Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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I criteri di priorità dell'azione penale tra legge e scelte organizzative degli uffici inquirenti (di Vania Maffeo, Professore associato di Diritto processuale penale – Università degli Studi di Napoli “Federico II”)


L’Autrice ripercorre a grandi linee la storia dei criteri di priorità dell’azione penale. Richiama in termini generali il contenuto del dibattito dottrinale, i primi tentativi, ad opera dei dirigenti di alcuni uffici inquirenti, di farne uso nei programmi di organizzazione, la ricerca di una qualche base normativa che potesse legittimare il ricorso a criteri di priorità altrimenti rimessi a scelte di dubbia accettabilità dei Procuratori della Repubblica. Delineato il percorso storico-culturale che ha condotto alla approvazione della legge n. 134/2021, c.d. riforma Cartabia, che detta per la prima volta una disciplina organica dei criteri di priorità, l’Autrice si sofferma sui principali nodi interpretativi delle previsioni di delega, in particolare interrogandosi su quale dovrà essere il rapporto tra criteri generali di derivazione parlamentare e criteri di priorità definiti dagli uffici inquirenti.

Parole chiave: azione penale, criteri di priorità.

The criteria of priority in criminal prosecution between law and organisational choices of prosecution offices

The author examines the history of the criteria of priority in criminal prosecution. The content of the doctrinal debate is reported, as well as the first attempts of the heads of some investigative offices to use them in the organization, the search for a regulation that would legitimate the use of priority criteria, otherwise delegated to prosecutors’choices of doubtful acceptability.

The author outlines the historical and cultural path that led to the approval of the law no. 134/2021, the so-called Cartabia reform. For the first time the reform establishes an organic discipline of the priority criteria, and focuses on the main interpretative issues of the provisions of delegation, in particular, wondering what will be the relationship between general criteria of parliamentary derivation and priority criteria defined by the investigative offices.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. I primi tentativi di predeterminazione delle priorità - 3. L’incerta e discussa base normativa - 4. Le prescrizioni di circolare del Csm - 5. Le critiche all’assenza di legittimazione per legge - 6. Il disegno di legge Bonafede - 7. La riforma Cartabia e i nodi da sciogliere - NOTE


1. Premessa

Dopo molti anni in cui si è dibattuto, a volte anche in modo acceso, sui criteri di priorità per l’esercizio dell’azione penale e dopo qualche frammentario intervento normativo che ne ha riconosciuto l’utilità per la regolazione di importanti passaggi da un sistema organizzativo-ordinamentale ad altro – il riferimento è alla riforma del giudice unico di primo grado – il Legislatore ha infine dato delega – l. n. 134/2021 – per la loro stabile e generale introduzione nel sistema. L’art. 1, comma 9, lett. i) dell’appena richiamata legge – c.d. riforma Cartabia – dispone, al fine espresso di garantire l’efficace e uniforme esercizio dell’azione penale, che il legislatore delegato articoli una disciplina dei criteri di priorità alla cui individuazione saranno chiamati, in sede di redazione dei progetti organizzativi, gli uffici del pubblico ministero, e specificamente le Procure della Repubblica. Non è stato un percorso agevole quello compiuto dal Legislatore, perché per molto tempo la dottrina giuridica, intesa nel senso più ampio, ha interpretato il principio di obbligatorietà dell’azione penale in un senso spiccatamente rigido, quasi esasperato, accentuando il carattere monopolistico dell’azione in capo al pubblico ministero con la conseguenza di scorgere un pericolo, un attentato alla indipendente gestione dell’azione, in ogni proposta diretta a prendere atto di una realtà che per la sua imponenza non poteva essere ignorata. Il gran numero di procedimenti da trattare non consentiva e non consente agli uffici inquirenti di assicurare che ciascuno sia coltivato con pari sollecitudine. L’accantonamento di alcuni, molti, di essi è misura ineludibile, ma introduce e implica l’esercizio di un ampio, troppo ampio, potere di scelta che non si colloca fisiologicamente nel contesto di doverosità che permea il potere di azione, e in qualche modo lo indebolisce e lo mette in crisi [1].


