Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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La spinta deflativa: le modifiche ai procedimenti speciali (di Elena Zanetti, Ricercatore di Diritto processuale penale – Università degli Studi di Milano)


Anche se i punti della delega dedicati alla riforma dei riti alternativi (art. 1, comma 10 e comma 22) non sono forse tra quelli che hanno suscitato l’immediato interesse degli interpreti, è indubbio che la loro efficace implementazione condizioni il buon esito delle finalità perseguite dal legislatore delegante. I principi e i criteri direttivi in essi enunciati sono volti ad estendere l’applicabilità dei procedimenti speciali e a renderli, allo stesso tempo, maggiormente appetibili, con ricadute deflative sul giudizio ordinario, tanto in termini di riduzione del numero delle udienze dibattimentali, tanto in termini di contrazione dei tempi di definizione dei procedimenti. Non sempre, tuttavia, le innovazioni introdotte sembrano all’altezza degli ambiziosi obiettivi perseguiti.

Parole chiave: procedimenti speciali.

The deflationary thrust: the changes to the special proceedings

Even if the parts of the delegated law dedicated to the reform of alternative proceedings (art. 1, paragraph 10 and paragraph 22) are maybe not among those which aroused the immediate interest of the interpreters, there is no doubt that their effective implementation affects the successful outcome of the purposes pursued by the delegating legislator. The guiding principles and criteria set out in those parts are aimed to extend the applicability of special proceedings and to make them, at the same time, more attractive, with deflationary impacts on the ordinary judgment, both in terms of reducing the number of trial hearings, as well as in terms of reducing the timeframes for the conclusion of the proceedings. However, the innovations introduced do not always seem equal to the ambitious objectives pursued.

SOMMARIO:

1. Le linee portanti della delega - 2. L’applicazione della pena su richiesta di parte - 3. Il giudizio abbreviato - 4. Il giudizio immediato - 5. Il procedimento per decreto - 6. La sospensione del procedimento con messa alla prova - NOTE


1. Le linee portanti della delega

L’attenzione rivolta dalla l. 27 settembre 2021, n. 134 (Delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti penali) [1] alla riforma dei procedimenti speciali riflette la consapevolezza che gli obiettivi di «semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo penale» (art. 1, comma 1) che ispirano la delega, non potrebbero essere realisticamente conseguiti senza un significativo incremento dei meccanismi deflativi e il diretto coinvolgimento dello snodo costituito dalle procedure semplificate “alternative” al dibattimento. Come è risaputo, nelle intenzioni del legislatore del 1988 i riti differenziati avrebbero dovuto fungere da “valvola di sicurezza” rispetto alla celebrazione del giudizio ordinario, fornendo itinerari alternativi e di più celere definizione a paragone di esso. Sono ben noti i motivi, sia di ordine processuale (appeal insufficiente a bilanciare la rinuncia al contraddittorio di alcuni dei moduli “deflativi”), sia di ordine extraprocessuale (resistenze di ordine culturale non ancora del tutto sopite) che hanno impedito, sino ad ora, ai procedimenti speciali di estrinsecare in modo compiuto la loro attitudine. Ad alcuni anni di distanza dall’entrata in vigore del codice, il tentativo di rivitalizzare i riti alternativi si è concretizzato attraverso una consistente serie di modifiche al libro VI, avviata dalla messa a punto operata dalla l. 16 dicembre 1999, n. 479 (c.d. legge “Carotti”), scandita, nel 2014, dall’innesto nella trama codicistica dell’istituto della sospensione con messa alla prova (artt. 464-bis-464-novies) e culminata con i ritocchi al giudizio abbreviato derivanti dalla l. 3 agosto 2017, n. 103 e dalla l. 12 aprile 2019, n. 33 e all’applicazione della pena su richiesta di parte a seguito della l. 9 gennaio 2019, n. 3. Nel complesso tali interventi, assai eterogenei e talora di segno opposto [2], non solo non hanno sortito l’effetto auspicato, risentendo di una sorta di “schizofrenia” di fondo del legislatore, ma hanno finito per allentare la coerenza interna e la tenuta complessiva delle procedure semplificate racchiuse nel microcosmo del libro VI. Continua, dunque, ad essere alquanto impietosa la ricognizione relativa dell’utilizzo dei riti alternativi [continua ..]


