalla concezione gradualistica del reato; il suo terreno elettivo è quello dei reati bagatellari impropri [3] e le sue finalità sono due, entrambe di rilievo costituzionale: sotto il profilo sostanziale, contribuisce «a realizzare il sovraordinato principio dell’ultima ratio e, ancora più fondamentalmente, il principio di proporzione senza la cui ottemperanza la risposta sanzionatoria perde la sua stessa base di legittimazione»; sotto il profilo processuale, concorre a soddisfare «l’esigenza di alleggerimento del carico giudiziario nella misura in cui la definizione del procedimento tende a collocarsi nelle sue prime fasi» [4]. Nel dettare lo statuto giuridico del nuovo congegno, il legislatore delegato del 2015 è intervenuto sul codice penale – dedicando alla causa di non punibilità una coerente collocazione topografica, dandole risalto nelle intitolazioni e definendone struttura e ambito applicativo –, ha modificato la disciplina processuale – cercando di raggiungere un “non facile” equilibrio tra l’esigenza di una utilizzazione sufficientemente agile e anticipata del meccanismo nell’iter procedimentale e l’adeguata tutela dei contrapposti interessi della persona offesa e dell’indagato/imputato [5] – e ha apportato il necessario maquillage alle norme in materia di casellario giudiziale, imposto dall’esigenza di [continua ..]


2. Cambia il prerequisito edittale

Il legislatore delegato, dunque, è chiamato, innanzi tutto, a rimodulare i confini applicativi dell’isti­tuto attraverso un intervento sul limite edittale: la soglia di sbarramento al riconoscimento della particolare tenuità del fatto non è più individuata nel massimo della pena stabilita per la fattispecie incriminatrice (cinque anni), ma nel minimo, che non deve superare i due anni di reclusione, sola o congiunta a pena pecuniaria. Il ripensamento del criterio di selezione delle fattispecie candidabili alla non punibilità per tenuità del fatto è la logica conseguenza delle perplessità sollevate dalla dottrina sin dall’entrata in vigore dell’art. 131-bis c.p. e rimarcate poi dalla Corte costituzionale nella citata pronuncia del 2020. La prima, premesso che nella cornice di pena individuata dal legislatore per ciascun reato il minimo rappresenta una indicazione affidabile del basso coefficiente di disvalore della condotta posta in essere, mentre il massimo segna «il limite estremo della minaccia», che tutela il reo da reazioni sanzionatorie esorbitanti rispetto all’offesa arrecata [16], riteneva assolutamente priva di razionalità intrinseca la scelta – peraltro imposta dalla direttiva di delega – di calibrare l’esiguità del fatto sul massimo edittale anziché sul minimo [17]. La seconda, consapevole del fatto che la rimozione dalla disciplina ex art. 131-bis c.p. della dedotta causa di irragionevolezza non sarebbe stata sufficiente ad elidere le incongruenze originate dalla previsione di un limite che definiva “verso l’alto” il campo applicativo della causa di non punibilità, ha esortato il legislatore a tornare sui suoi passi [18], privilegiando la soglia minima di pena [19]. Non è revocabile in dubbio che la soluzione imposta dalla legge delega assicuri all’istituto una sfera operativa più ampia [20] e costituisca, altresì, un forte antidoto contro quelle clamorose e paradossali esclusioni che scaturiscono dall’attuale riferimento al massimo edittale [21]. Si pensi, a titolo esemplificativo, al furto di generi alimentari in un supermercato (art. 625, comma 1, n. 7, c.p.) che, al momento, risulta escluso dalla fruibilità del beneficio, integrando, la relativa aggravante (condotta tenuta su cose esposte per necessità [continua ..]