2. I primi tentativi di predeterminazione delle priorità

Progressivamente, anche all’interno dell’Ordine giudiziario si fecero sentire le voci, all’inizio poche ma autorevoli, che non nascosero la scarsa sostenibilità della situazione degli uffici inquirenti, sempre più oberati da un numero di procedimenti tale da favorire momenti non episodici di una discrezionalità sostanzialmente libera nella scelta delle notizie di reato da coltivare e di quelle da mettere da canto. Il terreno su cui poi ha preso corpo la decisione di dare piena legittimità ai criteri di priorità è stato preparato da alcune iniziative organizzative di importanti uffici inquirenti. All’inizio fu la circolare Zagrebelsky del 1990 [2], a cui anni dopo fece seguito la circolare Maddalena, specificamente del 2007 [3], ambedue adottate presso la Procura della Repubblica di Torino. La prima delineava criteri di priorità sulla base della gravità dei reati, della posizione della vittima e della attualità cautelare, ritenendo che non vi fosse violazione della obbligatorietà in quanto «il possibile mancato esercizio di una azione penale tempestiva e adeguatamente preparata per tutte le notizie di reato non infondate non deriva da considerazioni di opportunità», ma da un limite oggettivo alla capacità di smaltimento del carico giudiziario. La seconda, emessa a seguito della l. n. 241/2006 in tema di indulto, riteneva contrario «ad ogni logica» procedere in relazione a fatti consumati che rientrassero nella applicazione del provvedimento di clemenza e pertanto invitava a un uso parsimonioso dell’azione penale, privilegiando «la strada della richiesta di archiviazione (anche generosa) ogni qualvolta essa appaia praticabile o anche solo possibile». Apprezzate da più parti come segno inequivoco di una forte responsabilizzazione dei dirigenti degli uffici inquirenti sul versante organizzativo, peccavano dell’assenza di fonte normativa che conferisse oggettività e predeterminazione alla loro azione.


3. L’incerta e discussa base normativa

La legittimazione normativa in qualche modo, e con non pochi sforzi interpretativi, fu allora rinvenuta in alcuni testi che non avevano certo l’ambizione di regolare la materia. Si è fatto cenno, all’inizio, al d.lgs. n. 51/1998, dedicato alla riforma del giudice unico di primo grado. Quel testo aveva messo a punto una soluzione diretta ad assicurare le pronta definizione dei processi pendenti al momento di entrata in vigore della riforma. Aveva così stabilito che, nella trattazione dei procedimenti e nella formazione dei ruoli di udienza, e quindi sia per la fase procedimentale che per la processuale in senso stretto, si dovesse procedere tenendo conto, ai fini dell’ordine temporale di trattazione, della gravità del reato e della sua concreta offensività, del pregiudizio che una ritardata trattazione avrebbe potuto causare alla formazione della prova, dell’interesse della persona offesa, escludendo la prevalenza di altri indici, in particolare quelli di natura temporale, e dunque della data del commesso reato e della data di iscrizione della notizia di reato. A conferma della esclusiva attenzione per obiettivi di efficienza e quindi dell’unica vocazione organizzativa di quell’impianto, il testo normativo aveva chiarito che i dirigenti degli uffici giudiziari avrebbero dovuto comunicare le soluzioni di priorità al Consiglio Superiore della Magistratura, senza che alcun ruolo fosse riconosciuto al Legislatore. Non vennero allora in gioco altre finalità oltre quella di una rapida gestione delle pendenze giudiziarie e la legge non fece cenno ad esigenze di uniformità, efficacia e trasparenza nell’esercizio dei poteri di azione penale. Appena qualche anno dopo intervenne una delle tante novelle al codice di procedura penale, in specie alle disposizioni di attuazione, con l’innesto dell’art. 132-bis, ad opera del decreto-legge n. 341/2000, poi nel tempo modificato con ampliamenti del catalogo dei procedimenti ivi indicati. In tale disposizione furono individuati, progressivamente implementati, alcuni criteri per il prioritario svolgimento dei processi, e quindi difficilmente adattabili alle scelte di azione e all’organiz­zazione dell’attività degli uffici inquirenti [4]. Essi rispondevano, e ciò fanno ancora, a varie esigenze, per le quali riesce difficile individuare una base comune; in un unico catalogo sono [continua ..]