2. L’applicazione della pena su richiesta di parte

Attenendosi all’ordine seguito dal comma 10 dell’art. 1, due sono le innovazioni contenute nella lett. a) riguardanti il patteggiamento, che puntano ad accrescere l’attrattiva del rito, sia attraverso l’am­pliamento dell’oggetto della negoziazione tra p.m. e imputato, sia riducendo gli effetti extrapenali della sentenza di patteggiamento. Quanto al primo profilo, il punto 1 della lett. a) prevede infatti, che in caso di patteggiamento “allargato” l’accordo tra p.m. ed imputato possa includere anche le pene accessorie e la loro durata e in ogni caso di patteggiamento (semplice e allargato) anche la confisca facoltativa, sia in forma diretta, sia per equivalente [9], nonché la determinazione dell’oggetto e dell’ammontare di essa. All’esito dei lavori parlamentari che hanno condotto alla definitiva approvazione della delega non è dunque rimasta traccia della previsione, contenuta nel comma 1, lett. a) dell’art. 4 dell’originario d.d.l. “Bonafede” che, con ben diversi esiti deflativi, elevava a otto anni il limite di pena detentiva patteggiabile, sola o congiunta a pena pecuniaria, sia pure con l’esclusione di alcune ipotesi di delitti di particolare gravità (ad es. art. 422; art. 575; art. 612-bis; art. 612-ter) che sarebbero andate ad aggiungersi al novero delle preclusioni già previste dall’art. 444, comma 1-bis, c.p.p. [10]. Sono, invece, state recepite in modo parziale le proposte rassegnate dalla Commissione “Lattanzi” che pure aveva formulato un piano assai più ambizioso per estendere gli spazi operativi dell’appli­cazione della pena su richiesta [11]. Ad incentivare l’accesso al rito dovrebbe contribuire – nelle intenzioni del delegante – la riduzione degli ambiti rimessi alla valutazione “discrezionale” del giudice, conseguente alla possibilità per le parti di accordarsi oltre che sulla pena principale, anche sulle pene accessorie e sulla confisca. Resterebbe fermo, in ogni caso, il potere del giudice di accogliere o rigettare l’accordo sottopostogli, valutando ora in punto di ammissibilità del rito, se del caso, anche la congruità delle pene accessorie [12]. Si tratta però di un incentivo che, sganciato dall’originaria previsione dell’ampliamento della platea dei reati patteggiabili, rischia [continua ..]


3. Il giudizio abbreviato

Il primo dei tre criteri direttivi rivolti al giudizio abbreviato – già presente nell’originario d.l.l. A.C. 2435 – elencati nel comma 10, lett. b), interviene sui parametri di valutazione cui è subordinato l’accesso al rito condizionato ad un’integrazione probatoria in forza dell’art. 438, comma 5, c.p.p. Se nulla risulta mutato quanto al criterio della necessità ai fini della decisione del supplemento istruttorio richiesto [17], viene invece rivisitato l’ulteriore parametro della compatibilità dell’integrazione probatoria con le finalità di economia processuale. Queste ultime andranno, infatti, commisurate, mutando la prospettiva di rifermento, «ai tempi di svolgimento del giudizio dibattimentale» (comma 10, lett. b), n. 1) [18], e non più – come ora avviene – a quelle “proprie del procedimento” speciale. La ratio della novella rimanda evidentemente alla inefficienza del parametro attualmente in uso, rivelatosi non solo inconsistente, ma anche foriero di possibili disparità di trattamento. Anche se connotato forse da maggiore oggettività, non pare d’altro canto che – come si è opportunamente osservato – il nuovo parametro possa rivelarsi davvero risolutivo «in quanto non offre un criterio ulteriore che consenta di valutare sul piano quantitativo e qualitativo, le prove richieste anche in rapporto alle eventuali prove contrarie che si prospetterebbero» [19]. Stante la sua inefficacia, non sarebbe allora azzardato spingersi ad ipotizzare di rinunciare tout court al criterio dell’economia processuale, subordinando l’am­missibilità dell’integrazione probatoria al solo vaglio della necessità ai fini della decisione. Di ben diverso spessore erano le proposte rassegnate dalla Commissione “Lattanzi” – recepite solo nella parte di minore impatto sui vigenti assetti del giudizio abbreviato – che, allo scopo di razionalizzare l’utilizzo dei due moduli di giudizio abbreviato, suggeriva di differenziarli anche rispetto alla fase processuale di attivazione [20]. Un decisivo impulso all’estensione della platea di accesso al rito sarebbe derivato dall’eliminazione del divieto ora previsto dall’art. 438, comma 1-bis, ma la sollecitazione volta a reintrodurre i reati puniti con [continua ..]


4. Il giudizio immediato

A differenza dei tipici riti deflativi del dibattimento, la disciplina del giudizio immediato a richiesta del p.m. è coinvolta dalla delega solo in via indiretta, allo scopo di incrementare l’accesso ai riti premiali a seguito dell’emissione del decreto che lo dispone. In tale ottica, ad essere innovato è unicamente il profilo costituito dalla possibilità di introdurre una richiesta subordinata di rito alternativo in caso di rigetto di quella presentata in via principale. Le ipotesi considerate dal comma 10, lett. c) – rimaste inalterate all’esito dei lavori parlamentari rispetto al testo del d.l.l. A.C. 2435 – introducono rispettivamente la possibilità per l’imputato cui, a seguito della notifica del decreto di giudizio immediato, sia stata rigettata dal g.i.p la richiesta di abbreviato condizionato ad integrazione probatoria di formulare una richiesta di giudizio abbreviato “semplice” o di applicazione della pena su richiesta (comma 10, lett. c, n. 1) [23], e per l’imputato che, sempre a seguito della notifica del decreto di giudizio immediato, non trovi l’accordo con il p.m. o si veda rigettare dal g.i.p. la richiesta di patteggiamento di proporre richiesta di giudizio abbreviato (comma 10, lett. c, n. 2). Superando, in tal modo, di fatto lo “sbarramento” rappresentato dal termine perentorio di quindici giorni previsto dagli artt. 456, comma 2 e 457, comma 1, c.p.p. verrà rimosso, come si è osservato, «un – poco ragionevole – ostacolo alla definizione del giudizio immediato con un rito alternativo, causa di forti criticità nella prassi applicativa» [24].