3. Proliferano le presunzioni di “non tenuità” dell’offesa

Come ormai avviene nella ipertrofica produzione legislativa degli ultimi anni in materia penale, anche in questa occasione il legislatore segue un andamento divaricato tra due direzioni antinomiche [25]: la mitigazione dell’intervento punitivo penale, da un lato, il rafforzamento della tutela repressiva, dall’altro. La prima si realizza attraverso la mutazione del prerequisito edittale che, come visto, conduce ad una estensione dell’alveo operativo dell’esimente. La seconda si attua con l’ampliamento del catalogo delle presunzioni di “non tenuità” dell’offesa che, per contro, determina un restringimento delle maglie dell’istituto. Sotto quest’ultimo profilo, l’attenzione che si chiede al governo delegato è bifocale. Innanzi tutto, dall’incipit della lett. a) [26] si evince un chiaro invito a fissare una presunzione iuris et de iure di “non tenuità” dell’offesa per i delitti «riconducibili alla Convenzione del Consiglio d’Europa» che, come è noto, mira a reprimere la violenza fisica, psicologica e sessuale commessa contro le donne o contro le vittime c.d. vulnerabili. Premesso che molte delle fattispecie criminose disciplinate nel nostro codice penale riportabili, per morfologia e finalità di tutela, nel campo di azione della predetta Convenzione (dall’art. 33 all’art. 41) [27] resteranno comunque fuori dal raggio applicativo del beneficio, perché presentano un minimo edittale superiore ai due anni – così è per i maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.), le pratiche di mutilazione degli organi genitali (art. 583-bis c.p.), la deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 583-quinquies c.p.), l’aborto forzato (art. 593-ter c.p.), la violenza sessuale (artt. 609-bis e 609-octies c.p.), la pornografia minorile (artt. 600-ter c.p.), gli atti sessuali con un minorenne (art. 609-quater c.p.) –, l’esplicita presunzione, presumibilmente, riguarderà la costrizione o induzione al matrimonio (art. 558-bis c.p.), l’abuso dei mezzi di correzione o disciplina (art. 571 c.p.), la prostituzione minorile (art. 600-bis, comma 2, c.p.), la corruzione o l’adescamento del minorenne (rispettivamente, artt. 609-quinquies e 609-undecies c.p.), lo stalking (art. 612-bis c.p.), il revenge porn (art. [continua ..]


4. Spunta un inedito elemento di valutazione: la «condotta susseguente al reato»

La Riforma Cartabia intende incidere anche sugli elementi strutturali della causa di non punibilità; nello specifico, sull’indice-criterio di carattere oggettivo: secondo l’art. 1, comma 21, lett. b), l. n. 134/2021, il legislatore delegato è tenuto a «dare rilievo alla condotta susseguente al reato ai fini della valutazione del carattere di particolare tenuità dell’offesa». Così, la «particolare tenuità dell’offesa» che, secondo l’attuale formulazione dell’art. 131-bis c.p., deve essere desunta dalle modalità della condotta e dall’esiguità del danno o del pericolo, valutate secondo i parametri della «gravità del reato» fissati nell’art. 133, comma 1, c.p., va accertata alla luce di un ulteriore requisito, di carattere soggettivo che, a mente dell’art. 133, comma 2, c.p., costituisce uno degli indici sintomatici della «capacità a delinquere del colpevole»: «la condotta susseguente al reato». Sebbene la delega non lo esiga, è verosimile ritenere che il giudice debba prima appurare la tenuità dell’offesa alla luce dei due originari requisiti oggettivi e, solo se l’esito di tale valutazione sia positivo, potrà procedere al vaglio afferente alla nuova componente soggettiva che servirà, in buona sostanza, a confermare o negare l’indizio di esiguità rintracciato sul piano della dimensione oggettiva del reato [35]. Il giudice, dunque, ritenuto il fatto “non grave”, potrà optare per la declaratoria di non punibilità [36] se la condotta successiva al reato sia orientata ad eliminare o attenuare le conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato ovvero sia indicativa di una effettiva resipiscenza dell’autore del fatto; al contrario, dovrà spingere il timone nella direzione della punibilità nei casi in cui il contegno post delictum non sottenda una revisione critica di quanto realizzato ma risulti, invece, indice della capacità a delinquere dell’autore: si pensi all’atteggiamento sprezzante o a quello indicativo di un elevato grado di ribellione alla legge o al rifiuto di conciliarsi con la vittima. L’innesto di questo ulteriore elemento di analisi per il giudice ha una plausibile ratio: la valorizzazione della eventuale condotta riparatoria appare in [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2022