4. Le prescrizioni di circolare del Csm

Su queste basi si è strutturata una normazione c.d. secondaria di provenienza consiliare, che ha stabilizzato lo strumento. Un riferimento significativo può esser fatto ora alla circolare consiliare sulla organizzazione delle Procure del 16 novembre 2017 e successive modifiche, che ha individuato nel progetto organizzativo la sede destinata a dare cittadinanza agli eventuali criteri di priorità, che siano rispettosi del principio di obbligatorietà e dei parametri fissati dall’art. 132-bis, disp. att., c.p.p., oltre che delle altre disposizioni in materia, tenendo conto della specifica realtà criminale e territoriale nonché delle risorse tecnologiche, umane e finanziarie di cui dispone. L’impostazione della circolare consiliare è stata positivamente valutata per parti diverse da quelle specificamente dedicate ai criteri di priorità: se si è apprezzato il collegamento tra azione penale e suoi risultati e la verifica, per mezzo dell’analisi dei flussi di affari e del monitoraggio dei processi, degli «esiti delle azioni penali esercitate», e quindi la valorizzazione del prodotto degli uffici inquirenti [8], dall’altro sono state avanzate non poche riserve proprio sul tema ora di interesse. Le perplessità si sono incentrate sul rispetto effettivo del principio di obbligatorietà, osservando come non potesse enfatizzarsi l’assunto che le varie circolari in fondo non facevano che recepire indicazioni fissate dalla legge, in specie dall’art. 132-bis, disp. att., c.p.p., che, come si è detto, fissa criteri elaborati per la predisposizione dei ruoli di udienza dibattimentale, e che quindi hanno come destinatari i giudici della cognizione, a cui è rimesso un diverso compito organizzativo. Si è pure criticamente osservato [9] che il richiamo ai criteri normativi non esauriva le aree di priorità; esse, invero, erano suscettibili di estensione secondo apprezzamenti ampiamente discrezionali, con l’inevitabile conseguenza che moduli gestionali e linee guida delle singole sedi scontavano un inevitabile scarto rispetto alle esigenze generali che solo la legge può individuare in un’ottica schiettamente democratica. L’assenza di una sicura ed espressa base legislativa giustificava, peraltro, critiche ancora più radicali, secondo cui quello dei criteri di priorità è un [continua ..]


5. Le critiche all’assenza di legittimazione per legge

Di qui il forte auspicio per l’intervento del Legislatore, ritenuto necessario ad evitare spazi per l’inventiva della magistratura inquirente, altrimenti arbitra dei parametri e della definizione del catalogo dei reati sui quali operare la selezione [11]. Il proposito di riduzione degli spazi di gestione arbitraria, si è avvertito, implica che i criteri non abbiano una fisionomia vaga e che il procedimento per la loro elaborazione non annoveri soggetti privi di immediata legittimazione democratica [12], perché altrimenti, nonostante la legittimazione legislativa, l’istituto non solo potrebbe trovarsi in tensione con l’art. 112 Cost. [13] ma potrebbe collidere con gli artt. 3 e 25 Cost. Per assicurare legalità, parità di trattamento, trasparenza, i criteri di priorità devono essere predeterminati, trovare fondamento in una fonte legislativa, operare in maniera omogenea sul territorio nazionale, e al contempo garantire quella flessibilità applicativa che consenta di adattarli alla specificità dei casi concreti [14]. È per questo che già da tempo si è ipotizzato un intervento legislativo di cornice [15], che precisi gli indici di priorità in astratto, affidandone poi la pratica applicazione ai dirigenti delle Procure, chiamati a valutare la sussistenza dei presupposti normativi nei casi di specie. Si è detto della opportunità di una «gerarchizzazione» non rigida degli indici, con un vaglio complesso che tenga conto di una serie di variabili: in primis, naturalmente, la gravità astratta dei fatti per cui si procede [16] ma anche l’offensività concreta della condotta, l’interesse della parte lesa o il possibile andamento della vicenda processuale (si pensi ai rischi per la prova connessi al decorso del tempo) [17].