5. Il procedimento per decreto

Molto cambierà invece sul fronte del rito monitorio, anche in conseguenza degli interventi operati dalla delega in materia di sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi (art. 1, comma 17, lett. e), allo scopo di dare impulso al rito, in sensibile flessione a seguito delle ultime depenalizzazioni [25]. Un primo correttivo introdotto riguarda l’aumento ad un anno – a decorrere dall’iscrizione ai sensi dell’art. 335 c.p.p. – del termine a disposizione del p.m. per chiedere al g.i.p. l’emissione del decreto (comma 10, lett. d), n. 1). Si è inteso, in tal modo, come già in precedenza [26], uniformare il termine, così rimodulato, ai nuovi termini di durata delle indagini preliminari, differenziati in base alla natura e alla gravità dei reati. Il comma 9, lett. c), n. 3 fissa, infatti, in un anno la durata delle i.p. per i delitti diversi da quelli indicati nell’art. 407, comma 2, c.p.p. per i quali le indagini potranno durare un anno e sei mesi. Per le contravvenzioni il termine resterà di sei mesi. È allora verosimile presumere che, dall’attua­zione di quel criterio direttivo derivi – per evitare surrettizi disallineamenti – una duplicazione del termine per richiedere l’emissione del decreto: sei mesi se si procede per una contravvenzione; un anno in caso di delitti [27]. Mira, invece, ad «assicurare effettività alla pena pecuniaria in modo da agevolarne l’applicazione concreta» [28] la modifica dell’art. 460, comma 5, c.p.p. volta a subordinare l’estinzione del reato non più al mero decorso del termine, ma al pagamento della pena pecuniaria. Allo scopo di favorire l’acquiescenza al rito, si introduce poi un ulteriore incentivo “premiale” costituito da una riduzione aggiuntiva di pena pari ad un quinto per il condannato, che rinunciando a proporre opposizione provveda al pagamento della sanzione pecuniaria entro quindici giorni dalla notifica del decreto (comma 10, lett. d), n. 3) [29]. Ma è, forse, dai criteri direttivi in materia di sanzioni sostitutive enunciati dal comma 17, lett. e), i) ed l), che potranno derivare, in via indiretta, i contributi più efficaci per rivitalizzare il giudizio per decreto. Basti pensare al riguardo, in primo luogo, che l’aumento da sei mesi ad un anno del limite della pena detentiva suscettibile [continua ..]


6. La sospensione del procedimento con messa alla prova

Diversamente dal comma 10, il comma 22 dell’art. 1 della delega non trova riscontro nel testo dell’o­riginario d.d.l. “Bonafede”, ma rimanda ad uno degli emendamenti messi a punto dalla Commissione “Lattanzi” (art. 9-quater d.d.l. A.C. 2435), trasfuso poi, con modifiche, nell’articolato della delega nell’ul­teriore corso dei lavori parlamentari. Se dunque il d.d.l. A.C. 2435 non faceva cenno all’istituto disciplinato dall’art. 168-bis c.p., la Commissione sottolineava, invece, in proposito come la «positiva esperienza nei primi anni di applicazione della misura, introdotta nel 2014» ne rendesse «opportuna una estensione» [31]. Muovendo da tale constatazione e prendendo spunto dall’art. 550, comma 2, c.p.p., richiamato dall’art. 168-bis, comma I, c.p., che già consente di ricorrere alla messa alla prova per un’ampia serie di reati sanzionati con pena detentiva superiore al limite di quattro anni (art. 550, comma 1, c.p.p.), la Commissione proponeva dunque di estendere l’ambito di applicabilità dell’istituto ad ulteriori specifici reati puniti «con la pena edittale non superiore nel massimo a dieci anni», da selezionare in base al duplice requisito che si prestino a percorsi risocializzanti o riparatori da parte dell’autore e non risultino incompatibili con l’istituto [32]. La proposta è stata cristallizzata nel criterio direttivo enunciato alla lett. a) del comma 22 del testo definitivo della delega, sia pure con una sensibile riduzione del limite di pena, indicato ora in sei anni, ferme restando le ulteriori condizioni. Sempre al fine di incrementare il potenziale operativo della messa alla prova, si prevede poi che la richiesta di sospensione del procedimento possa essere formulata su impulso del p.m. (comma 22, lett. b). Attualmente, come previsto dall’art. 141-bis, norme att. c.p.p., il p.m., privo di poteri di iniziativa diretta in materia, può solo informare l’interessato, sussistendone i presupposti, anche prima dell’eser­cizio dell’azione penale, della facoltà di essere ammesso alla prova. L’implicita rinuncia al contraddittorio che consegue alla scelta del rito da parte dell’imputato induce fondatamente a ritenere – nel rispetto dei principi generali [33] – che anche in questa nuova [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2022