6. Il disegno di legge Bonafede

A questi bisogni il disegno di legge – approvato dal Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della Giustizia on. Bonafede, il 12 febbraio 2020 [18] – da cui ha tratto origine la legge n. 134/2021 non dava esaustiva risposta. Faceva infatti riferimento a criteri sì trasparenti e predeterminati ma la cui elaborazione era rimessa agli stessi uffici del pubblico ministero ed affidata ai progetti organizzativi redatti periodicamente dai dirigenti degli uffici. Non v’era quindi lo sforzo che da più parti si era invocato per la definizione normativa di una griglia di parametri o per l’individuazione dei reati secondo un ordine di priorità predeterminato sì ma dalla legge. La legge è infatti l’unico strumento capace di dare legittimazione democratica a scelte che in un modo o nell’altro interferiscono con l’effettività del principio costituzionale, che spiega l’irresponsabilità politica della magistratura, appunto l’obbligatorietà dell’azione penale [19]. Ciò nonostante, quel progetto un qualche consenso lo meritava, specificamente in ordine al meccanismo di individuazione delle priorità [20]. Si stabiliva infatti che il Procuratore della Repubblica dovesse curare «l’interlocuzione con il Procuratore generale presso la Corte d’Appello e con il Presidente del Tribunale» e dovesse tener conto «della specifica realtà criminale e territoriale, delle risorse tecnologiche, umane e finanziarie disponibili e delle indicazioni condivise nella conferenza distrettuale dei dirigenti degli uffici requirenti e giudicanti» . Si chiamava così il Procuratore della Repubblica a raccordarsi con gli uffici giudicanti, naturali destinatari dei provvedimenti in cui si concretizza la scelta di agire e anche quella opposta affidata alle richieste di archiviazione, e a collocare le sue determinazioni nella dimensione più ampia del distretto, dovendo rapportarsi al Procuratore generale onde evitare appunto una eccessiva frammentazione, con detrimento dell’omogeneità, nelle determinazioni di azione. Il fatto poi che l’individuazione dei criteri di priorità fosse collocata nell’ambito dei progetti di organizzazione dell’ufficio assicurava una opportuna procedimentalizzazione. Si assegnava alla individuazione dei criteri di priorità [continua ..]


7. La riforma Cartabia e i nodi da sciogliere

La legge ora in vigore, preceduta dalle riflessioni e dalle proposte della Commissione ministeriale nominata proprio al fine di suggerire soluzioni di emendamento al disegno di legge Bonafede, e presieduta dal Presidente Giorgio Lattanzi – c.d. Commissione Lattanzi [21] –, ha mantenuto alcuni aspetti della disciplina del disegno di legge Bonafede e poi lo ha innovato attribuendo al Parlamento un ruolo centrale. Anzitutto precisa che i criteri di priorità individueranno i procedimenti meritevoli di trattazione più veloce ma non serviranno, né lo avrebbero potuto, ad accantonare procedimenti che per le ragioni più varie si ritenesse di affidare alla regolazione della prescrizione e quindi di abbandonare su un binario morto in attesa della estinzione del reato. Essi comporranno il quadro delle soluzioni organizzative degli uffici inquirenti, dei progetti di organizzazione modellati dal punto di vista procedimentale sulla falsariga delle c.d. tabelle degli uffici giudicanti, in tal modo assicurando il soddisfacimento di istanze partecipative e una condivisione delle scelte infine effettuate. I criteri di priorità individuabili dal singolo ufficio di Procura dovranno in ogni caso rapportarsi a generali criteri fissati con legge e quindi valevoli per l’intero territorio nazionale [22]. Il sistema prevede il combinarsi tra criteri diversi e di diversa fonte: quelli generali approvati dal Parlamento, che definiranno la cornice [23] entro cui i singoli uffici inquirenti individueranno altri criteri, fisiologicamente di specificazione, di maggior dettaglio e che, a differenza dei primi, dovranno misurarsi con le condizioni organizzative dei singoli uffici, con le risorse umane e materiali disponibili, facendo in modo di concretizzare, e comunque non eludere, le determinazioni parlamentari. I generali criteri dovranno essere fissati dal Parlamento, con legge e non con meri atti di indirizzo politico, come invece sembrava poter accadere secondo la previsione contenuta nella Relazione conclusiva della Commissione Lattanzi. Questa aveva sì previsto l’intervento del Parlamento per la fissazione dei criteri di priorità ma non aveva individuato il modo in cui avrebbe dovuto essere attuato. Con la precisazione, però, che la determinazione dei criteri sarebbe dovuta avvenire periodicamente sembrava guardare più che alla legge ad una risoluzione parlamentare, e quindi [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2022